Deve essere reintegrato nel posto di lavoro il dipendente che si era riferito ad un'azionista della società per cui lavorava apostrofandolo con una parolaccia durante una lite "di lavoro".

In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso è rimesso al giudice di merito (per tutte Cass. 22 marzo 2010, n. 6848) il cui apprezzamento, che deve tenere conto non solo delle circostanze oggettive, ma anche delle modalità soggettive della condotta, è sottratto a censure in sede di legittimità se la relativa valutazione è sorretta da adeguata e logica motivazione (per tutte Cass. 27 settembre 2007, n. 2021). Per tale ragione deve essere reintegrato nel posto di lavoro il dipendente che si era riferito ad un'azionista della società per cui lavorava apostrofandolo con una parolaccia durante una lite "di lavoro".

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 16 novembre 2010, n. 23132



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele - Presidente

Dott. PICONE Pasquale - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - rel. Consigliere

Dott. BERRINO Umberto - Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13733-2007 proposto da:

A.T.C. S.R.L. - AZ. TR. CA. , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AUGUSTO VERA 19, presso lo studio dell'avvocato D'AMBROSIO RODOLFO, rappresentata e difesa dall'avvocato NAPPI SEVERINO, giusta mandato a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

GA. PA. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 29, presso lo studio dell'avvocato PORZIO ANTONIO HECTOR, rappresentato e difeso dall'avvocato SENATORE BARTOLO GIUSEPPE, giusta mandato a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 7344/2006 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/12/2006 R.G.N. 9545/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica Udienza del 13/10/2010 dal Cons. Dott. NAPOLETANO Giuseppe;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di Ga. Pa. , proposta nei confronti della societa' Az. Tr. Ca. , avente ad oggetto la declaratoria d' illegittimita' del licenziamento per giusta causa, con tutte le conseguenze economiche e giuridiche di cui alla Legge n. 300 del 1970, articolo 18 intimatogli in data (OMESSO) per aver rivolto ingiurie e volgarita' a carico del De. Na. azionista di riferimento della societa' controllata SI. .

La Corte territoriale, per quello che interessa in questa sede, poneva a fondamento della decisione il rilievo fondante che la sanzione del licenziamento non era proporzionata al comportamento addebitato valutato sotto il profilo oggettivo e soggettivo.

Secondo la predetta Corte venivano in rilievo al riguardo: la situazione di accesa conflittualita' che connotava le relazioni industriali al momento del fatto addebitato; lo stato di comprensibile esasperazione nel quale versava il lavoratore gia' provato da tre ore di colloqui con gli autisti i quali si erano rifiutati di rendere prestazioni di lavoro straordinario vanificando ogni sforzo da lui intrapreso e teso alla organizzazione del servizio; la protrazione per oltre quindici minuti del colloquio telefonico con il De. Na. e i toni alterati assunti da questi; la obiettiva gravita' della situazione organizzativa sfociata nell'interruzione del servizio di trasporto, la concitazione dei toni assunti dalle parti, le trattative con il personale tali da rendere l'espressione proferita dal lavoratore priva della valenza ingiuriosa conferitale dalla societa' in quanto frutto del clima incandescente venutosi a creare nell'ambito dei rapporti con il personale.

La Corte territoriale considerava, inoltre, rilevante ai fini della ingiustificatezza dell'intimato licenziamento la obiettiva insussistenza di un legame di subordinazione diretta con il De. Na. , mero azionista, sia pure di riferimento della societa' SI. che doveva ritenersi ragionevolmente percepito dal lavoratore quale soggetto estraneo all'organizzazione del servizio e comunque all'assetto gerarchico societario di guisa che anche l'espressione "non mi rompere il cazzo" non poteva essere intesa quale reazione al legittimo esercizio di prerogative conferite alla parte datoriale; il contesto in cui il fatto addebitato si era verificato consistito in un colloquio telefonico in un ambito del tutto estraneo a quello lavorativo e con modalita' insuscettibili di determinare una diffusione in un piu' esteso ambito tanto da poter essere percepita da terzi e da essere quindi connotata da particolare disvalore ambientale, nonche' la mancanza lungo la lunga carriera del lavoratore di precedenti addebiti.

