Il diritto di impugnare il licenziamento può essere oggetto di transazione

Il lavoratore, nell'ambito dei suoi diritti, può liberamente disporre del diritto di impugnare il licenziamento, facendone oggetto di rinunce o transazioni, che sono sottratte alla disciplina dell'articolo 2113 del Cc, che considera invalidi e perciò impugnabili i soli atti abdicativi di diritti del prestatore di lavoro derivanti da prestazioni inderogabili di legge o dei contratti collettivi o accordi collettivi; infatti, l'interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro rientra nell'area della libera disponibilità, come è desumibile dalla facoltà di recesso ad nutum, di cui il medesimo dispone, dall'ammissibilità di risoluzioni consensuali del contratto di lavoro e dalla possibilità di consolidamento degli effetti del licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione.

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 19 ottobre 2009, n. 22105



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele - Presidente

Dott. MONACI Stefano - rel. Consigliere

Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere

Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere

Dott. ZAPPIA Pietro - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19034-2006 proposto da:

GU. EM. MA. , elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 34, presso lo studio dell'avvocato DE NINNO MARCELLA, rappresentata e difesa dall'avvocato DE CESARIS ANDREA, giusta mandato a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

UN. DI (OMESSO), SOCIETA' COOPERATIVA IN LIQUIDAZIONE, in persona dei Liquidatori pro tempore Fa. Ma. e Gr. Va. , elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOLZANO 15, presso lo studio dell'avvocato DE TOMMASO GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato TOZZI LORENZO, giusta mandato a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 60/2005 del TRIBUNALE di SIENA, depositata il 14/06/2005 R.G.N. 837/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/07/2009 dal Consigliere Dott. STEFANO MONACI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 27 settembre 1993, la signora Gu. Em. Ma. conveniva in giudizio la Un. Soc. Coop. a r.l., e - dopo avere premesso che era dipendente della societa' e che la datrice di lavoro le aveva inflitto varie sanzioni economiche, comminandole, in ultimo, il licenziamento disciplinare, in quanto in tre occasioni aveva inoltrato in ritardo il prescritto certificato medico - chiedeva l'annullamento delle sanzioni stesse e del licenziamento, nonche' il risarcimento del danno.

La parte convenuta si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda.

Con sentenza in data 28 febbraio - 5 marzo 1994 il Pretore di Grosseto respingeva la domanda, compensando le spese.

Con sentenza n. 304/96, a seguito dell'appello proposto dalla Gu. , il Tribunale di Grosseto dichiarava illegittime le sanzioni applicate, sia quelle conservative, sia il licenziamento ed ordinava la reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro, condannando la societa' datrice al risarcimento del danno nella misura di cinque mensilita'.

Contro la decisione di secondo grado proponeva ricorso per Cassazione la Un. , cui resisteva con controricorso la Gu. , chiedendo, con ricorso incidentale, l'annullamento della sentenza del Tribunale di Grosseto nella parte in cui la datrice di lavoro non era stata condannata al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni ai sensi della Legge n. 300 del 1970, articolo 18 di un'indennita' pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quelle dell'effettiva reintegrazione, nonche' al versamento dei relativi contributi assistenziali e previdenziali; chiedeva, infine, il parziale annullamento della sentenza di secondo grado nella parte in cui non aveva condannato la resistente al pagamento delle spese di tutti i gradi di giudizio. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4968/99 del 21 maggio 1999, rigettava l'impugnazione principale della societa' Un. , accogliendo, invece, quella incidentale della Gu. ; cassava la sentenza in relazione all'impugnazione incidentale accolta e rinviava la causa, anche per la liquidazione delle spese, al Tribunale di Siena.

Con ricorso depositato il 16 maggio 2000 la signora Gu. Em. Ma. riassumeva il giudizio dinanzi al Tribunale di Siena, chiedendo che condannasse l' Un. al risarcimento del danno conseguente all'illegittimita' del licenziamento di cui alla lettera del (OMESSO) nella misura pari alla retribuzione dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, nonche' al versamento dei contributi prescritti.

Con sentenza del 10 ottobre - 19 dicembre 2001, il Tribunale di Siena dichiarava la propria incompetenza a decidere la causa, in favore della Corte d'Appello di Firenze.

La Un. di Or. ricorreva con un unico motivo per la cassazione di tale decisione.

La controversia veniva sottoposta percio' una seconda volta all'esame di questa Corte, che, con sentenza n. 18979/03, in data 3 giugno - 11 dicembre 2003, accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa, anche per le spese, al medesimo Tribunale di Siena in diversa composizione.

