Il licenziamento disciplinare può essere validamente intimato anche dopo mesi rispetto alla commissione dell'illecito

Il principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare e della tempestivita' della irrogazione della relativa sanzione, esplicazione del generale precetto di conformarsi alla buona fede e alla correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo piu' o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore, ovvero quando la complessita' della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso. Ne deriva che può essere ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato dopo mesi rispetto alla commissione dell'illecito. Resta salvo, poi, che il dies a quo decorre dal momento in cui il datore di lavoro ha conoscenza del fatto.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza del 18 novembre 2009, n. 24329



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido - Presidente

Dott. PICONE Pasquale - Consigliere

Dott. STILE Paolo - Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

DA. CL. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 47, presso lo studio dell'avvocato FRASCARI CLEMENTE, rappresentato e difeso dall'avvocato CIVITELLI ANTONIO, giusta mandato a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

I.N.I. IS. NE. IT. S.R.L.;

- intimato -

e sul ricorso n. 22920/2006 proposto da:

I.N.I. IS. NE. IT. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso lo studio dell'avvocato CIPRIETTI SABATINO, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

DA. CL. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 47, presso lo studio dell'avvocato FRASCARI CLEMENTE, rappresentato e difeso dall'avvocato CIVITELLI ANTONIO, giusta mandato a margine del ricorso;

- controricorrente al ricorso incidentale -

avverso la sentenza n. 5416/2004 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 26/09/2005 r.g.n. 7627/02;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 06/10/2009 dal Consigliere Dott. NAPOLETANO Giuseppe;

udito l'Avvocato LO FOCO FABRIZIO per delega SABATINO CIPRIETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Roma rigettava l'impugnazione proposta da Da. Cl. avverso la sentenza del Tribunale di Roma, sezione distaccata di Frosinone, con la quale era stata respinta la sua domanda, avanzata nei confronti della societa' IN. in epigrafe, della quale era stato dipendente dal 1983 al 1997, avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento disciplinare intimatogli, con lettera del 24/11/97, per i fatti contestati, in data 20 - 23/10/97 risalenti al periodo (OMESSO), relativi all'espletamento delle sue mansioni di operatore tecnico addetto ai trattamenti radianti.

I Giudici di appello ritenevano, innanzitutto, tempestiva la contestazione disciplinare, sul rilevo che l'intervallo trascorso tra la commissione dei fatti e la contestazione era compatibile con l'esigenza da parte del datore di lavoro di procedere ad una valutazione unitaria delle varie inadempienze e della complessiva gravita' delle stesse nonche' della proporzionalita' o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio.

Escludevano poi, detti giudici, la violazione dell'articolo 30 del CCNL del settore, perche' era previsto che la contestazione fosse inviata al lavoratore nel termine di 30 giorni dal momento in cui gli organi direttivi e sanitari erano venuti a conoscenza dei fatti. Nella specie, vi era la prova che i suddetti organi solo in data 14/10 - 22/10/97 vennero a conoscenza dei fatti. Inoltre nel richiamato articolo 30 era prevista la possibilita' d'intimare il licenziamento nei casi di particolare gravita', quale quello in esame, come desumibile dalla espletata istruttoria che aveva sostanzialmente confermato i fatti addebitati.

Avverso tale sentenza Da.Cl. ricorreva in Cassazione sulla base di due censure. La societa' intimata resisteva con controricorso e proponeva, a sua volta, ricorso incidentale in ragione di un'unica censura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno, preliminarmente riuniti, riguardando l'impugnazione della stessa sentenza.

Con il primo motivo, al termine del quale viene formulato il quesito ex articolo 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte di Appello erroneamente ritenuto che vi sarebbe stata in atti la prova che l' IN. venne a conoscenza dei fatti commessi solo in date 14/10 e 22/10/1997; omessa e/o insufficiente motivazione per non avere la Corte di Appello motivato, ovvero per aver in ogni caso insufficientemente motivato, circa l'avere ritenuto priva di riscontro la deduzione, di esso appellante, secondo la quale la comunicazione del 14/10/97 essendo mero completamento della precedente lettera era idonea e fare presumere e/o dedurre che la societa' fosse effettivamente a conoscenza dei fatti oggetto di contestazione".

Con la seconda censura, anche in relazione alla quale viene formulato il quesito ex articolo Legge n. 300 del 1970, articolo 7; omessa motivazione per non avere la Corte di Appello motivato in ordine alla eccezione, formulata e dedotta dal ricorrente, circa l'obbligo e/o il dovere, da parte dell' IN. , di preventiva e specifica contestazione dell'elemento e/o del carattere della particolare gravita' delle infrazioni presuntivamente commesse" da esso Da. .

I motivi, che in quanto strettamente connessi sotto il profilo logico - giuridico, vanno trattati unitariamente, sono infondati.

Occorre, innanzitutto, premettere che l'articolo 366 bis c.p.c., cosi' come introdotto dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 6 e la nuova formulazione dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, di cui al Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 2, trovano applicazione solo per i ricorsi per Cassazione proposti avverso decisioni pubblicate a decorrere dal due marzo 2006 (V. per tutte Cass. 16275/07), mentre nella specie la decisione impugnata e' stata pubblicata in data anteriore.

Conseguentemente non vanno esaminati i quesiti di diritto articolati dal ricorrente e la censura afferente la violazione dell'articolo 30 del CCNL richiamato.