Avverso tale sentenza la societa' in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di due censure.

Resiste con controricorso il Ga. .

MOTIVI DELLA DECISIONE

Rileva preliminarmente, il Collegio che risulta infondata l'eccezione d'inammissibilita' del ricorso per carente esposizione sommaria dei fatti di causa sollevata da parte resistente.

Invero, dall'intero contesto dell'atto d'impugnazione e' possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione (Cass. 24 luglio 2007 n. 16315).

Con il primo motivo la societa' ricorrente, deducendo vizio di motivazione, allega che la Corte territoriale: ha omesso di procedere a qualsiasi valutazione in ordine alla posizione, al ruolo ed alle responsabilita' del Ga. , nonche' alla qualita' del rapporto di lavoro ed al grado di fiducia richiesto;non ha considerato che rientrava nelle normali mansioni del lavoratore la contrattazione con gli autisti; non ha valutato che il Ga. era tenuto a riferire per espressa disposizione del diretto superiore al socio di riferimento De. Na. ; ha errato nella ricostruzione del contesto oggettivo in cui si e' verificato il fatto in quanto quello prospettato non e' veritiero ed e' indimostrato; ha apoditticamente ritenuta l'assenza di un legame di subordinazione tra il Ga. ed il De. Na. ; non ha valutato il documento del (OMESSO), che ha per destinatario il De. Na. e per mittente l'Amministratore unico della SI. , e le dichiarazioni del teste Ol. .

La censura e' infondata.

E' necessario premettere che per costante giurisprudenza di questa Corte in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalita' o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso e' rimesso al giudice di merito (per tutte Cass. 22 marzo 2010 n. 6848) il cui apprezzamento, che deve tenere conto non solo delle circostanze oggettive, ma anche delle modalita' soggettive della condotta, e' sottratto a censure in sede di legittimita' se la relativa valutazione e' sorretta da adeguata e logica motivazione (per tutte Cass. 27 settembre 2007 n. 2021).

Va altresi' premesso che per pacifica giurisprudenza il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell'articolo 360 c.p.c, n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti, in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della "ratio decidendi", e cioe' l'identificazione del procedimento logico - il giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformita' dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilita' e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale e' assegnato alla prova (cfr. ex plurimis da ultimo: Cass. 6 marzo 2008 n. 6064 e Cass. 26 marzo 2010 n. 7394). E nella stessa ottica i giudici di legittimita' hanno inoltre precisato che nel caso in cui nel ricorso per cassazione venga prospettato come vizio di motivazione della sentenza una insufficiente spiegazione logica relativa all'apprezzamento, operato dal giudice di merito, di un fatto principale della controversia, il ricorrente non puo' limitarsi a prospettare una possibilita' o anche una probabilita' di una spiegazione logica alternativa, essendo invece necessario che tale spiegazione logica alternativa del fatto appaia come l'unica possibile (cfr. in tali sensi: Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e 27 luglio 2008 n. 20499).

Sulla base di tali principi osserva il Collegio che non possono trovare ingresso in questa sede le censure con le quali si addebita al giudice del merito di aver erroneamente valutato, ai fini dell'apprezzamento della proporzionalita' tra fatto addebitato e sanzione irrogata, gli elementi istruttori.

In particolare mette conto sottolineare che il giudice di appello, diversamente da quanto assunto dalla societa' ricorrente, non oblitera affatto il ruolo ricoperto dal lavoratore nell'ambito dell'organizzazione aziendale tant'e' vero che proprio nel considerare la particolare situazione in cui il Ga. si trovava al momento del fatto, sottolinea che costui era impegnato nella organizzazione del servizio degli autisti che si rifiutavano di rendere prestazioni di lavoro straordinario.

