Il dipendente di un patronato illegittimamente licenziato ha diritto alla reintegrazione nel posto del lavoro

Il dipendente di un patronato illegittimamente licenziato ha diritto alla reintegrazione nel posto del lavoro. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, con sentenza del 20 novembre 2007, n. 24043. Nella fattispecie la Corte Territoriale aveva negato il diritto alla reintegrazione in quanto ha ritenuto il patronato una organizzazione senza fine di lucro, svolgente attività assistenziale, riconducibile alla categoria delle “organizzazioni di tendenza” che l’art. 4 della legge n. 108/90 esenta dall’applicazione dell’art. 18 St. Lavoratori. Diversamente, a detta della S.C., l’attività degli istituti di patronato e di assistenza sociale non è politica né sindacale, perché non concorre alla composizione dei contrasti di interessi collettivi e in particolare dei conflitti relativi ai processi produttivi.



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SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 11518.05

FA. NI. in atti generalizzato, rappresentato e difeso dall'avv. Ippolito Giulio Raffaele per delega a margine del ricorso, elett. dom. in Roma presso lo studio del difensore, via Sallustiana 26;

- ricorrente -

contro

PATRONATO SI. - SE. IT. DI. AS. SO. con sede in (OMESSO), in persona del legale rappresentante pro tempore Presidente dott. Co. Ca., rappresentato e difeso dall'avv. Concetti Domenico per delega a margine del controricorso, elett. dom in Roma presso lo studio dell'avv. Concetti Domenico, piazza Martiri di Belfiore 2;

- intimato controricorrente -

avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno n. 510.04 in data 31.3.2004, depositata il 28.4.2004;

udita la relazione della causa fatta dal dott. DI NUBILA Vincenzo all'udienza del 10.10.2007;

udito per il ricorrente l'avv. Cannone Domenico per delega dell'avv. Ippolito;

udito per il resistente l'avv. Concetti;

udito il Procuratore Generale in persona del Sostituto Dott. VELARDI Maurizio, il quale ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato in data 24.4.2002, Fa. Ni. impugnava il licenziamento intimatogli dal Patronato SI., suo datore di lavoro. Sosteneva l'attore che gli addebiti mossigli (irregolare scritturazione delle schede di presenza, falsa attestazione, inosservanza dell'orario di lavoro, violazione dell'obbligo di fedelta' e correttezza) non sussistevano. Deduceva inoltre la natura ritorsiva e discriminatoria del predetto licenziamento, preceduto da un immotivato trasferimento dalla sede di (OMESSO), nonostante la stessa avesse raggiunto il punteggio minimo previsto per il mantenimento dell'unita' organica. Chiedeva l'attore la reintegrazione nel posto di lavoro, salvo il proprio diritto di opzione di cui la Legge n. 300 del 1970, articolo 18 comma 5.

2. Si costituiva il patronato SI. convenuto ed eccepiva l'inammissibilita' della domanda per genericita' del ricorso introduttivo, l'incompetenza territoriale e funzionale del Giudice adito, la sussistenza di un giustificato licenziamento a causa della continua assenza del lavoratore accompagnata da false attestazioni sui fogli di presenza. Esperiva domanda riconvenzionale per i danni. 3. Con sentenza in data 10.7.2003, il Tribunale di Salerno accoglieva parzialmente la domanda attrice: annullava il licenziamento e condannava il patronato convenuto alla reintegrazione, oltre al pagamento di cinque mensilita' di retribuzione ed al versamento della retribuzione corrente. Rigettava la domanda riconvenzionale. Il Giudice riteneva non sussistente e non provata la principale violazione, vale a dire l'assenza dal lavoro del Fa. il pomeriggio; riteneva regolare l'apposizione delle firme sui fogli di presenza; poteva darsi che l'attore, dopo una "traumatica" esperienza nata da un trasferimento ad (OMESSO) poi sospeso e del trasferimento a (OMESSO) "non fosse pienamente rispettoso" dell'orario di lavoro, ma tale circostanza, peraltro non compiutamente provata, non era cosi' grave, trattandosi di un rapporto di lavoro ultradecennale, a giustificare un licenziamento.

