Il consigliere di parità rafforza gli strumenti per realizzare l'eguale dignità dei lavoratori negli ambienti di lavoro e impedire che si crei un clima intimidatorio

La Consigliera o il Consigliere regionale di parità sono legittimati a costituirsi parte civile nel procedimento penale non quale ente rappresentativo di interessi diffusi, ma quale soggetto danneggiato dal reato, laddove lo stesso sia commesso sul luogo di lavoro e la condotta posta in essere dall'autore del reato rivesta carattere discriminatorio collettivo.
(Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 16 aprile 2009, n. 16031)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente

Dott. SERPICO Francesco - Consigliere

Dott. MILO Nicola - Consigliere

Dott. LANZA Luigi - Consigliere

Dott. CARCANO Domenico - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) AL. CL. N. IL (OMESSO);

avverso SENTENZA del 19/06/2007 GIP TRIBUNALE di TORINO;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARCANO DOMENICO;

lette le conclusioni del P.G. per l'inammissibilita' del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, il giudice per le indagini preliminari ha applicato ex articolo 444 ss. c.p.p. nei confronti di Al.Cl. e in relazione all'accusa di maltrattamenti - per avere, nella qualita' di "supervisore", ripetutamente maltrattato cinque operatrici di sala, dipendenti della Spa Sa. e in servizio presso l'aeroporto di (OMESSO) - la pena richiesta dalle parti e ha inoltre condannato l'imputato alla rifusione delle spese di costituzione, assistenza e rappresentanza in favore delle costituite parti civili, tra le quali, oltre alle persone offese, vi erano l'avv.to Alida Vitali quale Consigliera delle parita' regionale del Piemonte e la Filt CGIL, in persona del suo segretario generale pro tempore.

2. La difesa del ricorrente impugna e l'ordinanza 10 maggio 2007 e la sentenza de qua nella parte in cui, l'una ha ammesso la costituzione ex parte civile della Consigliera regionale di parita' e, l'altra, ha condannato l'imputato alla refusione delle spese in favore in suo favore.

In sintesi deduce:

1. inosservanza o erronea applicazione della legge penale e di norme processuali, poiche' la Consigliera regionale di parita' non avrebbe potuto essere ammessa a costituirsi parti civile, essendo priva della legitimatio ad causam.

Premesse le ragioni a fondamento dell'ammissibilita' dell'impugnazione proposta, il ricorrente pone in rilevo che, nell'atto di costituzione, l'ente regionale persegue un interesse pubblico, in se' astratto e diffuso, che non avrebbe potuto giustificare la legitimatio ad causam: gli interessi diffusi, comuni a tutti gli individui in generale non possono che essere privi di tutela giurisdizionale poiche' configurano un a pluralita' di situazioni pregiudicate o messe in pericolo e da un comportamento. La specifica caratterizzazione della titolarita' di tale situazione giuridica soggettiva sostanziale - distinta sia rispetto ai diritti individuali dei rappresentati che rispetto ai diritti propri degli enti rappresentativi - richiede che sia una legge a definire, in relazione alla specificita' dei casi, la legittimazione ad agire.

La disciplina processuale vigente, alla stregua del combinato disposto dell'articolo 74 c.p.p. e articolo 185 c.p., richiede che presupposti della costituzione sono la sussistenza del danno criminale e del danno civile.

Gli enti e le associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato sono legittimati ex articolo 91 c.p.p. a esercitare diritti e facolta' propri della persona offesa e cio' non e' implicito riconoscimento a costituirsi parte civile. La non sovrapponibilita' tra l'istituto di cui all'articolo 91 c.p.p. e la costituzione di parte civile discende dall'articolo 212 disp. coord. c.p.p. per il quale il fondamento dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale non puo' che essere individuato dall'articolo 74 c.p.p..

