E' legittimo il licenziamento del lavoratore che usufruisce di permessi per l'assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali

E' legittimo il licenziamento del lavoratore che usufruisce di permessi per l'assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettivita', stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall'ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro che lo devono sostituire, ad una maggiore penosita' della prestazione lavorativa". In materia di licenziamento disciplinare, il principio di necessaria pubblicita' del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto "minimo etico" (Cass. 3 ottobre 2013 n. 22626, V. anche Cass. 18 settembre 2'009 n. 20270 secondo cui in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicita' del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro).

Corte di Cassazione, Sezione L civile, Sentenza 30 aprile 2015, n. 8784



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido - Presidente

Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - rel. Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - Consigliere

Dott. DORONZO Adriana - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 168/2014 proposto da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1189/2013 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 03/10/2013 R.G.N. 962/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito l'Avvocato (OMISSIS) per delega verbale (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello dell'Aquila, riformando la sentenza del Tribunale di Lanciano, rigettava la domanda di (OMISSIS), proposta nei confronti della (OMISSIS) S.p.A., avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento intimatogli da detta societa' per aver, durante la fruizione del permesso per assistere la madre disabile grave partecipato ad una serata danzante.

A base del decisum la Corte del merito poneva la considerazione fondante secondo la quale, nella specie, non rilevava il tipo di assistenza che l' (OMISSIS) doveva fornire alla propria madre handicappata, quanto piuttosto la circostanza che il lavoratore aveva chiesto un giorno di permesso retribuito - Legge n.104 del 1992, ex articolo 33, comma 3, come modificata dalle Legge n. 53 del 2000, e Legge n. 183 del 2010 - per "dedicarsi a qualcosa che nulla aveva a che vedere con l'assistenza".

Cio' che veniva in evidenza, precisava la Corte territoriale, e' che "l' (OMISSIS) aveva usufruito di una parte di questo permesso per finalita' diverse da quelle a cui il permesso mirava, giacche', essendo il permesso richiesto finalizzato all'assistenza di persona portatrice di handicap, egli non poteva chiedere il predetto permesso per altra finalita' del tutto estranea all'assistenza".

Questo comportamento, secondo la predetta Corte, implicava "un disvalore sociale giacche' il lavoratore aveva usufruito di permessi per l'assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettivita', stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall'ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosita' della prestazione lavorativa".

Ne conseguiva, asseriva la Corte di Appello, che "proprio per gli interessi in gioco,l'abuso del diritto, nel caso di specie, era particolarmente odioso e grave ripercuotendosi senz'altro sull'elemento fiduciario trattandosi di condotta idonea a porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti".

Avverso questa sentenza (OMISSIS) ricorre in cassazione sulla base di sette motivi, specificati da memoria.

la societa' intimata resiste con controricorso, illustrato da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima censura parte ricorrente, deducendo violazione dell'articolo 33 della legge (Legge n. 104 del 1992), sostiene che la Corte del merito non ha fatto corretta applicazione della richiamata norma poiche' non ha tenuto conto che la relativa disciplina, come modificata dalle successive leggi, non richiede il requisito della continuita' ed esclusivita' dell'assistenza cui bisogna aver riguardo ai fini del legittimo esercizio dei permessi.

Con il secondo motivo l' (OMISSIS), denunciando violazione dell'articolo 112 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, prospetta che la Corte del merito, nell'affermare che non vi e' prova che il lavoratore dopo la festa danzante abbia utilizzato le ore di permesso per assistere la madre, si e' posta fuori dal tema decidendum non essendo oggetto di contestazione disciplinare la circostanza concernente l'utilizzazione delle residue ore di permesso.

Con la terza critica il ricorrente,allegando violazione dell'articolo 2697 c.c., e Legge n. 604 del 1966, articolo 5, assume che la Corte del merito ha erroneamente posto a suo carico la prova dell'avvenuta assistenza alla madre per il periodo successivo al suo ritorno a casa.

Con la quarta censura l' (OMISSIS), deducendo violazione degli articoli 112 e 132 c.p.c., nonche' articolo 111 Cost., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4, prospetta che la Corte del merito, non tenendo conto che era stata richiesta una specifica prova da esso ricorrente sull'avvenuta assistenza alla madre per il periodo successivo al suo ritorno a casa, non fornisce una motivazione congrua e logica ai sensi dell'articolo 132 c.p.c..

Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione degli articoli 132 e 112 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4, e violazione ed omessa applicazione del CCNL specifico di primo livelli del 3 dicembre 2011, prospetta che la Corte del merito erroneamente non ha esaminato la deduzione secondo la quale il fatto contestato era assimilabile all'assenza ingiustificata per la quale il richiamato CCNL prevede solo una sanzione conservativa.

Con la sesta censura l' (OMISSIS), asserendo violazione degli articoli 132 e 112 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4, e violazione della Legge n. 300 del 1970, articolo 7, prospetta che la Corte del merito erroneamente non ha esaminato l'eccezione della mancata affissione in azienda del codice disciplinare.