4. Proponeva appello il Patronato SI. ed in tale sede, per la prima volta, eccepiva l'inapplicabilita' della "tutela reale", perche' esso datore di lavoro costituiva una associazione di tendenza. A tale eccezione si opponeva prontamente l'attore, che ne eccepiva la tardivita' e l'inammissibilita'. Proponeva appello incidentale, dolendosi che il risarcimento del danno fosse stato liquidato in misura insufficiente, onde instava per la condanna di controparte al pagamento di tutte le retribuzioni "medio tempore" maturate, o in subordine al pagamento di dieci mensilita'.

5. La Corte di Appello di Salerno riformava la sentenza di primo grado: riteneva il licenziamento ingiustificato, ma condannava il Patronato alla riassunzione ovvero al pagamento di cinque mensilita' di retribuzione. Questa, in sintesi, la motivazione della sentenza di appello: la tutela reale e' inapplicabile alla fattispecie, in quanto il datore di lavoro si identifica in una organizzazione senza fine di lucro, riconducibile alla categoria dei datori di lavoro non imprenditori, svolgente attivita' di natura "politica, sindacale, culturale, di istruzione, di religione o di culto", a sensi della Legge n. 108 del 1990, articolo 4 comma 1;

quanto precede non e' oggetto di una eccezione in senso stretto e la relativa questione puo' essere rilevata di ufficio anche in appello: nella specie si ravvisa l'espletamento di un servizio "rivolto unicamente agli iscritti in una forma di assistenza o comunque di sostegno all'attivita' professionale della categoria rappresentata"; dall'esame dello statuto del Patronato si ricava che lo scopo perseguito e' quello di assistere e tutelare gratuitamente i lavoratori e loro aventi causa per il conseguimento in sede amministrativa delle prestazioni di qualsiasi genere di natura previdenziale e assistenziale, nonche' l'eventuale tutela giudiziaria;

siamo quindi dinanzi ad una organizzazione di tendenza, come tale esente dall'applicabilita' della Legge n. 30 del 1970, articolo 18;

quanto al merito, viene confermata la valutazione compiuta dal primo giudice: previa dettagliata disamina degli addebiti e delle risultanze processuali, espunte alcune contestazioni tardive, la Corte di Appello giunge alla conclusione che si tratta di addebiti da ridimensionare, non di tale gravita' da giustificare il licenziamento. 6. Ha proposto ricorso per Cassazione Fa. Ni., deducendo cinque motivi. Resiste con controricorso il Patronato SI.. Le parti hanno presentato memorie integrative. Il patronato ha dedotto che l'attore ha optato per la risoluzione del rapporto di lavoro accompagnata dal pagamento di quindici mensilita'; replica il Fa. che il relativo pagamento non e' avvenuto, onde il rapporto di lavoro non puo' dirsi risolto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

7. Col primo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 112, 416, 420 e 437 c.p.c., nonche' omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex articolo 360 c.p.c., n. 5. Egli deduce che erroneamente la Corte di Appello ha preso in considerazione la (tardiva) eccezione di inapplicabilita' della "tutela reale", questione non sollevata ne' eccepita in primo grado. Richiama i principi e la giurisprudenza in materia di "non contestazione" dei fatti. Rileva inoltre che la Corte di Appello ha esteso al Patronato SI. la qualificazione di organizzazione di tendenza, a struttura non imprenditoriale.

8. Con il secondo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, dell'articolo 112 c.p.c., sotto il profilo dell'extrapetizione: il Tribunale ha affermato che sussiste una struttura imprenditoriale nel patronato e tale affermazione non e' stata censurata.

9. Col terzo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, della Legge n. 108 del 1990, articolo 4 sotto il profilo che il Patronato SI. in alcun caso puo' essere ritenuto organizzazione di tendenza, come tale sottratta all'area della tutela reale contro il licenziamento.

10. I primi tre motivi del ricorso per Cassazione possono essere congiuntamente esaminati per motivi di connessione logica. Si ravvisa l'opportunita' di iniziare l'esame dal terzo motivo, dato che, prima ancora di stabilire se il Patronato convenuto avesse o meno l'onere di contestare fino dalla costituzione in primo grado l'operativita' della "tutela reale", occorre verificare se una tale eccezione sia fondata e giovi al convenuto. La risposta e' nel senso che un patronato non rientra in alcuna delle categorie previste dalla cit. Legge n. 108 del 1990 art 4, onde nei suoi confronti un lavoratore illegittimamente licenziato puo' essere reintegrato.