A questo proposito, infatti, la Corte, dopo avere dichiarato che il primo atto di riassunzione era stato correttamente notificato, riaffermava il principio che la designazione del giudice di rinvio da parte della Corte di Cassazione fissava una competenza funzionale, inderogabile ed incontestabile.

La signora Gu. riassumeva la causa per una seconda volta dinanzi al Tribunale di Siena.

Quest'ultimo, pero', con sentenza n. 60/2005, depositata in cancelleria il 14 giugno 2005, respingeva l'appello della Gu. e la condannava alle spese dei due giudizi di riassunzione e del secondo giudizio di cassazione, mentre compensava quelle del primo giudizio di cassazione.

La sentenza riteneva, infatti, che la transazione del 15 luglio 1998 fosse legittima.

In quell'occasione la Gu. , a fronte di un conteggio delle spettanze di lire 124.819.000 per 15 mensilita', aveva accettato la somma di lire 70 milioni, a titolo di danno biologico ed a saldo e stralcio di ogni spettanza, rinunziando agli atti ed alla impugnazione del licenziamento.

L'atto, infatti, non rientrava nella previsione dell'articolo 2113 c.c. che riguardava soltanto i diritti indisponibili.

La lavoratrice, invece, poteva disporre del proprio posto di lavoro, e ne aveva disposto a titolo transattivo.

Avverso questa sentenza di rinvio, che non risulta notificata, la signora Gu. ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi di impugnazione, notificato a mezzo del servizio postale con plico inviato, in termine, il 13 giugno 2006, e pervenuto a destinazione il 15 giugno 2006.

L'intimata Un. di Or. , societa' cooperativa in liquidazione, ha resistito con controricorso notificato, in termine, il 25 luglio 2006.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente denunzia la violazione dell'articolo 2113 c.c., articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, articolo 1362 e segg. c.c., commi 4 e 5 e comunque il difetto di motivazione su di un punto decisivo della controversia.

La ricorrente riporta, innanzi tutto, il testo della transazione, intervenuta quando la lavoratrice, successivamente alla sentenza che aveva disposto la sua reintegrazione nel posto di lavoro, aveva esercitato il diritto di opzione (per 15 mensilita' di retribuzione) previsto dall'articolo 18, comma 5.

Dato che il rapporto di lavoro si era gia' risolto, la transazione non poteva riguardare il posto di lavoro perche' l'atto transattivo concerneva la rinunzia della lavoratrice agli atti ed alla domanda relativa al giudizio di impugnazione del licenziamento, ma non dichiarava di rinunziare alla impugnazione del licenziamento.

La transazione riguardava, piuttosto, proprio i diritti relativi alle conseguenze dell'opzione, che aveva come presupposto il licenziamento, ma non si identificava con esso.

E questi diritti rientravano tra quelli indisponibili di cui all'articolo 2113 c.c..

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente denunzia, invece, la violazione degli articoli 18 dello Statuto dei Lavoratori, articoli 2118 e 2119 c.c., della Legge n. 604 del 1966, articoli 3 e 6, articolo 2113 c.c. e articolo 36 Cost..

Pur espressamente consapevole dell'esistenza di un diverso orientamento giurisprudenziale, la ricorrente sostiene che anche quello alla reintegrazione nel posto di lavoro debba essere ricompreso tra i diritti indisponibili di cui all'articolo 2113 c.c., e chiede alla Corte di riconsiderare il proprio orientamento.

3. Questa volta la controversia deve essere esaminata nel merito.

Il ricorso non e' fondato e non puo' trovare accoglimento.

4. I due motivi di impugnazione, connessi tra loro, possono essere esaminati unitariamente.

Come, per la verita', riconosce la ricorrente, che nel secondo; motivo, chiede alla Corte di mutare il proprio indirizzo, la giurisprudenza di questa Corte e' univoca nel ritenere che quello alla reintegrazione nel posto di lavoro sia un diritto disponibile escluso dalla previsione dell'articolo 2113 c.c..

Come e' noto, secondo questo orientamento, "il lavoratore puo' liberamente disporre del diritto di impugnare il licenziamento, facendone oggetto di rinunce o transazioni, che sono sottratte alla disciplina dell'articolo 2113 c.c. che considera invalidi e percio' impugnabili i soli atti abdicativi di diritti del prestatore di lavoro derivanti da prestazioni inderogabili di legge o dei contratti collettivi o accordi collettivi; e, infatti, l'interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro rientra nell'area della libera disponibilita', come e' desumibile dalla facolta' di recesso "ad nutum", di cui il medesimo dispone, dall'ammissibilita' di risoluzioni consensuali del contratto di lavoro e dalla possibilita' di consolidamento degli effetti del licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione." (Cass. civ., 3 ottobre 2000, n. 13134; nello stesso senso, 24 marzo 2004, n. 5940; 14 gennaio 1998, n. 304).

