È illegittimo il licenziamento del dirigente non gradito per sostituirlo con un proprio uomo di fiducia

È illegittimo il licenziamento del dirigente non gradito per sostituirlo con un proprio uomo di fiducia. La libertà di iniziativa economica, infatti, non è in grado ex se di offrire copertura a licenziamenti immotivati o pretestuosi: l'interruzione del rapporto necessita sempre di una motivazione coerente e consistente sul piano del diritto. In tema di licenziamento del dirigente che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la nozione di "giustificatezza" del licenziamento del dirigente, per la particolare configurazione del rapporto di lavoro dirigenziale, non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo Legge n. 604 del 1966, ex articolo 1, potendo rilevare qualsiasi motivo, purche' apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore (Sez. L, Sentenza n. 6110 del 17/03/2014, Rv. 63028; Sez. L, Sentenza n. 15496 del 11/06/2008, Rv. 603696); correlativamente, il licenziamento del dirigente puo' fondarsi su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l'impossibiliti della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimita' del licenziamento, deve essere coordinato con la liberta' di iniziativa economica, garantita dall'articolo 41 Cost. (Sez. L, Sentenza n. 3628 del 08/03/2012, Rv. 621267; in tema, anche Sez. L, Sentenza n. 21748 del 22/10/2010, Rv. 614901, secondo la quale, per stabilire se sia giustificato il licenziamento di un dirigente intimato per ragioni di ristrutturazione aziendale, non e' dirimente la circostanza che le mansioni da questi precedentemente svolte vengano affidate ad altro dirigente in aggiunta a quelle sue proprie, in quanto quel che rileva e' che presso l'azienda non esista piu' una posizione lavorativa esattamente sovrapponibile a quella del lavoratore licenziato).

Corte di Cassazione, Sezione L civile, Sentenza 17 febbraio 2015, n. 3121



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente

Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere

Dott. BUFFA Francesco - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3508/2012 proposto da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 572/2011 della CORTE D'APPELLO di SALERNO, depositata il 01/08/2011 r.g.n. 1544/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA;

udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con sentenza 1/8/2011, la corte d'appello di Salerno, confermando sul punto la sentenza del 24/9/2010 del tribunale della stessa citta', ha dichiarato illegittimo, per difetto di giustificatezza, il licenziamento intimato a (OMISSIS), dirigente dell' (OMISSIS); ha condannato inoltre il datore al pagamento dell'indennita' supplementare di cui all'articolo 19 c.c.n.l in favore del lavoratore, in misura superiore rispetto a quella riconosciuta in primo grado.

In particolare, la corte territoriale ha preso atto che il recesso datoriale - pacificamente non originato da addebiti nei confronti del dirigente ne' da ragioni inerenti la sua inidoneita' alle funzioni o il raggiungimento degli obiettivi assegnati - era stato motivato sulla base di un'esigenza di riorganizzazione aziendale e di riduzione dei costi del personale, ma ha rilevato che in realta' il recesso non era l'ineludibile epilogo di una riorganizzazione e riduzione dei costi del personale (tanto che al lavoratore non era mai stata neppure proposta una decurtazione del compenso per il futuro) ma solo il coronamento di un progetto ideato dal presidente dell'Associazione di estromettere il lavoratore dal vertice della struttura e di sostituirlo con un uomo di sua fiducia.

2. Avverso tale sentenza ricorre il datore con due motivi, illustrati da memoria; resiste il lavoratore con controricorso, accompagnato da memoria.

3. Con il primo motivo del ricorso, si deduce violazione degli articoli 1375 e 1175 c.c., nonche' articolo 19 del c.c.n.l. dirigenti, per aver negato la giustificatezza del licenziamento di un dirigente per esigenze di riorganizzazione aziendale.

4. Con il secondo motivo del ricorso, si deduce - ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 5 - vizio di motivazione, in relazione alla prevalenza quale causa del recesso attribuita alla mancanza di sintonia tra il lavoratore ed il presidente dell'associazione rispetto all'esigenza pur riscontrata del contenimento dei costi.

