Il lavoratore che chiede la condanna del datore per i danni da inattività lavorativa deve fornire la prova dell'esistenza del danno e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale

Il lavoratore che chiede la condanna del datore per i danni subiti a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa, deve fornire la prova dell'esistenza del danno e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale. (Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 5 dicembre 2008, n. 28849)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IANNIRUBERTO Giuseppe - Presidente

Dott. CUOCO Pietro - Consigliere

Dott. VIDIRI Guido - rel. Consigliere

Dott. STILE Paolo - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 10238/2005 proposto da:

RA. MA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P.L.DA PALESTRINA 47, presso lo studio dell'avvocato GEREMIA RINALDO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

UN. S.p.A., gia' UN. IT. S.P.A. (quale societa' incorporante per atto di fusione la FI. -. Fi. d'. S.I.M. - S.P.A.), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell'avvocato CONTALDI MARIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato PACCHIANA PARRAVICINI AGOSTINO giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1390/2004 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 26/10/2004 R.G.N. 158/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/10/2008 dal Consigliere Dott. GUIDO VIDIRI;

udito l'Avvocato GEREMIA RINALDO;

udito l'Avvocato GIANLUCA CONTALDI per delega CONTALDI MARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Casale Monferrato con sentenza non definitiva del 3 dicembre 2002 accoglieva il ricorso di Ra.Ma. e dichiarava risolto ex articolo 1454 c.c., per inadempimento della FI. Fi. d'. SI. s.p.a. il rapporto di agenzia intercorrente tra le parti. Successivamente con sentenza definitiva del 22 luglio 2003 a seguito di consulenza contabile lo stesso giudice condannava la FI. a pagare al Ra. euro 48.623,03 a titolo di indennita' di preavviso, euro 8.937,05 per contributi versati in meno a titolo di FIRR, mentre respingeva la domanda del Ra. di risarcimento del danno ed, in accoglimento parziale della domanda riconvenzionale, condannava il Ra. a restituire euro 3.433,05 pari ad un terzo dell'una tantum versata alla stipulazione del contratto.

Con ricorso depositato il 28 gennaio 2003 la FI. proponeva appello avverso la sentenza non definitiva negando la sussistenza del proprio inadempimento ed, in ogni caso, la sua gravita' e chiedeva quindi, in riforma della sentenza, escludersi la dichiarata risoluzione per proprio inadempimento e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannarsi il Ra. a corrispondere l'indennita' di mancato preavviso. Con ricorso del 17 giugno 2004 il Ra. proponeva a sua volta appello avverso la sentenza definitiva dolendosi unicamente del mancato accoglimento della domanda di risarcimento danni e della compensazione delle spese. La Fi. resisteva a tale gravame e, in via incidentale, chiedeva che venisse dichiarata non dovuta la indennita' di preavviso pagata in esecuzione della sentenza di primo grado con condanna del Ra. alla restituzione della somma di euro 48.623,07.

Con sentenza del 26 ottobre 2004 la Corte d'appello di Torino rigettava gli appelli e compensava le spese del grado di giudizio. Nel pervenire a tale soluzione la Corte territoriale riteneva che vi fossero nella fattispecie in esame le condizioni per la risoluzione del contratto di agenzia, in quanto la FI. era risultata inadempiente agli obblighi contrattuali, perche' pur essendo tenuta a fornire all'agente informazioni, materiale e documentazione per consentirgli di svolgere al meglio l'attivita' di promozione e pur essendo, quindi, obbligata anche a fornirgli il servizio SIF (che permetteva all'agente tramite computer di accedere alla banca Dati della FI. per ottenere in tempi reali sia le quotazioni dei titoli sia un costante ed immediato aggiornamento della situazione di ogni cliente), aveva sospeso detto servizio e non lo aveva piu' riattivato mettendo in tal modo in essere un inadempimento non certo di scarsa importanza. Ed infatti, pur essendo vero il rilievo che la sospensione del servizio non aveva posto il Ra. nell'impossibilita' di operare, gli aveva pero' sottratto un mezzo di indubbio rilievo per avere in tempo reale il polso della situazione, sia in generale dei mercati che dei clienti da lui curati, si' da configurarsi come una misura particolarmente punitiva in quanto rivolta soltanto a lui. Rilevava poi la Corte territoriale che il rigetto dell'appello della FI. in punto di risoluzione del contratto comportava anche la reiezione della domanda riconvenzionale della societa' di condanna del Ra. al pagamento della indennita' sostitutiva del preavviso.