Con il settimo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'articolo 2119 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, sostiene che la Corte del merito non ha tenuto conto ai fini della valutazione della proporzionalita' tra fatto addebitato e sanzione delle circostanze concernenti rispettivamente: l'assimilabilita' del comportamento addebitato ad una ipotesi per la quale il ceni prevede una sanzione conservativa; la convinzione del lavoratore di aver agito legittimamente a mente della Legge n. 104 del 1992, articolo 33, e delle circolari INPS; la mancanza di precedenti disciplinari.

Le censure che, in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico giuridico vanno tratte unitariamente, sono infondate.

E' opportuno premettere che la riformulazione, applicabile nel caso di specie ratione temporis, dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'articolo 12 preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimita' sulla motivazione e conseguentemente, e' denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in se', purche' il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053 e Cass. S.U. 22 settembre 2014 n. 19881).

Tanto precisato va, altresi', rimarcato che il decisimi della sentenza impugnata si fonda, non sul tipo di assistenza Legge n. 104 del 1992, ex articolo 33, comma 3, cosi' come modificato dalle successive leggi, che l' (OMISSIS) doveva fornire alla madre handicappata, quanto piuttosto sul rilievo della utilizzazione del permesso retribuito per finalita' diverse da quelle per il quale il legislatore ha previsto il diritto al permesso retribuito.

Sono, pertanto, del tutto estranee al tema decidendum tutte le critiche che vengono mosse all'impugnata sentenza sotto il profilo appunto della interpretazione della normativa di cui alla richiamata Legge n. 104 del 1992, articolo 33, comma 3, e successive modifiche.

Analogamente non costituisce ratio decidendi autonoma e fondante il rilievo della Corte del merito secondo il quale non emerge la prova che le residue ore di permesso sarebbero state utilizzate per l'assistenza alla madre.

Tale asserzione,infatti, va letta in uno alla osservazione secondo la quale "il comportamento del lavoratore, infatti, non sarebbe meno grave per il fatto che per una parte si e' divertito e per l'altra parte ha assistito alla madre, cio' che rileva e' che se anche cosi' fossero andate le cose comunque l' (OMISSIS) ha usufruito di una parte di questo permesso per finalita' diverse da quelle a cui il permesso mira".

E', quindi, evidente che nell'economia motivazionale della sentenza impugnata la ragione fondante del decisum non e' la mancata prova della avvenuta assistenza alla madre per le ore residue, ma, come, detto, la utilizzazione, in conformita' alla contestazione disciplinare (cosi' come riprodotta dal ricorrente nel ricorso), di una parte oraria del permesso in esame per finalita' diverse da quelle per il quale il permesso e' stato riconosciuto.

Conseguentemente non hanno valenza decisiva le censure che riguardano la mancata dimostrazione della utilizzazione delle ore residue del permesso e, quindi, in particolare la deduzione della violazione dell'onere della prova e della mancata ammissione della prova per testi sul punto in esame.

L'accertato disvalore sociale del comportamento del lavoratore ed il ritenuto abuso del diritto danno conto delle ragioni per le quali la Corte del merito, sia pure implicitamente, ha ritenuto irrilevante la questione della mancata affissione del codice disciplinare.

Costituisce,invero, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimita' l'affermazione secondo la quale in materia di licenziamento disciplinare, il principio di necessaria pubblicita' del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto "minimo etico" (Cass. 3 ottobre 2013 n. 22626, V. anche Cass. 18 settembre 2'009 n. 20270 secondo cui in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicita' del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro).

Tanto comporta, altresi', l'irrilevanza della deduzione concernente l'assimilabilita' del fatto contestato all'ipotesi di assenza ingiustificata prevista dal CCNL, atteso che la Corte del merito assegna al comportamento dell' (OMISSIS) una portata ben piu' ampia di quella dell'assenza ingiustificata che esclude di per se' la prospettata assimilabilita'.

Per analoghe ragioni e' da escludersi la decisivita' delle circostanze concernenti la convinzione del lavoratore di aver agito legittimamente a mente della Legge n. 104 del 1992, articolo 33, e delle circolari INPS e della mancanza di precedenti disciplinari.

Invero a tali fini non puo' non venire in considerazione il rilievo della Corte del merito secondo il quale il comportamento tenuto dall' (OMISSIS) implica "un disvalore sociale giacche' il lavoratore aveva usufruito di permessi per l'assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettivita', stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall'ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro che lo devono sostituire, ad una maggiore penosita' della prestazione lavorativa".

Ed e' proprio questo accertato e ritenuto disvalore sociale che, in quanto proprio del comune sentire, rende irrilevante le deduzioni in esame.

Del resto la Corte territoriale non manca di rimarcare che "proprio per gli interessi in gioco,l'abuso del diritto, nel caso di specie, e' particolarmente odioso e grave ripercotendosi senz'altro sull'elemento fiduciario trattandosi di condotta" idonea a porre in dubbio "la futura correttezza dell'adempimento in quanto sintomatica di certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti.

Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali rimangono assorbite tutte le ulteriori critiche, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimita' seguono la soccombenza.

Si da atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita' liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi oltre accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
 

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