Si pone in rilievo che il codice delle pari opportunita', con riguardo al Consigliere regionale di parita', non prevede alcuna legittimazione alla costituzione di parte civile. La legittimazione e' circoscritta ad ambiti precisi e diversi dal processo penale.

La legittimazione processuale prevista dal Decreto Legislativo n. 198 del 2006 articoli 36 e 37 fa riferimento all'azione in giudizio volta a ottenere la dichiarazione o l'accertamento di discriminazioni, eventualmente anche a carattere collettivo. Si tratta di legittimazione specifica e caratterizzata da situazioni ben definite e vincolata all'azione giudiziale intrapresa in campo giuslavoristico e che, al di la' delle ipotesi di azione diretta all'accertamento di pratiche discriminatorie a carattere collettivo, la partecipazione del Consigliere non puo' essere autonoma ma vincolata all'iniziativa della persona interessata e al conferimento di delega allo stesso ente ovvero e' riconosciuta la possibilita' di un intervento ad adiuvandum ex articolo 105 c.p.c..

In tale contesto, non puo' trovare applicazione l'articolo 212 disp. coord. c.p.p., poiche' non vi e' una legge o regolamento che preveda la costituzione di parte civile della Consigliera delle parita'. Peraltro, anche la' dove dovere ritenersi applicabile l'anzidetto disposizione, la costituzione di parte civile o l'intervento nel processo al di fuori delle ipotesi stabilite dall'articolo 74 c.p.p., detto intervento puo' essere ammesso nei limiti e alle condizioni previste negli articoli 91 c.p.p. e ss. e, pertanto, solo la' dove vi sia il consenso della persona offesa ex articolo 94 c.p.p., risultante da atto scritto o da scrittura privata autenticata.

Altro profilo che il ricorrente pone in rilievo e' la mancanza di una lesione alla tutela del patrimonio morale e al perseguimento dello scopo istituzionale derivanti dalla diminuzione del prestigio e dal discredito nei confronti dei lavoratori. Posto che dato incontrovertibile e' che l'interesse pubblico cui e' collegato la posizione della Consigliera di parita' e' quello della promozione e del controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza di opportunita' e di non discriminazione, il ricorrente ritiene che il delitto di maltrattamenti, nella configurazione giuridica riconosciutagli, consiste nell'offesa indubbiamente individuale e cio' esclude che l'interesse cui e' preordinato l'ente regionale possa essere leso dalla condotta incriminatrice de qua. La fondatezza della pretesa risarcitoria deve derivare da un diretta e immediata lesione al diritto di personalita' dell'ente e non puo' derivare da un mero collegamento ideologico.

Il delitto di maltrattamenti potrebbe arrecare alla Consigliera esclusivamente un danno morale che nella specie non puo' coincidere con una generica lesione dell'interesse dell'ente al raggiungimento dei propri scopi.

Infine, per il ricorrente e' da escludere che configuri un danno "riflesso", inteso ne senso della propagazione delle conseguenze dell'illecito alle cd. vittime secondarie. Affinche' cio' possa essere ammesso e necessario che vi sia una lesione etiologicamente collegata con il fatto illecito. Connessione tra una condotta illecita che incida sulla integrita' psicofisica e sul patrimonio morale di un lavoratore, rispetto alla lesione dello scopo statutario di un ente che si proponga finalita' di tutela dell'uguaglianza di opportunita' e della parita' di trattamento nel mondo del lavoro.

3. La difesa della consigliera di parita' della regione Piemonte rileva la corretta applicazione della disciplina in tema di costituzione parte civile degli enti esponenziali. Pone in rilievo la non operativita' dell'articolo 212 disp. coord. c.p.p. e articolo 91 c.p.p., in quanto la consigliera di parita' si e' costituita ex articolo 74 c.p.p. quale soggetto danneggiato. Il codice delle pari opportunita' prevede agli articoli 36 e 37, oltre che per la costituzione in giudizio con delega dell'interessato, anche l'azione collettiva diretta della consigliera di parita' volta a ottenere il risarcimento di danni non patrimoniali in caso di discriminazione in ambiente di lavoro.