Infatti, "la rinunzia o la transazione conclusa tra dipendente e datore di lavoro, avente ad oggetto la risoluzione del rapporto di lavoro, non rientra nell'applicazione dell'articolo 2113 c.c. in quanto, anche quando tale e' garantita la disponibilita' del posto di lavoro, tale garanzia dipende da leggi o da disposizioni collettive, mentre l'ordinamento riconosce al lavoratore il diritto potestativo di disporre negozialmente e definitivamente del posto di lavoro stesso, in base all'articolo 2118 c.c." (Cass. civ., 28 marzo 2003, n. 4780).

Questo Collegio condivide questo orientamento, e non ritiene che sussistano motivi di discostarsi da esso, ma piuttosto di ribadirlo.

5. Ne' le argomentazioni della ricorrente offrono motivi convincenti per giungere ad una diversa soluzione, anche limitatamente soltanto al caso di specie.

Non lo e', in particolare, il fatto che la signora Gu. abbia accettato il licenziamento e la controversia, in questa fase, concerna soltanto l'entita' del risarcimento che le deve essere riconosciuto.

Si deve stabilire se quest'ultima abbia diritto al pagamento a questo titolo delle quindici mensilita' dell'ultima retribuzione (determinate dall'interessata nella somma complessiva di lire 124.819.000) previste, a titolo di indennita' sostitutiva della reintegrazione, dalla Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, comma 5, oppure soltanto a quello di cinque mensilita' della stessa ultima retribuzione, come riconosciuto dal Tribunale di Grosseto con sentenza n. 304/1996 (pronunziando prima che l'interessata avesse effettuato in sede transattiva la rinunzia alla reintegrazione percependo, contestualmente, sia pure ad altro titolo, una somma di denaro di lire settanta milioni), quale importo minimo previsto dallo stesso articolo 18, comma 4 come sanzione per l'illegittimita' del licenziamento.

Nel caso di specie, pero', non possono essere riconosciuti risarcimenti a questo titolo, perche' il recesso, anche se non lo era prima, e' divenuto legittimo successivamente a seguito dell'accettazione da parte del lavoratore dell'indennita' sostitutiva.

Come ha spiegato la giurisprudenza di questa Corte (trattando, in particolare, delle somme corrisposte dal datore di lavoro in applicazione di sentenze non passate in giudicato che avevano provvisoriamente riconosciuto l'illegittimita' di un licenziamento, ma esprimendo criteri e principi di carattere generale), "il lavoratore licenziato ha facolta' di pretendere, ai sensi della 336 c.p.c., comma 2" (Cass. civ., 17 giugno 2000, n. 8263; nello stesso senso, primo aprile 2003, n. 4943; 12 maggio 2004, n. 9062; 25 agosto 2005, n. 17330; 30 marzo 2006, n. 7543; e, con riferimento ad erogazioni effettuate non in esecuzione di pronunzie provvisorie, ma di semplici provvedimenti di urgenza, 17 agosto 2004, n. 16037, e 13 dicembre 2006, n. 26627).

4. Come si e' detto in narrativa, nel caso di specie, il Tribunale di Grosseto ha riconosciuto (in sede di appello, dopo una pronunzia di primo grado non favorevole alla lavoratrice, e prima che la lavoratrice avesse rinunziato alla reintegrazione) l'illegittimita' del licenziamento della Gu. , riconoscendole a titolo di risarcimento del danno l'importo minimo di cinque mensilita' di retribuzione.

Una volta, pero', che la lavoratrice aveva rinunziato alla reintegrazione nel posto di lavoro, accettando, sia pure ad altro titolo, una somma "a saldo e stralcio di ogni sua spettanza" (come risulta dal testo dell'atto di transazione, trascritto dalla stessa ricorrente alle pagg. 7-9 dell'attuale ricorso), il recesso datoriale non era piu' illegittimo, e non erano piu' dovute somme a risarcimento di una eventuale illegittimita' originaria del licenziamento.

Di conseguenza le attuali richieste, effettuate appunto a questo titolo, sono infondate, e non possono che essere respinte.

5. Il ricorso, percio', e' infondato, e deve essere rigettato.

Le spese del grado, liquidate nella misura indicata nel dispositivo, seguono la soccombenza in danno della ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in euro 20,00, oltre ad euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA.

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