E' illegittimo il licenziamento per soppressione del posto se entro un anno dall'evento viene assunto un lavoratore nella stessa qualifica di quello licenziato

Ove il datore di lavoro, a giustificazione del licenziamento, adduca, con valutazione rientrante i nell'esercizio della liberta' di iniziativa economica non sindacabile in sede giudiziaria, la necessita' di sopprimere un posto di lavoro, incombe sul medesimo datore di lavoro l'onere di provare l'impossibilita' di assegnare il lavoratore licenziato ad altro posto, con riguardo alla sua capacita' i professionale ed alle caratteristiche dell'intera azienda, e non soltanto del reparto soppresso, anche attraverso fatti positivi, tali da determinare i presunzioni semplici (come il fatto che dopo il licenziamento e per un congruo periodo non vi siano state nuove assunzioni nella stessa qualifica del lavoratore licenziato ovvero l'impossibilita' di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva).

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 26 marzo 2010, n. 7381



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente

Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - rel. Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere

Dott. MORCAVALLO Ulpiano - Consigliere

Dott. CURZIO Pietro - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 30499-2006 proposto da:

CA. WA. IT. S.R.L., (gia' CA. WA. IT. S.p.A. ed ancora prima AG. VI. GE. S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell'avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

AM. DI. ME. CA. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI 14, presso lo studio dell'avvocato ABATI MANLIO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 5189/2 006 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 21/08/2006 R.G.N. 5239/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/02/2010 dal Consigliere Dott. GIANCARLO D'AGOSTINO;

udito l'Avvocato MARIO MICELI, per delega PESSI ROBERTO;

udito l'Avvocato ABATI MANLIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 22.6.2001 al Tribunale di Roma Am. di. Me. Ca. conveniva in giudizio l' Ag. Vi. Ge. s.p.a. e chiedeva al giudice adito di accertare l'illegittimita' del licenziamento intimatogli in data (OMESSO) per soppressione del posto di lavoro cui era addetto, nonche' di condannare la societa' alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate.

La societa' si costituiva e deduceva che il licenziamento era stato dovuto alla riorganizzazione aziendale ed alla soppressione dell'Ufficio Affari Fiscali, cui il dipendente era addetto, ed alla impossibilita' di ricollocarlo utilmente nell'azienda.

Il Tribunale, espletata l'istruzione, respingeva il ricorso.

Proponeva impugnazione il lavoratore e la Corte di Appello di Roma, con sentenza depositata il 21.8.2006, in riforma della decisione di primo grado, dichiarava la illegittimita' del licenziamento, ordinava la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro con mansioni equivalenti a quelle gia' espletate e condannava la societa' al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla effettiva reintegrazione, oltre accessori.

La Corte osservava che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo doveva ritenersi illegittimo per violazione dell'obbligo di repechage, non avendo la societa', gravata del relativo onere, provato l'impossibilita' di adibire il lavoratore allo svolgimento di mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza nel posto di lavoro soppresso, tenuto anche conto del fatto che nell'anno successivo a quello del licenziamento risultavano assunti 66 nuovi dipendenti aventi la stessa qualifica di "impiegato" propria del licenziato.

Per la cassazione di tale sentenza la societa' Ca. Wa. It. s.r.l. (gia' Ag. Vi. Ge. s.p.a.) ha proposto ricorso con tre morivi.

L'intimato ha resistito con controricorso illustrato con memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione della Legge n. 604 del 1966, articolo 3 la societa' censura la sentenza impugnata per aver affermato che il datore di lavoro non aveva provato l'impossibilita' di ricollocare il dipendente in altra posizione lavorativa. Sostiene la ricorrente che era onere del lavoratore quantomeno allegare ed indicare in quali posti di lavoro potesse essere utilmente riutilizzato, avendo la societa' provato la soppressione dell'ufficio cui il dipendente era addetto.

Con il secondo motivo di ricorso, denunciando violazione dell'articolo 421 c.p.c., comma 2, la societa' si duole che la Corte territoriale, malgrado nel giudizio di appello fosse stata raggiunta una "semipiena probatio" in ordine alla impossibilita' di repechage, non abbia fatto uso del potere-dovere di provvedere d'ufficio agli atti istruttori che erano teoricamente idonei a superare ogni incertezza probatoria.

Con il terzo motivo di ricorso, denunciando omessa ed insufficiente motivazione, la societa' sostiene che la Corte territoriale ha fondato il suo convincimento su un dato di fatto non pacifico e contestato, e cioe' che nell'anno 2000 risultavano assunti altri 66 lavoratori con la stessa qualifica del licenziato; in tal modo la Corte ha erroneamente e irragionevolmente assunto la perfetta equivalenza della generica nozione di "impiegato" contenuta nella nota integrativa al bilancio dell'anno 2000, e riferibile a dipendenti amministrativi addetti al settore organizzazione viaggi, con quella specifica del licenziato, impiegato di concetto adibito al settore fiscale e finanziario soppresso.

Il primo ed il terzo motivo di ricorso, che per la loro connessione e' opportuno esaminare congiuntamente, sono infondati.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che ove il datore di lavoro, giustificazione del licenziamento, adduca, con valutazione rientrante i nell'esercizio della liberta' di iniziativa economica non sindacabile in sede giudiziaria, la necessita' di sopprimere un posto di lavoro, incombe sul medesimo datore di lavoro l'onere di provare l'impossibilita' di assegnare il lavoratore licenziato ad altro posto, con riguardo alla sua capacita' i professionale ed alle caratteristiche dell'intera azienda, e non soltanto del reparto soppresso, anche attraverso fatti positivi, tali da determinare i presunzioni semplici (come il fatto che dopo il licenziamento e per un congruo periodo non vi siano state nuove assunzioni nella stessa qualifica del lavoratore licenziato ovvero l'impossibilita' di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva) (cfr. tra le tante Cass. n. 11720/2009, n. 6552/2009, n. 15500/2009, n. 25883/2008).

Nella specie, trattandosi poi di azienda di grandi dimensioni, non e' censurabile la valutazione del giudice di merito che ritiene non assolto da parte del datore di lavoro il suddetto onere probatorio, sul rilievo - desunto 1 dalla nota integrativa al bilancio dell'anno 2000 - dell'aumento, rispetto al 1999 (anno del licenziamento), del numero dei dipendenti con qualifica di "impiegato" da 291 a 357, nonche' dell'elevato grado di istruzione dell'impiegato licenziato, che lo rendeva utilizzabile anche in settori diversi da quello degli affari fiscali cui era stato in precedenza addetto. In presenza di tale obbiettiva situazione di fatto la valutazione del giudice di appello non e' neppure censurabile per aver omesso di rilevare la mancata allegazione da parte del licenziato di altro possibile posto per il reimpiego.

Infondato e' anche il secondo motivo di ricorso avendo questa Corte precisato che nel rito del lavoro il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex articolo 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull'onere della prova, non e' censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi di prova esperibili (Cass. n. 6023/2009, n. 14731/2006). Nella specie un siffatta richiesta non risulta avanzata al giudice di appello, sicche' l'omesso esercizio di tale potere non e' censurabile in questa sede.

La Corte di Appello ha fatto corretta applicazione dei principi sopra enunciati. Di conseguenza, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese di questo giudizio, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, liquidate in euro 33,00 per esborsi ed in euro duemila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA.

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