11. Occorre al riguardo prendere le mosse dalla sentenza di questa Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 141.2006, la quale ha attirato l'attenzione della dottrina e della successiva giurisprudenza soprattutto per quanto riguarda la ripartizione dell'onere probatorio in ordine ai presupposti della tutela reale, avendo stabilito che al lavoratore compete di provare l'esistenza del rapporto di lavoro e l'atto espulsivo (che deve allegare come illegittimo) mentre al datore di lavoro compete provare la giusta causa o il giustificato motivo, nonche' le dimensioni dell'impresa se incompatibili con la detta tutela reale (il requisito dimensionale viene cioe' configurato come fatto impeditivo alla reintegrazione). Ma l'aspetto che meno ha attirato l'attenzione e' stato quello esaminato dalle Sezioni Unite in via preliminare: vale a dire la natura di "organizzazione di tendenza", come tale esonerata dall'obbligo della reintegrazione, di un patronato, nella specie l'IP..

12. La Corte al riguardo si e' pronunciata nel senso che la Legge n. 108 del 1990, articolo 4 sottrae all'applicazione dell'articolo 18, dello Statuto dei Lavoratori i datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attivita' di natura "politica, sindacale, culturale, di istruzione, di religione o di culto". L'attivita' degli istituti di patronato e di assistenza sociale non e' politica ne' sindacale, perche' non concorre alla composizione dei contrasti di interessi collettivi e in particolare dei conflitti relativi ai processi produttivi.

Funzione degli istituti, infatti, e' quella di assistere i lavoratori e loro aventi causa nel conseguimento, in via amministrativa o giudiziaria, delle prestazioni previdenziali e di quiescenza, onde la loro attivita' attiene non alla formazione o alla nascita, in sede legale o convenzionale, dei rapporti obbligatori a carico degli enti di previdenza o di assistenza o dei datori di lavoro, bensi' all'attuazione degli stessi rapporti. In altri termini, i patronati non sono organizzazioni di tendenza, non svolgono compiti di natura politica o sindacale. Come tali, non rientrano tra gli enti esonerati dall'applicazione della tutela reale in caso di licenziamento illegittimo del personale.

13. Non vi e' motivo di discostarsi dal principio affermato dalle Sezioni Unite, onde puo' essere affermato che un istituto di patronato, in relazione alla sua struttura ed ai suoi fini, non costituisce ne' puo' costituire una "organizzazione di tendenza" (come riassuntivamente vengono chiamati gli enti previsti nella Legge n. 108 del 1990, articolo 4), come tale sottratta al generale regime di operativita' della "tutela reale" contro il licenziamento ingiustificato. Esso istituto non svolge una attivita' sindacale o politica, ma si limita ad assistere i lavoratori ed i pensionati nel disbrigo delle pratiche amministrative e giudiziarie, venendo peraltro sovvenzionato in relazione al lavoro svolto. Diviene a questo punto ultroneo accertare se la questione circa l'applicazione del ripetuto articolo 4, potesse essere posta per la prima volta in appello.

14. Col quarto motivo del ricorso, il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, nonche' violazione e falsa applicazione, a sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 115 e 116 c.p.c., posto che il Patronato non ha chiesto di provare la mancanza dei requisiti di cui all'articolo 2082 c.c..

15. Col quinto motivo, il ricorrente deduce falsa applicazione della Legge n. 604 del 1966, articolo 8 per essere stata liquidata una indennita' risarcitoria di sole cinque mensilita', inferiori persino al preavviso spettategli (sei mensilita').

16. Il quarto motivo puo' considerarsi assorbito. Il quinto motivo va rigettato, in quanto la liquidazione del danno costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in Cassazione e, nella specie, esaurientemente e congruamente motivato.

17. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata. La causa, non risultando necessari ulteriori accertamenti in fatto, puo' essere decisa nel merito con la conferma della sentenza di primo grado. Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo, con la distrazione in favore del difensore il quale ha reso la prescritta dichiarazione. Le spese del processo di appello possono essere compensate, attesa l'opinabilita' iniziale delle questioni di fatto e di diritto dibattute e l'alterno esito della causa.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, conferma la sentenza di primo grado. Compensa le spese del processo di appello e condanna il controricorrente Patronato SI. a rifondere al ricorrente Fa. Ni. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 44,00, oltre euro duemila, per onorari, piu' spese generali, IVA e CPA nelle misure di legge. Autorizza la distrazione delle spese, liquidate come sopra, in favore del difensore antistatario avv. Ippolito Giulio Raffaele.

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