Ne' il contesto oggettivo in cui si verifico' il comportamento sanzionato, cosi' come ricostruito dal giudice del merito, e' sfornito di supporto probatorio in quanto, nella motivazione, si da atto che la situazione di accesa conflittualita'.

che connotava in quel momento le relazioni industriali ed aveva determinato una estenuante trattativa con gli autisti trova riscontro nelle giustificazioni del Ga. "il cui contenuto non risulta sostanzialmente contestato ex adverso".

Quanto al rapporto con l'azionista di riferimento e' bene sottolineare che la societa' ricorrente a confutazione dell'assunto del giudice di appello, secondo il quale in base all'id quod plerumque accidit deve ragionevolmente ritenersi fosse percepito dal Ga. quale soggetto estraneo all'organizzazione del servizio e comunque all'assetto gerarchico societario, richiama una lettera che ha per destinatario il De. Na. e per mittente l'Amministratore unico della SI. e, quindi, un documento che non doveva essere necessariamente conosciuto dal Ga. . Ne' e' illogico ritenere che il De. Na. quale mero azionista della societa' SI. non fosse percepito dal Ga. , dipendente della societa' AT. , quale superiore gerarchico. La stessa deposizione del teste Ol. , almeno per quello che e' riportato nel ricorso per cassazione, non smentisce l'assunto della Corte del merito atteso che il teste da conto solo del ruolo svolto dal De. Na. e per giunta con una certa approssimazione atteso che riferisce di ritenere che fosse anche amministratore unico della SI. , ma nulla dice della conoscenza da parte del Ga. dello specifico ruolo di suo superiore gerarchico. Ne' tanto contrasta con le riportate parziali dichiarazioni dello stesso Ga. atteso che i passi trascritti, in cui il Ga. riferisce che il De. Na. aveva minacciato di licenziarlo, si riferiscono a situazione antecedente la "cessione". In sostanza e per le esposte ragioni a fronte di una logica e corretta motivazione della sentenza di appello il motivo del ricorso in esame si risolve in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e percio' in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalita' del giudizio di cassazione.

Con la seconda censura la societa', denunciando violazione degli articoli 366 bis c.p.c., i seguenti quesiti di diritto: "se l'espressione mi hai rotto il cazzo proferita da un lavoratore nei confronti dell'azionista di maggioranza della societa' datrice di lavoro, altresi' dotato formalmente del potere di assumere, licenziare e sanzionare il personale dipendente, di coordinare lo svolgimento dell'attivita' lavorativa aziendale, che aveva chiesto spiegazioni in ordine all'andamento aziendale gestita dal dipendente sia o meno lesiva delle regole della civilta' del lavoro e idonea o meno a,ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario posto a fondamento del rapporto di lavoro subordinato"; "se la mancanza di recidiva o comunque nel non aver commesso infrazioni disciplinari nell'arco della vita lavorativa rileva ai fini del giudizio di proporzionalita' tra la condotta posta in essere dal lavoratore e le sanzioni irrogatagli".

La censura, per come formulata, non puo' essere esaminata in questa sede di legittimita'.

Invero nel primo quesito non si tiene conto che la Corte di appello ha accertato, e la censura sul punto e' risultata infondata, che il Ga. non aveva percepito che il De. Na. facesse parte dell'assetto gerarchico societario di guisa che anche l'espressione proferita "non mi rompere il cazzo" non poteva essere intesa quale reazione al legittimo esercizio di prerogative conferite alla parte datoriale.

Quindi la risposta anche eventualmente positiva al quesito non e' risolutiva ai fini decisori.

Altrettanto e' da rilevarsi in ordine al secondo quesito in quanto nella struttura argomentativa della Corte del merito la mancanza di precedenti addebiti non e' decisiva, ma costituisce mero elemento rafforzativo delle considerazioni svolte in precedenza riguardo alla valutazione del profilo soggettivo del comportamento del lavoratore.

Sulla base di tali considerazioni, quindi, il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio di legittimita' seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita' liquidate in euro 11,00- oltre euro 3.000,00 per onorario ed oltre spese, IVA e CPA.

 

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