Con riferimento agli appelli avverso la sentenza definitiva, il giudice d'appello affermava che la domanda di risarcimento dei danni spiegata dall'agente andava liquidata in termini equitativi ex articolo 1226 c.c., potendosi affermare con certezza che dall'inadempimento della FI. e dalla conseguente risoluzione del rapporto era derivato in capo all'agente un danno patrimoniale sub specie di lucro cessante; danno da liquidarsi nell'ammontare di 48,623,07, somma questa corrispondente a quella quantificata - seppure erroneamente a diverso titolo - dal primo giudice.

Avverso tale decisione Ra.Ma. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Resiste con controricorso la FI. -. Fi. d'. SI. - s.p.a..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con due motivi - da esaminarsi congiuntamente per comportare l'esame di questioni tra loro strettamente connesse - il Ra. Ma. denunzia erronea valutazione in ordine alla pretesa interruzione del nesso causale, violazione degli articoli 1123 e 1225 c.c., e dell'articolo 116 c.p.c., nonche' vizio di motivazione. Lamenta il ricorrente che il giudice d'appello ha erroneamente limitato al periodo decorrente dalla data del 22 luglio 1997 (data di risoluzione del rapporto negoziale controverso) al 30 agosto 1998 (data di recesso da Am. It.) il tempo di sofferenza del pregiudizio patrimoniale subito da esso agente, perche' il recesso da Am. It. non era stato affatto determinato da una sua scelta discrezionale e volontaria, ma era stato invece causato da una serie di gravi costrizioni poste in essere nei suoi confronti dalla societa' finanziaria. Aggiunge che il giudice d'appello non ha proceduto ad una corretta valutazione delle risultanze processuali, che consentivano di evidenziare come il reddito dichiarato per l'anno fiscale 1999 - gia' dimezzato rispetto a quello dell'anno fiscale 1997 - fosse sensibilmente inferiore al corrispettivo annuale ricavato per l'attivita' svolta presso la FI., dovendo essere scontato in misura pari alle somme anticipategli dalla nuova preponente. Inoltre il disagio psicologico e professionale causato dalla illegittima condotta della FI. aveva impedito ad esso ricorrente di esprimersi al meglio e, in conseguenza delle restrizioni subite, egli era stato costretto a recedere dal rapporto con la Am. It. solo dopo un anno dalla sua formalizzazione, con l'effetto di dovere ripianare la propria esposizione debitoria e di avere la necessita' di instaurare l'attivita' lavorativa, unica fonte di sostentamento, attraverso un terzo rapporto d'agenzia con la SO.. La propria situazione economica e le sue esposizioni debitorie erano cosi' via via aumentate nel 2001 e 2002, danni tutti che dovevano essere risarciti atteso il principio che essi erano prevedibili anche perche' il Ra., nell'arco dei dieci anni che aveva trascorso alle dipendenze della FI., come emergeva dalla documentazione acquisita, aveva goduto di una crescita provvigionale media pari al 27% annuo.

Ra.Ma. denunzia altresi' violazione e falsa applicazione dell'articolo 1126 c.c., e dell'articolo 116 c.p.c., nonche' vizio di motivazione addebitando ancora alla impugnata sentenza di avere ritenuto che il recesso dalla Am. It. aveva avuto valenza interruttiva del nesso causale tra l'inadempimento della FI. ed il danno patito da esso ricorrente e di non avere considerato che il danno subito non aveva prodotto solo un pregiudizio nell'immediato ma continuava a produrre effetti continuativi nel tempo. Nella quantificazione del danno in via equitativa per di piu' la Corte territoriale aveva fatto erroneo riferimento alla somma liquidata a titolo di indennita' di preavviso dal primo giudice ed aveva rifiutato, senza fornire adeguata motivazione, il diverso criterio di liquidazione da esso proposto e consistente nella capitalizzazione della differenza tra il reddito che egli, in difetto di risoluzione, avrebbe percepito in FI. ed il reddito che aveva invece potuto produrre, da scontare di un importo pari alle molteplici anticipazioni godute ma poi rifuse alle preponenti successive alla FI..

I suddetti due motivi di ricorso vanno rigettati perche' privi di fondamento.

Prima dell'esame del merito della controversia va rimarcato come la giurisprudenza di questa Corte abbia piu' volte affermato che il prestatore di lavoro, che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita - lesione idonea a determinare la dequalificazione del dipendente stesso - deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno e del nesso di causalita' con l'inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicche' non e' sufficiente dimostrare la mera potenzialita' lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all'articolo 2697 c.c., (cosi' Cass. 28 maggio 2004 n. 10361 cui adde piu' di recente Cass. 14 giugno 2007 n. 13877; Cass. 26 giugno 2006 n. 14729). E questa Corte ha inoltre con giurisprudenza costante affermato piu' volte che il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza, impugnata a norma dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, deve contenere - in ossequio al disposto dell'articolo 366 c.p.c., n. 4, che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificita' sanzionandone il difetto - la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d'illogicita', consistenti nell'attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l'assoluta incompatibilita' razionale degli argomenti e l'insanabile contrasto degli stessi.