3. Tale e' la sintesi ex articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1 dei termini delle questioni poste.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e' infondato.

Il giudice di merito ha correttamente riconosciuto alla Consigliera regionale di parita' la legitimatio ad causam in ragione degli scopi istituzionali di intervento. In particolare, alla Consigliera di parita' l'ordinamento riconosce la tutela alla promozione dei principi di pari opportunita' e di non discriminazione sessuale tra uomini e donne nell'ambiente di lavoro.

Mette conto rilevare che il Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198, articolo 15, recante "il codice delle pari opportunita'" ridefinisce, rispetto alla Legge n. 125 del 1991 compiti e funzioni della Consigliera o Consigliere di parita', riproducendo quanto gia' stabilito dal Decreto Legislativo n. 196 del 2000.

Tra le molteplici funzioni spiccano, oltre alla rilevazione di "situazioni di squilibrio" per la garanzia contro le discriminazioni, i compiti di promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l'impiego di risorse comunitarie, nazionali e locali per raggiungere le finalita' "...di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunita'"...azioni positive dirette ... a favorire l'occupazione femminile e realizzare l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro" (Decreto Legislativo n. 198 del 2006 articolo 42).

Tale complessivo contesto normativo, ritiene il Collegio, riconosce alla Consigliera o al Consigliere di parita' un rafforzamento di strumenti per realizzare la pari dignita' dei lavoratori negli ambienti di lavoro ed impedire che si crei un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Non e' da revocare in dubbio che i comportamenti, sui quali si fonda l'accusa formulata all'odierno ricorrente, abbiano concretizzato il delitto di maltrattamenti rispetto al quale si configura una posizione soggettiva giuridicamente tutelata della consigliera di parita', quale soggetto danneggiato dal reato.

A conclusioni analoghe si e' pervenuti per le organizzazioni sindacali, rappresentative degli iscritti vittime di violenza sessuale commessa sul luogo di lavoro che possono costituirsi parte civile ed ottenere il risarcimento del danno, in quanto tale delitto lede l'integrita' psico-fisica del lavoratore e provoca un grave turbamento che viola la personalita' morale e la salute della vittima, compromettendone la stabilita' psicologica ed il rapporto con la realta' lavorativa e la percezione del luogo.

Ed e' cosi' ritenuta legittima la costituzione di parte civile "iure proprio" dell'organizzazione sindacale di appartenenza del lavoratore vittima del reato di violenza sessuale posto in essere sul luogo di lavoro, in quanto la condotta integrante tale reato e' idonea a provocare un danno sia alle persone offese che al sindacato, per la concomitante incidenza sulla dignita' lavorativa e sulla serenita' del lavoratore che ne e' vittima e, inoltre, perche' tale condotta e' in contrasto con il fine perseguito dal sindacato, costituito dalla tutela della condizione lavorativa e di vita degli iscritti sui luoghi di lavoro (Sez. 3, 7 febbraio 2008, dep. 26 marzo 2008, n. 12738).

Ritiene il Collegio che la Consigliere o il Consigliere regionale di parita' siano legittimati a costituirsi parte civile, non quale ente rappresentativo di interessi diffusi ma quale "danneggiato" dal reato di maltratti menti commessi nei confronti di piu' lavoratori, al fine di ottenere il ristoro del danno non patrimoniale subito.

2. La legittimano ad causarti e la costituzione "iure proprio", quale parte civile, della Consigliera o del Consigliere regionale delle parita' - e nei casi di rilievo nazionale anche della Consigliera o Consigliere nazionale - non e' altro che la pretesa volta a ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale che il Decreto Legislativo n. 198 del 2006 articolo 37 commi 1 e 2, "codice delle pari opportunita'" espressamente riconosce loro, mediante ricorso davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale competenti per territorio, nell'ipotesi in cui sia rilevata "...l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo". Pretesa risarcitoria che - oltre ad essere rivolta a ottenere la liquidazione del danno non patrimoniale, qualora richiesto e nel caso ne ricorrano le condizioni - e' diretta all'adozione di provvedimenti idonei a alla rimozione delle discriminazioni accertate.