5. I motivi del ricorso, che possono trattarsi unitariamente per la loro connessione, sono infondati.

6. Deve preliminarmente dichiararsi l'inammissibilita' - ai sensi dell'articolo 372 c.p.c. - della produzione della sentenza App. Salerno 7/5/2014 in causa Gatto c. Assindustria ed altro, in quanto effettuata solo all'udienza, non attenendo detto documento alla nullita' della sentenza impugnata in questo giudizio ne' all'ammissibilita' del ricorso.

7. Nel merito, il ricorso non puo' trovare accoglimento.

8. Il primo motivo di ricorso e' inammissibile per difetto di autosufficienza nella parte in cui richiama norma di contratto collettivo che non e' stata trascritta in ricorso (tra le tante, Sez. L, Sentenza n. 21379 del 04/11/2005, Rv. 584674), ne' prodotta con il contratto nel testo integrale (e pluribus, Sez. L, Sentenza n. 15495 del 02/07/2009, Rv. 609037).

9. Quanto alla violazione di legge denunciata, deve rilevarsi in tema di licenziamento del dirigente che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la nozione di "giustificatezza" del licenziamento del dirigente, per la particolare configurazione del rapporto di lavoro dirigenziale, non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo Legge n. 604 del 1966, ex articolo 1, potendo rilevare qualsiasi motivo, purche' apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore (Sez. L, Sentenza n. 6110 del 17/03/2014, Rv. 63028; Sez. L, Sentenza n. 15496 del 11/06/2008, Rv. 603696); correlativamente, il licenziamento del dirigente puo' fondarsi su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l'impossibiliti della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimita' del licenziamento, deve essere coordinato con la liberta' di iniziativa economica, garantita dall'articolo 41 Cost. (Sez. L, Sentenza n. 3628 del 08/03/2012, Rv. 621267; in tema, anche Sez. L, Sentenza n. 21748 del 22/10/2010, Rv. 614901, secondo la quale, per stabilire se sia giustificato il licenziamento di un dirigente intimato per ragioni di ristrutturazione aziendale, non e' dirimente la circostanza che le mansioni da questi precedentemente svolte vengano affidate ad altro dirigente in aggiunta a quelle sue proprie, in quanto quel che rileva e' che presso l'azienda non esista piu' una posizione lavorativa esattamente sovrapponibile a quella del lavoratore licenziato).

10. Quanto fin qui detto, tuttavia, presuppone pur sempre che il licenziamento rechi motivazione coerente e sia fondato su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, che escludano l'arbitrarieta' del recesso: in altri termini, il recesso deve pur sempre ricollegarsi ad interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento e dunque a ragioni obiettive ed effettive (che permettano la verifica dei detti interessi), operando sempre il principio di buona fede e correttezza (ex articoli 1175 e 1375 c.c.) quale limite al potere datoriale di recesso; per altro verso, la liberta' di iniziativa economica non e' in grado ex se di offrire copertura a licenziamenti immotivati o pretestuosi.

11. Nella specie, la corte territoriale ha accertato che le reali ragioni del licenziamento non erano da ricondurre in alcun modo ad una riorganizzazione (di cui non vi era traccia, con riferimento alle mansioni del personale interessato o alle aree dell'associazione) ne' ad una riduzione dei costi del personale (non avendo il datore di lavoro detto alcunche' in ordine ad eventuali difficolta' finanziarie dell'associazione che potessero dar conto dell'esigenza di riduzione dei costi; e la corte territoriale ha rilevato anzi, a conferma del carattere fittizio della motivazione economica del recesso, che al lavoratore non era mai stata neppure proposta una decurtazione del compenso per il futuro).

12. In difetto di reale consistenza delle ragioni addotte formalmente nell'atto di recesso, residua solo l'emergenza, correttamente valutata, dalla corte territoriale - con motivazione coerente ed adeguata-, della volonta' del presidente dell'associazione di estromettere il lavoratore dal vertice della struttura e di sostituirlo con un uomo di sua fiducia (disegno attuatosi, ancor prima che con il recesso, con il progressivo ed immotivato "svilimento del ruolo" del (OMISSIS), pur stigmatizzato nella sentenza impugnata), motivo che non e' per nulla idoneo - secondo quanto si e' detto - ad integrare gli estremi della "giustificatezza" del licenziamento del dirigente.

13. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro quattromila per compensi, euro cento per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.
 

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