Il lavoratore che chiede il risarcimento del danno da demansionamento deve provare l'esistenza del danno e il nesso di causalità con l'inadempimento del datore di lavoro

Il prestatore di lavoro, che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno e del nesso di causalita' con l'inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicche' non e' sufficiente dimostrare la mera potenzialita' lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all'articolo 2697 cod. civ..

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 17 settembre 2010, n. 19785



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido - Presidente

Dott. MONACI Stefano - Consigliere

Dott. PICONE Pasquale - Consigliere

Dott. STILE Paolo - rel. Consigliere

Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

FI. AU. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, gia' elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio dell'avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso e da ultimo domiciliata d'ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE i-i->o SUPREMA DI CASSAZIONE;

- ricorrente -

contro

D'. BI. , DI. SO. FE. , NA. SA. , FO. FR. , VE. VI. , DI. MA. FE. , DE. FA. GI. , CA. GI. , ES. VI. , SE. GI. , S. G. , MA. PI. , MA. AN. , CA. GI. , SA. VI. ;

- intimati -

e sul ricorso n. 22729/2006 proposto da:

D'. BI. , DE. FA. GI. , VE. VI. , CA. GI. , SA. VI. , C. G. , DI. SO. FE. , ES. VI. , FO. FR. , tutti elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 56/A, presso lo studio dell'avvocato PENNA CARLO, rappresentati e difesi dall'avvocato MARZIALE GIUSEPPE, giusta procura in calce al ricorso;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

FI. AU. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, gia' elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio dell'avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso e da ultimo domiciliata d'ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

- controricorrente al ricorso incidentale -

avverso la sentenza n. 3855/2005 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/07/2005 R.G.N. 102/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/04/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza resa dal giudice del lavoro del Tribunale di Nola il 5.12.2000 - 17.1.20011 all'esito di procedimento instaurato, in seguito a ricorso depositato il 19.10.1995, da D'. Bi. ed altri litisconsorti, la Fi. Au. s.p.a., previa declaratoria di illegittimita' del provvedimento di adibizione degli stessi a mansioni di "cablatore" presso l'U.P.A. (OMESSO) e del loro diritto ad essere adibiti alle mansioni e profili professionali di (OMESSO) livello, veniva condannata al risarcimento del danno in favore dei lavoratori, in misura pari all'importo corrispondente al 50% di una mensilita' di retribuzione per ogni mese di illegittima adibizione alle diverse inferiori mansioni presso l'U.P.A. suddetta, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, nonche' al pagamento delle spese di lite.

Avverso detta decisione proponeva gravame la societa' soccombente, con atto depositato il 17 gennaio 2002, insistendo per la declaratoria dell'inammissibilita' del ricorso per mancata descrizione delle mansioni di provenienza degli istanti, deducendo la violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, e chiedendo, in via gradata, il rigetto della domanda di controparte in quanto infondata, o, subordinatamente, la revisione, anche in via equitativa, dell'entita' del risarcimento, con condanna degli appellati alla restituzione delle conseguenti differenze.

Ricostituitosi il contraddittorio con tutti gli appellati, ad eccezione di Pa. Lu. e di Fa. Gi. , dei quali veniva dichiarato il decesso in data, rispettivamente, 26.12.1998 e 28.11.1996, la difesa dei lavoratori contestava la fondatezza dei motivi di gravame, chiedendone la reiezione. Procedutosi all'interruzione del giudizio, all'udienza del 18.6.2003, lo stesso veniva riassunto con ricorso del 27.11.2003 nei confronti degli eredi di Pa. Lu. , con contestuale dichiarazione di rinuncia a far valere l'atto di appello nei confronti degli eredi di Fa. Gi. . Richiesto termine per la rinotifica nei confronti di alcuni degli eredi del defunto Pa. L. e rilevata, successivamente, l'irritualita' della notifica nei confronti dell'erede Pa. Ol. , con sentenza del 25 maggio - 22 luglio 2005 l'adita Corte di Napoli dichiarava l'improcedibilita' dell'appello nei confronti degli eredi di Fa. Gi. per rinuncia all'azione; dichiarava l'estinzione del giudizio, ai sensi dell'articolo 307 c.p.c., nei riguardi degli eredi di Pa. Lu. per omessa notifica della riassunzione del giudizio di impugnazione ad uno degli eredi, nella specie, a Pa. Ol. , con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado; riduceva l'importo riconosciuto a titolo di risarcimento del danno in favore degli altri appellati ad 1/4 di una mensilita' di retribuzione per ogni mese di adibizione a mansioni di cablatore presso I'U.P.A. (OMESSO), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la FI. AU. S.p.A. con quattro motivi.