Una pretesa risarcitoria che legittima i titolari di essa - e dunque non solo i singoli lavoratori, ma anche la Consigliera o il Consigliere di parita' - a costituirsi parte civile nel caso di procedimenti per fatti delittuosi commessi a danno di piu' lavoratori e dai quali emergano comportamenti diretti o indiretti di carattere discriminatorio "collettivo".

Non e' da revocare in dubbio che i maltrattamenti - consistiti nel pronunciare ripetutamele frasi scurrili, indirizzate alle dipendenti, del tipo "ce lo piccolo, ma cattivo e profumato", nel fare riferimento alle proprie doti sessuali, lasciando intendere, con espressioni come "tutto a un prezzo", che non sarebbero stati concessi permessi o ferie se non dietro prestazioni sessuali, umiliando le lavoratrici davanti ai colleghi con frasi come "ste' quattro puttane che non fanno niente tutto il giorno...", nel fare ripetute avances e imponendo alle dipendenti mansioni piu' gravose, ripetitive e/o inutili rispetto a quanto ordinato agli altri lavoratori - ledano la dignita' personale e l'integrita' psicofisica delle lavoratrici o dei lavoratori. Si e' in presenza di atti che realizzano per un verso una "discriminazioni diretta" ex articolo 25, comma 1, del codice delle pari opportunita', trattandosi di comportamenti che producono un effetto pregiudizievole discriminatorio rispetto alle lavoratrici. Per altro verso, realizzano indubbi comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso e in ogni caso aventi "...lo scopo o l'effetto di violare la dignita' di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo" (articolo 26, comma 1, del codice).

3. La diversita' di sedi giudiziarie davanti alle quali far valere la pretesa risarcitoria e indubbiamente correlata alla tutela richiesta per ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale.

Come noto, il danno non patrimoniale e' risarcibile nei soli casi "previsti dalla legge", e cioe', secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 2059 cod. civ.: a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avra' diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorche' privo di rilevanza costituzionale; b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche il di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avra' diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avra' diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati "ex ante" dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice (Sez. un. civ., 11 novembre 2008, 26972).

Una azione collettiva, dunque, che la Consigliera di parita' della regione Piemonte ha promosso, allo scopo di sentirsi riconosce il diritto a ottenere il danno patrimoniale ture proprio, nell'ambito del processo penale per la realizzazione di diritti e interessi che la legge espressamente le riconosce e tutela.

Si e', infatti, in presenza di un vero e proprio danneggiato dal reato, cui e' consentito azionare l'articolo 74 c.p.p. per il ristoro del danno subito. Per tal motivo, e' da escludere l'operativita' nella concreta fattispecie dell'articolo 212 disp. coord. c.p.p. - piu' volte richiamato dal ricorrente a fondamento dell'impugnazione proposta - la' dove l'ente rivesta, in ragione del ruolo e finalita' che l'ordinamento gli riconosce, la posizione di soggetto danneggiato dal reato tutelata dall'articolo 185 c.p. e articolo 74 c.p.p..

4. Il ricorso e' infondato e va rigettato. Il ricorrente, a norma dell'art 616 c.p.p., va condannato al pagamento delle spese processuali, nonche' al rimborso in favore della parte civile, Consigliera regionale di parita', delle spese del grado che si liquidano in complessive euro 2.000,00, oltre IVA e CPA.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna altresi' a rimborsare alla parte civile, Consigliere regionale di parita', le spese del grado che si liquidano in complessive euro 2.000,00, oltre IVA e CPA.

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