Ond'e' che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all'opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e piu' appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalita' di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'"iter" formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame. Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5, in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure puo' imputarsi d'avere omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacche' ne' l'una ne' l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa all'esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per se' sole idonee e sufficienti a giustificarlo (Cass. 23 maggio 2007 n. 12052, nonche' da ultimo Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267).

Orbene la sentenza impugnata, per avere proceduto ad una attento esame delle risultanze processuale e per essere congruamente motivata, priva di salti logici e rispettosa dei summenzionati principi, si sottrae alle censure che le sono state mosse.

Ed invero la Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza di un danno per lucro cessante in base alla considerazione che il Ra., nel corso di un periodo lavorativo di circa dieci anni aveva fatto acquisire la gestione di risparmi di circa 236 clienti per un valore di portafoglio di circa dieci miliardi, ma si e' poi trovato nella condizione di dovere ripartire da zero passando alle dipendenze della Am., in ragione di una non giustificata condotta tenuta dalla FI.. Ha escluso pero' la stessa Corte che potesse essere condiviso l'assunto del Ra. - ricalcato in buona misura in questa sede di legittimita' - secondo cui il danno doveva essere calcolato tenendo presente che nel rapporto lavorativo con la FI. aveva goduto di un costante trend ascensionale in materia di provvigioni, e tenendo altresi' presente che per gli anni lavorativi successivi alla cessazione del rapporto lavorativo con la Am. aveva avuto invece introiti che per la loro entita' l'avevano costretto ad esposizioni finanziarie, che ne avevano compromesso il precedente tenore di vita, e che dovevano farsi risalire all'inadempimento della FI., che con il determinare la risoluzione del rapporto di agenzia aveva causato effetti dannosi continuativi nel tempo.

Come detto un siffatto iter argomenativo si sottrae alle critiche che sono state mosse con il ricorso.

A tale riguardo e' sufficiente evidenziare come la Corte abbia in primo luogo evidenziato che il rapporto lavorativo con la Am. era cessato nel 1998 ad iniziativa del Re., per cui da questi non potevano essere rivendicati gli ulteriori danni per gli anni successivi per mancanza del nesso eziologico. A fronte di una siffatta argomentazione non vale di certo addurre - come ha fatto il ricorrente - che detta risoluzione era stata determinata da condotte costrittive messe in essere ai suoi danni dalla nuova societa' finanziaria, atteso che tale assunto si fonda su circostanze fattuali, che oltre a non risultare essere state allegate in modo rituale e tempestivo, comportano una esame non consentito in questa sede.

Sotto altro versante la sentenza impugnata non risulta permeabile agli addebiti mossi in ricorso anche in relazione all'affermazione secondo cui non poteva procedersi alla liquidazione dei danni nei dettagliati termini indicati e rivendicati dal Ra.. Al riguardo la Corte territoriale - con una motivazione ancora una volta condivisibile sul piano logico - giuridico - ha rimarcato che gli agenti, che come il suddetto Ra., operano nel campo finanziario agiscono in un settore, di certo ad alto rischio che, oltre a risentire direttamente delle variabili economiche, molto spesso e' condizionato anche da fattori imponderabili, che si sottraggono come tali a qualsiasi previsione.

Consegue da quanto sinora detto che la liquidazione operata dal giudice d'appello non puo' essere censurata avendo i giudici di legittimita' ribadito piu' volte che la valutazione equitativa del danno ex articolo 1226 c.c., rientra nei poteri del giudice del merito (cfr. tra le tante: Cass. 27 gennaio 2003 n. 1205) e che l'esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al suddetto giudice di liquidare il danno non e' suscettibile di sindacato in sede di legittimita', quando la motivazione della decisione dia - come si riscontra nel caso di specie - adeguatamente conto dell'uso di tale facolta', indicando il processo logico e valutativo seguito (Cass. 27 giugno 2001 n. 8807 e, piu' di recente Cass. 8 gennaio 2003 n. 85; Cass. 9 settembre 2002 n. 13077).

Ricorrono giusti motivi - tenuto conto della natura della controversia e delle questioni trattate nonche' dell'esito di detta controversia nei primi due gradi di giudizio - per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

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