E' legittimo il licenziamento del lavoratore che si appropri del denaro dell'azienda anche se a causa di una patologia

La forte spinta al gioco d'azzardo, anche ammesso che assuma dimensioni patologiche, non può giustificare l'appropriazione del danaro da parte di un lavoratore a danno dell'azienda, trattandosi di un comportamento autonomo rispetto all'impulso a giocare d'azzardo, pur se finalizzato a soddisfare questa esigenza. Ne consegue che è legittimio il licenziamento intimato dal datore di lavoro.



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Svolgimento del processo

La Corte d'appello di Campobasso, accogliendo l'appello, ha dichiaralo la legittimità del licenziamento irrogato il 18 febbraio 2000 dalla s.p.a. Poste Italiane al proprio dipendente De G. Salvatore, resosi responsabile, nello svolgimento dei compiti di addetto al recapito (portalettere), dell'appropriazione continuala di somme di danaro riscosse all'atto della consegna di materiale postale gravato di assegno.

La Corte molisana ha rilevato come la forte propensione al gioco d'azzardo riscontrata nel lavoratore non valesse a giustificare o ad attenuare la gravità dell'addebito, quale elemento idoneo a pregiudicare irreparabilmente il vincolo fiduciario. Ricorre per cassazione il De G. . Poste Italiane resiste con controricorso. Disposta la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375. secondo comma, c.p.c., il Pubblico ministero ne ha chiesto, con le conclusioni scritte, il rigetto per manifesta infondatezza. Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Con l'unico motivo, denunciando violazione degli art. 1362 e segg. c.c. in relazione all'art. 52 Ccnl Poste Italiane dell'11 gennaio 2001. degli artt. 2106, 2110 e 2119 c.c., degli artt. 1, 3 e 5 1. n. 604 del 1966, nonché vizio di motivazione, il ricorrente critica l'impugnata sentenza per non aver considerato che in sede di c.t.u. era stato accertato che il dipendente nel momento in cui l'azione illecita fu compiuta si trovava, a causa della patologica dedizione al gioco d'azzardo (videopoker), nella condizione di non poter esercitare un controllo efficace sulla propria volontà, pur presumibilmente capendo il significato di quanto andava compiendo. Di conseguenza, la Corte d'appello avrebbe dovuto escludere la gravità dell'infrazione sotto il profilo soggettivo in relazione al disposto dell'art. 2106 c.c. e considerare che non era in discussione il potere del datore di lavoro di procedere a licenziamento per giusta causa durante la malattia.

Il motivo è infondato. La forte spinta al gioco d'azzardo, anche ammesso che abbia assunto dimensioni patologiche, non può giustificare l'appropriazione del danaro, che il De G. riscuoteva dai consegnatari dei plichi, trattandosi di comportamento autonomo rispetto all'impulso a giocare d'azzardo, pur se finalizzato a soddisfare questa esigenza. Peraltro, la sentenza impugnata riferisce che l'impossessamento illecito del danaro avvenne non in una. ma in più occasioni, sicché si sarebbe dovuto dimostrare, e ciò non è avvenuto. che ogni volta il lavoratore agì sotto un'irrefrenabile spinta a delinquere. Si aggiunga che il De G. non ha mostrato alcuna disponibilità al superamento del suo stato patologico, giacché, come riferisce la Corte di merito, egli "ha più volte mentito allo stesso medico curante ed ha altresì continuato a giocare nonostante la cura", rivelando in tal modo un'assoluta inidoneità alle funzioni. Pertanto, correttamente la Corte d'appello ha ritenuto integrata la giusta causa anche sotto il profilo soggettivo. Il ricorso va pertanto rigettato, con le conseguenze di legge in ordine alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese in € 30,00 per esborsi e in € 3.000,00 per onorario, oltre a spese generali, Iva e Cpa.

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