Resistono D'. Bi. , De. Fa. Gi. , Ve. Vi. , Ca. Gi. , Sa. Vi. , C. G. , Di. So. Fe. , Es. Vi. e Fo. Fr. con controricorso, proponendo altresi' ricorso incidentale al quale resiste la FI. AU. con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (articolo 335 c.p.c.).

Con il primo motivo la ricorrente principale, denunciando violazione e falsa applicazione dell'articolo 2103 c.c..

Il motivo e' privo di fondamento.

Ed invero, come motivatamente puntualizzato nella impugnata decisione, dall'esposizione in fatto contenuta nel ricorso, i lavoratori, originar ricorrenti, tutti inquadrati quali operai specializzati di (OMESSO) livello CCNL di settore, avevano riferito di avere eseguito, con continuita' ed esclusivita', "mansioni e compiti di operatore specializzato addetto ai reparti di carrozzeria, meccanica, verniciatura e/o di manutentore", mansioni del tutto corrispondenti alle declaratorie contrattuali delle qualifiche previste per il livello di inquadramento posseduto ((OMESSO) liv.) ed al trattamento economico e normativo da essi pure goduto. Tale descrizione e' stata correttamente ritenuta dal Giudice a quo conforme ai parametri imposti dalla norma richiamata, stante la l'indicazione dei periodi in contestazione, del livello di inquadramento contrattuale posseduto, dei compiti svolti, idonei a consentirne la riconducibilita' ad una delle declaratorie contrattuali di riferimento.

Cosi' argomentando, il Giudice di merito ha mostrato di adeguarsi al consolidato orientamento di questa Corte alla cui stregua, nel rito del lavoro, per aversi nullita' del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto che ne costituiscono il fondamento, non e' sufficiente che taluno di tali elementi non venga formalmente indicato, ma e' necessario che ne sia impossibile l'individuazione attraverso l'esame complessivo dell'atto e della documentazione allegata. Il relativo accertamento e' rimesso al giudice di merito ed e' censurabile in sede di legittimita' solo per vizi di motivazione (Cass. 25.7.2001 n. 10154).

Nella specie, il Giudice di merito - come risulta nella sentenza impugnata - non ha avuto difficolta' a rinvenire sia il petitum che la causa pretendi, del tutto sufficienti ad identificare compiutamente la pretesa degli attori e, dunque, a consentire il pieno esercizio della difesa da parte della societa' convenuta, mentre le carenze censurate con il ricorso in esame attengono piuttosto alla fondatezza, in fatto o in diritto, della medesima pretesa.

Ed in tale prospettiva coerentemente e correttamente il Giudice di appello ha negato fondamento anche alla censura, reiterata in questa sede con il secondo motivo (violazione dell'articolo 112 c.p.c. e vizio di motivazione), relativa ad una asserita violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, avuto riguardo alla inesattezza di quanto affermato in merito alla mancanza, nel ricorso, di ogni doglianza espressa dai ricorrenti sulla non riconducibilita' delle mansioni di cablatore loro attribuite dal giugno 1993 al livello di inquadramento di appartenenza, "essendo un tale rilievo rinvenibile al punto 6 del testo dell'atto introduttivo, laddove appare artificiosa la interpretazione di quest'ultimo nel senso della limitazione della domanda alla richiesta di risarcimento danni connessi soltanto al depauperamento del proprio patrimonio di conoscenze tecnico professionali ed alla mortificazione di ogni possibilita' di sviluppo di carriera per la sostanziale diversita' del contenuto mansionario dell'attivita' svolta prima e dopo il provvedimento del datore di loro assegnazione all'UPA (OMESSO)".

In proposito la Corte di merito ha tenuto ulteriormente a precisare che, anche dal punto di vista logico giuridico, non sarebbe del tutto razionale la scelta di limitare l'ambito del contraddittorio alla sola indagine sull'osservanza del criterio dell'equivalenza sostanziale delle mansioni, laddove il comportamento della societa' era censurabile anche rispetto alla corrispondenza delle nuove mansioni al livello formale di inquadramento contrattuale inferiore a quello posseduto. Trattandosi di interpretazione della domanda, riservata al Giudice di merito, adeguatamente argomentata, deve, pertanto, disattendersi - come accennato - siffatto motivo di gravame, fondato sul preteso ingiustificato ampliamento, da parte del primo giudice, del thema decidendum.

Anche il terzo motivo, con cui si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia nonche' violazione dell'articolo 1218, 1223, 2087 e 2103 c.c., nonche' omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamenta la erroneita' della impugnata decisione con riferimento alla prova ed alla quantificazione del danno da dequalificazione.

