I permessi retribuiti per motivi di studio devono essere riconosciuti anche ai lavoratori a tempo determinato

In base ad un'interpretazione coerente con il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato, sancito dal Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368, articolo 6, in attuazione della direttiva comunitaria 70/1999 relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES, deve ritenersi che l'articolo 13 del c.c.n.l. del 16 maggio 2001, relativo al comparto Ministeri e integrativo del precedente c.c.n.l. del 16 febbraio 1999, nel prevedere la fruibilita' di permessi retribuiti per motivi di studio, nella misura di 150 ore, da parte dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non esclude che i medesimi permessi debbano essere concessi a dipendenti assunti a tempo determinato, sempre che non vi sia un'obiettiva incompatibilita' in relazione alla natura del singolo contratto a termine; ne' l'esclusione del beneficio potrebbe giustificarsi, in ragione della mera apposizione del termine di durata contrattuale, per l'assenza di uno specifico interesse della pubblica amministrazione alla elevazione culturale dei dipendenti, giacche' la fruizione dei permessi di studio prescinde dalla sussistenza di un tale interesse in capo al datore di lavoro, pubblico o privato, essendo riconducibile a diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione (articoli 2 e 34 Cost.) e dalla Convenzione dei diritti dell'uomo (articolo 2 Protocollo addizionale CEDU), e tutelati dalla legge in relazione ai diritti dei lavoratori studenti (Legge n. 300 del 1970, articolo 10)".

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 17 febbraio 2011, n. 3871



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente

Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere

Dott. MORCAVALLO Ulpiano - rel. Consigliere

Dott. MANCINO Rossana - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11685/2007 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- ricorrente -

contro

MA. CA. ;

- intimato -

avverso la sentenza n. 55/2006 della CORTE D'APPELLO di TRENTO, depositata il 18/10/2006 r.g.n. 47/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/01/2011 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Ma.Ca. , dipendente del Ministero della Giustizia assunto a tempo determinato, in servizio presso la Procura Generale presso la Corte d'appello di Trento, si rivolgeva al Tribunale di quella citta', in funzione di giudice del lavoro, per sentire dichiarare il suo diritto a fruire dei permessi retribuiti per motivi di studio, con la conseguente disapplicazione del provvedimento dell'ufficio giudiziario in data (OMESSO), con cui egli era stato escluso dalla graduatoria per le "150 ore" con la motivazione che, ai sensi dell'articolo 13 del c.c.n.l. del 16 maggio 2001, i permessi erano fruibili solo dal personale assunto a tempo indeterminato. Il Tribunale adito accoglieva la domanda e la decisione veniva confermata dalla Corte d'appello di Trento, che, con la sentenza qui impugnata, respingeva il gravame proposto dal Ministero. In particolare, la Corte di merito rilevava che la disposizione contrattuale, che testualmente prevedeva i permessi di studio per i lavoratori a tempo indeterminato, non poteva essere interpretata nel senso di escludere, invece, i lavoratori assunti a tempo determinato, che la clausola, cosi' intesa, sarebbe stata in evidente contrasto con il principio di non discriminazione sancito dalla direttiva CE n. 70 del 1999 e dall'articolo 6 del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, attuativo di tale direttiva; d'altra parte, la

concessione dei permessi di studio anche ai lavoratori a termine era stata esplicitamente prevista dal successivo accordo sindacale del 28 luglio 2003, si' che la determinazione della p.a. doveva considerarsi comunque invalida.

2. Di questa decisione il Ministero della Giustizia domanda la cassazione con un unico motivo di impugnazione. Il dipendente intimato non ha svolto difese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l'unico motivo si domanda alla Corte, ai sensi dell'articolo Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 6, che si limita a garantire la parita' di trattamento, per i lavoratori a termine, con esclusivo riferimento agli istituti economici; d'altra parte, anche l'AR. , investita della questione, con propria nota in data 7 febbraio 2005 aveva chiarito che la parita' non doveva intendersi in modo assoluto, che alcuni istituti non sono compatibili con la temporaneita' della prestazione; infine, nessun rilievo puo' assumere il contratto integrativo indicato dalla Corte d'appello, che non puo' contenere clausole difformi o contrarie rispetto alle previsioni della contrattazione collettiva nazionale, ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 40.

2. Il ricorso e' infondato.

2.1. La direttiva 1999/70 CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, ha recepito, dandovi attuazione, l'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (Unione delle confederazioni della Comunita' Europea-UNICE, Centro Europeo dell'impresa a partecipazione pubblica-CEEP, Confederazione Europea dei sindacati-CES). La clausola n. 1, lettera a), di tale accordo stabilisce come obiettivo fondamentale quello di migliorare la qualita' del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione; la clausola n. 4, piu' specificamente, dispone che i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole, rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili, per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non esistano ragioni oggettive; e, se del caso, deve trovare applicazione il criterio del pro rata temporis; inoltre, la clausola n. 6 dispone che i datori di lavoro debbano agevolare l'accesso dei lavoratori a tempo determinato a opportunita' di formazione adeguate, per aumentarne le qualifiche, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilita' occupazionale.

