Norme sui licenziamenti individuali

Legge 15 luglio 1966, n. 604

Norme sui licenziamenti individuali.
Pubblicata nella Gazz. Uff. 6 agosto 1966, n. 195.

Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti circolari:
  • I.N.P.S. (Istituto nazionale previdenza sociale): Circ. 24 dicembre 1997, n. 263;
  • Ministero del lavoro e della previdenza sociale: Circ. 28 maggio 2001, n. L/01.
 (giurisprudenza di legittimità)
1. Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di
lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme
di legge, di regolamento, e di contratto collettivo o individuale, il
licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai
sensi dell'articolo 2119 del Codice civile o per giustificato motivo.
(giurisprudenza di legittimità)
2. 1. Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per
iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro.
2. Il prestatore di lavoro può chiedere, entro quindici giorni dalla
comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso: in tal caso il datore
di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto.
3. Il licenziamento intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai
commi 1 e 2 è inefficace.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 e di cui all'articolo 9 si applicano anche
ai dirigenti (2).
(2) Articolo così sostituito dall'art. 2, L. 11 maggio 1990, n. 108, riportata
al n. L/IV.
(giurisprudenza di legittimità)
3. Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un
notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro
ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del
lavoro e al regolare funzionamento di essa.
(giurisprudenza di legittimità)
4. Il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa,
dell'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacabili
è nullo, indipendentemente dalla motivazione adottata.
(giurisprudenza di legittimità)
5. L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato
motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro.
(giurisprudenza di legittimità)
6. Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni
dalla ricezione della sua comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche
extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche
attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il
licenziamento stesso.
Il termine di cui al comma precedente decorre dalla comunicazione del
licenziamento ovvero dalla comunicazione dei motivi ove questa non sia
contestuale a quella del licenziamento.
A conoscere delle controversie derivanti dall'applicazione della presente legge
è competente il pretore.
(giurisprudenza di legittimità)
7. Quando il prestatore di lavoro non possa avvalersi delle procedure previste
dai contratti collettivi o dagli accordi sindacali, può promuovere, entro venti
giorni dalla comunicazione del licenziamento ovvero dalla comunicazione dei
motivi ove questa non sia contestuale a quella del licenziamento, il tentativo
di conciliazione presso l'Ufficio provinciale del lavoro e della massima
occupazione.
Le parti possono farsi assistere dalle associazioni sindacali a cui sono
iscritte o alle quali conferiscono mandato.
Il relativo verbale di conciliazione, in copia autenticata dal direttore
dell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, acquista forza
di titolo esecutivo con decreto del pretore.
Il termine di cui al primo comma dell'articolo precedente è sospeso dal giorno
della richiesta all'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione
fino alla data della comunicazione del deposito in cancelleria del decreto del
pretore, di cui al comma precedente o, nel caso di fallimento, del tentativo di
conciliazione, fino alla data del relativo verbale.
In caso di esito negativo nel tentativo di conciliazione di cui al primo comma
le parti possono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato
irrituale.
(giurisprudenza di legittimità)
8. Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per
giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il
prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire
il danno versandogli un'indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un
massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo
al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità
di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle
parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a
10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e
fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti
anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di
lavoro (3) (1/cost).
(3) Articolo così sostituito dall'art. 2, L. 11 maggio 1990, n. 108, riportata
al n. L/IV. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza 30 gennaio-6
febbraio 2003, n. 41 (Gazz. Uff. 11 febbraio 2003, ediz. straord. - Prima serie
speciale), ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum popolare per
l'abrogazione, nelle parti indicate nella stessa sentenza: dell'art. 18, commi
primo, secondo e terzo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo risultante
dalle modifiche apportate dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108; degli
artt. 2, comma 1, e 4, comma 1, secondo periodo, della legge n. 108 del 1990;
dell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604; nel testo sostituito dall'art.
2, comma 3, della legge n. 108 del 1990; richiesta dichiarata legittima, con
ordinanza del 9 dicembre 1992, dall'Ufficio centrale per il referendum
costituito presso la Corte di cassazione. Il referendum popolare per
l'abrogazione delle suddette norme è stato indetto con D.P.R. 9 aprile 2003
(Gazz. Uff. 11 aprile 2003, n. 85), corretto con Comunicato 9 maggio 2003 (Gazz.
Uff. 9 maggio 2003, n. 106). Con Comunicato 14 luglio 2003 (Gazz. Uff. 14 luglio
2003, n. 161) la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha reso noto che
l'ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, con verbale
chiuso in data 10 luglio 2003, ha accertato che alla votazione per il referendum
popolare indetto con il suddetto D.P.R. 9 aprile 2003 non ha partecipato la
maggioranza degli aventi diritto, come richiesto dall'art. 75, quarto comma,
della Costituzione.
(1/cost) La Corte costituzionale, con sentenza 19-23 febbraio 1996, n. 44 (Gazz.
Uff. 28 febbraio 1996, n. 9, Serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei
sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 8, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. La
Corte, con successiva sentenza 20-23 aprile 1998, n. 143 (Gazz. Uff. 29 aprile
1998, n. 17, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 8, come modificato dall'art. 2 della legge
11 maggio 1990, n. 108, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 44, primo comma,
della Costituzione.
(giurisprudenza di legittimità)
9. L'indennità di anzianità è dovuta al prestatore di lavoro in ogni caso di
risoluzione del rapporto di lavoro.
 
(giurisprudenza di legittimità)
10. Le norme della presente legge si applicano nei confronti dei prestatori di
lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio, ai sensi
dell'articolo 2095 del Codice civile e, per quelli assunti in prova, si
applicano dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso,
quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro (4) (2/cost).
 
