E' ammissibile il patto di prova in due contratti di lavoro successivamente stipulati tra le stesse parti, purché risponda alle suddette finalità

La causa del patto di prova va individuata nella tutela dell'interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest'ultimo, a sua volta, valutando l'entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto. E', peraltro, ammissibile il patto di prova in due contratti di lavoro successivamente stipulati tra le stesse parti, purché risponda alle suddette finalità, potendo intervenire nel tempo molteplici fattori, attinenti non solo alle capacità professionali, ma anche alle abitudini di vita o a problemi di salute. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, che con sentenza del 29 luglio 2005, n. 15960 ha rigettato il ricorso proposto dalla datrice di lavoro, confermando la decisione del giudice di merito che, sulla scorta dei richiamati principi, aveva evidenziato l'identità delle mansioni svolte dalla lavoratrice nell'ambito dei due rapporti di lavoro - autonomo il primo e subordinato il secondo - succedutisi nel tempo, concludendo per la mancanza di causa del patto di prova, non essendo ravvisabile la necessità di verificare le qualità professionali e la personalità complessiva della lavoratrice stessa, in quanto già accertate dal datore di lavoro.



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso, depositato il 24.5.2000, Re. Gi. impugnava dinanzi al Giudice del Lavoro del Tribunale di Milano il licenziamento intimatole con lettera del 4.6.1999 dalla Di. De Si. Co. S.P.A., chiedendo la condanna della convenuta al pagamento di L. 119.297.000 per indennità sostitutiva di preavviso e differenze sull'indennità di fine rapporto e di L. 256.660.000 per indennità supplementare.

Al riguardo esponeva: di essere alle dipendenze dal 10.7.1998 con contratto qualificato come di collaborazione professionale; che il contratto, con scadenza al 31.12.1998, era stato prorogato fino al 31.1.1999 e dal 1°.2.1999 era stato formalizzato come contratto di lavoro subordinato con qualifica dirigenziale; che il provvedimento di licenziamento non poteva ritenersi legittimo esercizio del diritto di recesso nel periodo di prova, in quanto il rapporto aveva natura subordinata già nel periodo precedente al 1°.2.1999.

La convenuta costituendosi contestava le avverse deduzioni e chiedeva quindi il rigetto di tutte le domande del ricorrente. All'esito dell'istruzione il Giudice del Lavoro del Tribunale di Milano con sentenza n. 920 del 2001 accoglieva il ricorso e liquidava per indennità supplementare L. 116.663.660.

Tale decisione, appellata dalla società, veniva confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 169 del 2002.

In particolare la Corte territoriale, nel condividere le osservazioni del primo giudice circa la continuità della prestazione con il passaggio al rapporto formalizzato come subordinato, rilevava che era emersa la mancanza di causa del patto di prova inserito nel contratto 1.2.1999.

Contro la sentenza di appello la Di. De Si. Co. S.P.A. propone ricorso per cassazione con tre motivi.

Re. Gi. resiste con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 C.P.C.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione di legge in riferimento all'art. 2096 -3° comma- e all'art. 99 C.P.C., nonché vizio di motivazione.

In particolare la ricorrente sostiene che il giudice di appello ha ritenuto determinante la natura omogenea dei due rapporti, i quali, in mancanza di domanda di accertamento, restano distinti ed irrimediabilmente diversi (il primo risulta formalizzato come lavoro autonomo ed il secondo come lavoro subordinato), sicché pienamente legittimo avrebbe dovuto essere considerato il recesso durante il periodo di prova per il secondo rapporto.

La stessa ricorrente aggiunge che l'aver ritenuto esistente un rapporto di lavoro subordinato invece che di lavoro autonomo, in difetto di apposita domanda, costituisce violazione del principio della domanda fissato dal richiamato art. 99 C.P.C.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Con tale censura la ricorrente rileva che il giudice di appello ha omesso di esaminare le argomentazioni, contenute nel ricorso in appello, riguardanti la legittimità del patto di prova nel caso di specie di sequenza di due rapporti di lavoro, dei quali uno autonomo e l'altro subordinato, patto funzionale all'accertamento e alla verifica delle capacità professionali della lavoratrice in relazione al secondo rapporto, avente caratteristiche diverse per modalità di espletamento.

2. Entrambi i motivi, che possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte la "causa" del patto di prova va individuata nella tutela dell'interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento attraverso il quale sia il datore di lavoro sia il lavoratore possono saggiare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest'ultimo, a sua volta, verificando l'entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto (Cass. n. 12379 del 7 dicembre 1998; Cass. n. 3541 del 22 marzo 2000).

Questa Corte ha anche precisato che il patto di prova in due contratti di lavoro successivamente stipulati tra le stesse parti è ammissibile, qualora risponda alle finalità dinanzi richiamate, potendo nel tempo intervenire molteplici fattori, attinenti non soltanto alle capacità professionali, ma anche alle abitudini di vita o a problemi di salute (Cass. n. 1741 del 18 febbraio 1995; Cass. n. 5016 dell'11 marzo 2004).

Il giudice di appello ha fatto corretta applicazione alla fattispecie dei ricordati principi, giacché ha posto in evidenza l'identità delle mansioni svolte da Re. Gi. nell'ambito dei due rapporti di lavoro (autonomo il primo e subordinato il secondo) succedutisi nel tempo, dal che la conclusione in ordine alla mancanza di causa del patto di prova, non essendo ravvisabile la necessità di verificare le qualità professionali e la personalità complessiva della lavoratrice, già accertate dal datore di lavoro. Né sussiste la denunciata violazione del principio della domanda, perché l'accertamento della natura subordinata del rapporto prima del 1.2.1999 era stata chiesta dalla lavoratrice ai fini dell'invocata nullità del patto di prova, e in tali termini è stata limitata.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta insufficiente motivazione e violazione e falsa applicazione dell'art. 116 C.P.C., in ordine agli elementi di prova emersi dall'istruttoria.

La ricorrente contesta al giudice di appello di non avere valutato le risultanze istruttorie (in specie le deposizioni dei testi escussi Mi. e Si. e gli elementi documentali allegati) inserendole in un corretto ragionamento logico ai fini dell'accertamento delle mansioni svolte da Re. Gi.

Anche questa censura non è fondata, in quanto la ricorrente contrappone alla valutazione -adeguatamente motivata- delle risultanze probatorie un diverso apprezzamento, che si sottrae ad ogni sindacato in sede di legittimità.

Sul punto si richiama il costante indirizzo di questa Corte, che si condivide pienamente, secondo cui la valutazione delle risultanze della prova per testi e il giudizio di attendibilità degli stessi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri -come la scelta, fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione- involgono apprezzamenti di fatto riservato al giudizio di merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione delle altre, incontra il solo limite di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (in questo senso ex plurimis Cass. n. 2008 del 12 marzo 1996; Cass. n. 11479 del 12 ottobre 1999).

4. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Ricorrono giusti motivi per dichiarare compensate le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

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