Cosi' delimitato l'ambito del sindacato di questa Corte, il Collegio osserva, in primo luogo, che la giurisprudenza di legittimita' e' consolidata nel ritenere che il principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare e della tempestivita' della irrogazione della relativa sanzione, esplicazione del generale precetto di conformarsi alla buona fede e alla correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo piu' o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore, ovvero quando la complessita' della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso; in ogni caso, la valutazione relativa alla tempestivita' costituisce giudizio di merito, non sindacabile in Cassazione ove adeguatamente motivato (Cass. 6 settembre 2006 n. 19159 e fra le numerose altre V. pure Cass. 29 marzo 2004 n. 6228, Cass. 11 maggio 2004 n. 8914, Cass. 23 aprile 2004 n. 7724, Cass. 19 agosto 2003 n. 12141). Analogamente questa Corte ha piu' volte ribadito che, ai fini di cui trattasi, il lasso temporale tra i fatti e la contestazione deve decorrere dall'avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dalla astratta percettibilita' o conoscenza dei fatti stessi, tenuto conto dei mezzi a sua disposizione (V. per tutte Cass. 15 ottobre 2007 n. 21546 e Cass. 6 settembre 2006 n. 19159 cit.).

La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di siffatti principi in quanto, con motivazione priva di vizi logici, ha argomentato che "Nella fattispecie vi e' in atti la prova che i predetti organi - ossia quelli direttivi sanitari ed amministrativi - vennero a conoscenza dei fatti solo in date 14/10 e 22/10 del 1997, date nelle quali vennero redatte le relazioni prodotte dall'appellata, dovendosi ritenere del tutto generica e, comunque, priva di riscontro, ai fini dell'accoglimento della relativa eccezione, la deduzione dell'appellante, secondo la quale la comunicazione del 14/10/97 era solo un completamento della precedente lettera". Ne' il ricorrente, e vale la pena di rilevarlo, contesta in maniera idonea l'interpretazione che la Corte territoriale fornisce della comunicazione del 14/10/97.

Infatti e' giurisprudenza di questa Suprema Corte che l'interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un'attivita' riservata al giudice di merito, ed e' censurabile in sede di legittimita' soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioe' tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non e' peraltro sufficiente l'astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma e' necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne e' discostato. La denuncia del vizio di motivazione dev'essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicita' consistenti nell'attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l'indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioe' connotati da un'assoluta incompatibilita' razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimita', non e' necessario che quella data dal giudice sia l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicche', quando di una clausola siano possibili due o piu' interpretazioni, non e' consentito alla parte, che aveva proposto l'interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimita' del fatto che ne sia stata privilegiata un'altra (V. per tutte Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178). Ne', all'uopo, e' sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e piu' favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante.(Cfr. per tutte Cass. 25 febbraio 2004 n. 3772).

Nel caso in esame il ricorrente si limita ad asserire una tesi contraria a quella affermata dal giudice del merito.

Quanto alla questione della particolare gravita' - rectius della mancata contestazione di tale circostanza - osserva il Collegio che il giudizio di particolare gravita' degli addebiti viene posto dalla Corte di Appello per affermare la legittimita' del licenziamento e non perche' la "particolare gravita'" sia una circostanza facente parte dell'addebito.

La Corte del merito, difatti, "ritiene la ricorrenza della giusta causa proprio per la gravita' dei comportamenti posti in essere dal Da. ".

Del resto, questa Corte ha piu' volte ribadito che in tema di licenziamento, la nozione di giusta causa e' nozione legale e il giudice non e' vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi; tuttavia cio' non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravita' di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalita'. Il relativo accertamento va operato caso per caso, valutando la gravita' in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi, ed il giudice puo' escludere che il comportamento costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dai contratti collettivi, solo in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (Cass. 14 febbraio 2005 n. 2906). Parallelamente ha affermato che l'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, percio', la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile alla sola condizione che tale grave inadempimento, o tale grave comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimita' se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (Cass. 16 marzo 2004 n. 5372).

Sulla base delle esposte considerazioni, pertanto, il ricorso del Da. va rigettato.

Con l'unico motivo di ricorso incidentale la societa' allega violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. nonche' omessa e/o insufficiente motivazione circa la statuizione sulla compensazione delle spese di lite.

Il motivo e' infondato.

Le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 20598 del 2008, emessa a composizione di un contrasto di giurisprudenza insorto nella giurisprudenza di legittimita' con riferimento al regime delle spese anteriore a quello introdotto dalla 92 c.p.c. richiedendo una esplicita motivazione della compensazione delle spese del giudizio), hanno affermato il principio per cui il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese "per giusti motivi" deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non e' necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purche', tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito) con la conseguenza che deve ritenersi assolto l'obbligo del giudice anche allorche' le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in se' considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata. In base a tali principi, che il Collegio intende ribadire nella presente sede, deve ritenersi che il provvedimento di compensazione delle spese del giudizio d'appello adottato dalla Corte territoriale trova, nelle argomentazioni svolte per la statuizione di merito, una giustificazione nelle palesate oggettive difficolta' di accertamenti in fatto idonee a incidere sulla esatta conoscibilita' a priori delle rispettive ragioni delle parti, La reciproca soccombenza comporta la compensazione delle spese del giudizio di legittimita'.

P.Q.M.

LA CORTE

Riuniti i ricorsi li rigetta e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimita'.

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