(4) Con sentenza n. 14 del 29 gennaio-4 febbraio 1970 la Corte costituzionale ha
dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in
cui non comprende gli apprendisti tra i beneficiari dell'indennità dovuta ai
sensi dell'articolo 9 della presente legge. Con successiva sentenza 22-28
novembre 1973, n. 169, la stessa Corte ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale del presente art. 10, nella parte in cui esclude gli apprendisti
dall'applicabilità nei loro confronti degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 11,
12, 13 della medesima legge, nel corso del rapporto di apprendistato. Con altra
sentenza n. 189 del 16 dicembre 1980 (Gazz. Uff. 31 dicembre 1980, n. 357) la
stessa Corte ha dichiarato:
l'illegittimità costituzionale dell'art. 2096, terzo comma, cod. civ. nella
parte in cui non riconosce il diritto alla indennità di anzianità di cui agli
artt. 2120 e 2121 stesso codice, al lavoratore assunto con patto di prova nel
caso di recesso dal contratto durante il periodo di prova medesimo;
ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità
costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 nella parte in
cui esclude il diritto del prestatore di lavoro, che riveste la qualifica di
impiegato o di operaio ai sensi dell'art. 2095 cod. civ. a percepire l'indennità
di anzianità di cui all'art. 9 della medesima legge n. 604 del 1966, quando
assunto in prova e licenziato durante il periodo di prova medesimo;
l'illegittimità costituzionale dell'art. 2109 cod. civ. nella parte in cui non
prevede il diritto a ferie retribuite anche per il lavoratore assunto in prova
in caso di recesso del contratto durante il periodo di prova medesimo. Con
ulteriore sentenza 26 marzo 1987, n. 96 (Gazz. Uff. 8 aprile 1987, n. 15 - Serie
speciale), la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 10
della L. 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), nella
parte in cui non prevede l'applicabilità della legge stessa al personale
marittimo navigante delle imprese di navigazione; nonché l'illegittimità
dell'art. 35, terzo comma, della L. 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela
della libertà e dignità dei lavoratori e dell'attività sindacale nei luoghi di
lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui non prevede la diretta
applicabilità al predetto personale anche dell'art. 18 della stessa legge. Con
altra sentenza 17-31 gennaio 1991, n. 41 (Gazz. Uff. 6 febbraio 1991, n. 6 -
Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 10, nella parte in cui
non prevede l'applicabilità della legge n. 604 del 1966 al personale navigante
delle imprese di navigazione (aerea).
(2/cost) La Corte costituzionale, con sentenza 27 novembre-4 dicembre 2000, n.
541 (Gazz. Uff. 13 dicembre 2000, n. 51, serie speciale), ha dichiarato non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, sollevata in
riferimento agli artt. 2, 3, 24, 35 e 38 della Cost.
(giurisprudenza di legittimità)
11. [Le disposizioni della presente legge non si applicano ai datori di lavoro
che occupano fino a trentacinque dipendenti e nei riguardi dei prestatori di
lavoro che siano in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla
pensione di vecchiaia o che abbiano comunque superato il 65° anno di età, fatte
salve le disposizioni degli articoli 4 e 9] (5) (6).
La materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è esclusa
dalle disposizioni della presente legge (7).
(5) La Corte costituzionale, con sentenza 5-14 luglio 1971, n. 174 (Gazz. Uff.
21 luglio 1971, n. 184) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.
11, primo comma, della presente legge, nella parte in cui esclude
l'applicabilità degli articoli 2 e 5 della stessa legge nei riguardi dei
prestatori di lavoro che, senza essere pensionati o in possesso dei requisiti di
legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia, abbiano superato il 65° anno
di età. Successivamente, la stessa Corte, con sentenza 27 giugno 1986, n. 176
(Gazz. Uff. 16 luglio 1986, n. 34 - Serie speciale), ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, primo comma, nella parte in cui
esclude l'applicabilità degli artt. 1 e 3 della stessa legge nei riguardi di
prestatori di lavoro che, senza essere pensionati o in possesso dei requisiti di
legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia, abbiano superato il
sessantacinquesimo anno di età.
(6) Comma abrogato dall'art. 6, L. 11 maggio 1990, n. 108, riportata al n. L/IV.
(7) Con sentenza 11 giugno 1986, n. 317 (Gazz. Uff. 25 giugno 1986, n. 30 -
Parte speciale), la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale dell'art. 11, L. 15 luglio 1966, n. 604, degli artt. 9 del R.D.L.
14 aprile 1939, n. 636, convertito in legge 6 luglio 1939, n. 1272, modificato
dall'art. 2, L. 4 aprile 1952, n. 218, 15 del D.L.C.p.S. 16 luglio 1947, n. 708,
16, della L. 4 dicembre 1956, n. 1450, nella parte in cui prevedono il
conseguimento della pensione di vecchiaia e, quindi, il licenziamento della
donna lavoratrice per detto motivo, al compimento del cinquantacinquesimo anno
di età anziché al compimento del sessantesimo anno come per l'uomo.
12. Sono fatte salve le disposizioni di contratti collettivi e accordi sindacali
che contengano per la materia disciplinata dalla presente legge, condizioni più
favorevoli ai prestatori di lavoro.
13. Tutti gli atti e i documenti relativi ai giudizi o alle procedure di
conciliazione previsti dalla presente legge sono esenti da bollo, imposta di
registro e da ogni altra tassa o spesa.
14. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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