2.2. La direttiva comunitaria ha trovato attuazione nell'ordinamento interno mediante il Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368. In particolare, l'articolo 6, relativo al principio di non discriminazione, dispone che al prestatore a tempo determinato spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilita', il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, e in proporzione al periodo lavorativo prestato, sempre che tale trattamento non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine. L'articolo 7 recepisce la previsione dell'accordo quadro relativo alla necessita' di agevolare i lavoratori a tempo determinato per l'accesso ad opportunita' di formazione adeguata per aumentarne la qualificazione, promuoverne la carriera e favorirne la occupazione. Infine, l'articolo 10 dispone la esclusione dal campo di applicazione del decreto di alcuni contratti e rapporti a termine, in quanto disciplinati da specifiche normative, come i contratti di formazione e lavoro, i rapporti di apprendistato, le assunzioni nel settore del turismo e dei pubblici servizi per l'esecuzione di lavori di durata non superiore a tre giorni, ecc..

2.3. La ricognizione normativa consente di configurare il principio di non discriminazione in relazione a specifiche connotazioni, rilevanti nella controversia in esame. In primo luogo, il principio e' esteso ad ogni trattamento, sia economico che normativo, come indica il chiaro riferimento ad "ogni altro trattamento in atto nell'impresa", oltre che la espressa menzione, fra i diritti oggetto di applicazione della norma dettata dall'articolo 6 cit., dell'istituto delle ferie, che solo indirettamente e' legato alla retribuzione ed e' connesso, in via diretta, al diritto al riposo del prestatore di lavoro. In secondo luogo, la previsione di eccezioni al principio di non discriminazione si riferisce ad oggettive incompatibilita' - di determinati trattamenti previsti per gli altri lavoratori - con la natura del singolo contratto a termine: la incompatibilita', quindi, deve essere obiettiva e, in particolare, deve riguardare, non gia' la mera esistenza del termine di durata del contratto, bensi' la natura dello specifico rapporto, con la conseguenza che l'ostacolo che impedisce il riconoscimento di un determinato diritto, non solo deve rivelarsi non eliminabile con frazionamenti temporali del trattamento mediante il criterio del pro rata temporis, ma deve, altresi', essere valutato in concreto in relazione alle specifiche modalita' di svolgimento del rapporto e alle obiettive esigenze e finalita' su cui si fonda la legittima apposizione del termine di durata del contratto.

2.4. In base a tali precisazioni va interpretata la disposizione dell'articolo 13 del contratto collettivo del comparto Ministeri, che e' oggetto di diretta esegesi in questa sede, ai sensi dell'articolo Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 6, la' dove il mancato riconoscimento, ai lavoratori a tempo determinato, di trattamenti previsti per i lavoratori a tempo indeterminato e' ammesso esclusivamente in ragione di un'oggettiva incompatibilita' riferita, in concreto, alla natura del singolo rapporto a termine. Nella specie, al contrario, la difficolta' dedotta dall'Amministrazione datrice di lavoro prescinde del tutto da valutazioni afferenti alle specifiche modalita' di svolgimento della prestazione, in relazione agli obiettivi e alle esigenze che poterono giustificare l'assunzione a tempo determinato, che, anzi, come la sentenza impugnata ha espressamente accertato, il dipendente, assunto a termine con successivi contratti, aveva sempre fruito dei permessi di studio, anche successivamente alla stipula del c.c.n.l. del 2001, sino alle nuove determinazioni ministeriali, assunte solo nell'anno 2005 a seguito di note di chiarimento dell'AR. .

2.5. Non puo' avere rilievo l'assunto del Ministero ricorrente, secondo cui la tipologia del rapporto, in relazione alla limitata durata del contratto, impedisce all'Amministrazione di avvalersi della elevazione culturale conseguente alla fruizione dei permessi di studio. Ed infatti il riconoscimento di determinati benefici, quali quelli in esame, prescinde da un siffatto interesse del datore di lavoro, pubblico o privato, essendo diretto alla concreta attuazione di fondamentali garanzie costituzionali, riconosciute nell'ordinamento internazionale e recepite altresi' dal Legislatore nella definizione dei diritti spettanti ai lavoratori studenti (articoli 41 e 97 Cost.).

2.6. Deve pertanto affermarsi il seguente principio di diritto: "In base ad un'interpretazione coerente con il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato, sancito dal Legge n. 300 del 1970, articolo 10)".

3. La sentenza della Corte d'appello di Trento e' conforme a tale principio e, pertanto, il ricorso del Ministero va rigettato. Non si provvede sulle spese del giudizio in assenza di difese da parte del dipendente intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
 

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