Deve premettersi che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non puo' prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Va ancora aggiunto che, mentre il risarcimento del danno biologico e' subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrita' psico - fisica medicalmente accettabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalita' nel mondo esterno - deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravita', conoscibilita' all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l'avvenuta lesione dell'interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) - il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico - si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell'articolo 2697 cod. civ..

Nella specie, la Corte di merito, con riguardo alla prova del danno conseguente alla dequalificazione ha osservato come il pregiudizio invocato fosse stato collegato alla serie di risultati negativi rappresentati dalla lesione della professionalita' e della dignita' umana, dal danno all'immagine e dal discredito nell'ambiente di lavoro, dal danno alla carriera, dalla perdita di chances di avanzamento di carriera, da difficolta' di ricollocare all'esterno la propria professionalita'.

Ma, cosi' limitandosi ad argomentare, ha mostrato di adeguarsi solo apparentemente alla riportata giurisprudenza, fornendo indicazioni generiche, scollegate dalla posizione dei singoli lavoratori. Ne discende che il diritto al risarcimento riconosciuto dal Giudice di appello, finisce col basarsi su un semplice automatismo, piuttosto che su una indagine concreta volta ad acclarare l'effettiva sussistenza di un danno.

Infondato e', infine,, ricorso incidentale con cui si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Sostiene la parte resistente con il proposto ricorso incidentale che, a seguito del decesso di alcuni degli originari ricorrenti, nella fase di appello, che ne ha determinato l'interruzione, la riassunzione parziale della causa solo nei confronti degli altri lavoratori avrebbe dovuto indurre il Collegio a pronunciare una sentenza di estinzione dell'intero giudizio in quanto sarebbe stata necessaria la riassunzione nei confronti di tutti le parti, e quindi anche nei confronti degli eredi dei deceduti. Si tratterebbe di litisconsozio c.d. processuale in cui la presenza di piu' parti nel giudizio di primo grado deve necessariamente persistere in grado di appello.

Osserva il Collegio che, come gia' osservato dal giudice d'appello, la omessa integrazione del contraddittorio non potrebbe produrre riflessi con riguardo alla posizione degli altri soggetti processuali, nei cui confronti si configura una situazione di litisconsorzio facoltativo di carattere processuale, in rapporto al quale, per ragioni di opportunita' processuale si realizza simultaneus processus, costituente "un mero espediente processuale, mirato a fini di economia dei giudizi" (Corte cost. 05.02.1999, n. 1; Corte cost. n. 295/95), che consente alle parti di far trattare e decidere, nello stesso processo piu' cause tra loro diverse, seppure legate da rapporti di connessione; cause che, pero', sono suscettibili di essere autonomamente decise a prescindere dalla loro trattazione in simultaneus processus.

Nella vicenda in esame, giova ribadire, si verifica un ipotesi di litisconsorzio facoltativo improprio, in quanto, pur nell'identita' delle questioni, permane autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici e delle singole causae petendi, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte, con una propria individualita', in relazione ai rispettivi legittimi contraddittori e con l'ulteriore conseguenza che la sentenza che le definisce - sebbene formalmente unica - consta, in realta', di tante pronunzie quante sono le cause riunite, le quali conservano la loro autonomia anche in sede di impugnazione.

Restando, quindi, immutata la posizione processuale della parte rispetto alle singole cause, la cui autonomia permane nonostante la simultaneita' del processo, le eventuali nullita' attinenti ad una di tali cause non possono ripercuotersi sulle decisioni delle altre (cfr. ex plurimis Cass. 5 maggio 1990 n. 3740).

Ne discende l'ammissibilita' di una riassunzione parziale del processo nel caso di litisconsorzio facoltativo, essendo consentito alle parti di ciascuna delle liti di riassumere solo il giudizio riguardante la causa alla quale siano interessate, delimitando alla medesima la riattivazione del processo e lasciando operare l'estinzione di questo in relazione alle altre vertenze (cfr. ex plurimis Cass. 14.10.1993 n. 10167).

Correttamente, dunque la Corte d'Appello ha escluso che l'omessa notifica a taluno degli eredi comportasse l'estinzione dell'intero processo.

Per quanto precede il ricorso incidentale va rigettato, mentre va accolto il quarto motivo del ricorso principale. Ne consegue l'annullamento della impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, per il riesame alla stregua del principio di diritto sopra esposto.

La stessa designata Corte di Appello provvedera' anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE

riunisce i ricorsi; accoglie il quarto motivo del ricorso principale e rigetta gli altri ed il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.
 

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