Il risarcimento da mancata reintegrazione non coincide automaticamente con le retribuzioni perdute

Il danno che deriva dalla illegittimita' o dalla inefficacia del licenziamento, varia secondo le circostanze da un minimo che puo' essere vicino a zero, se il lavoratore interessato trova immediatamente una nuova occupazione a condizioni non deteriori, ad un massimo che puo' corrispondere all'insieme di tutte le retribuzioni fino a che non sopraggiunga una valida causa di scioglimento del rapporto di lavoro, oppure, ugualmente, il prestatore non reperisca una nuova occupazione. (Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile
Sentenza del 13 luglio 2009, n. 16322)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente

Dott. MONACI Stefano - rel. Consigliere

Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere

Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere

Dott. ZAPPIA Pietro - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 18250/2007 proposto da:

LI. AL. , gia' elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 55/A, presso lo Studio dell'avvocato STUDIO GALLETTI, rappresentato e difeso dall'avvocato NEGRONI RENATO, giusta mandato in calce al ricorso e da ultimo d'ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

- ricorrente -

contro

RE. TU. BE. JA. ;

- intimato -

sul ricorso 20591-2007 proposto da:

RE. TU. BE. JA. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 209, presso lo studio dell'avvocato GABELLINI SPARTACO, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

LI. AL. ;

- intimato -

avverso la sentenza n. 2494/2006 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 12/09/2006 R.G.N. 1776/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/04/2009 dal Consigliere Dott. STEFANO MONACI;

udito l'Avvocato GABELLINI SPARTACO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito l'incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 21 maggio 1997 la signora Re. Tu. Be. Ja. chiedeva che il datore di lavoro fosse condannato al pagamento delle differenze retributive che meglio indicava in ricorso. A sostegno della propria richiesta esponeva di aver lavorato alle dipendenze di Al. (o Li.Al. ), con mansioni di cuoca addetta alla preparazione dei primi e secondi piatti dall'(OMESSO) per sei giorni alla settimana con l'orario meglio indicato in ricorso; che il rapporto di lavoro era state formalizzato soltanto dal (OMESSO) dietro corresponsione della retribuzione indicata in conteggio; che non aveva mai percepito la 13, 14 mensilita' e l'indennita' sostitutiva del mancato godimento delle ferie, dell'indennita' per lavoro straordinario e di preavviso, nonche' del TFR.

Aggiungeva che in data (OMESSO) era stata licenziata oralmente in tronco; che il licenziamento doveva ritenersi inefficace e che pertanto il datore di lavoro doveva essere condannato a corrisponderle le retribuzioni a lei spettanti dalla data del licenziamento a quello della sentenza, secondo il conteggio che allegava.

Il convenuto si costituiva e contestava la data di inizio del rapporto di lavoro che affermava essere quella che risultava dalle buste paga; contestava altresi' l'espletamento di ore di lavoro ulteriori rispetto a quelle che erano gia' state retribuite. Dichiarava inoltre che era stato costretto a licenziare la dipendente dandone preventiva comunicazione orale.

Istruita la causa mediante l'escussione di testi e l'espletamento di consulenza tecnica d'ufficio, il giudice di primo grado accoglieva parzialmente la domanda, ritenendo non provato l'inizio dell'attivita' lavorativa indicato dalla lavoratrice; dichiarava inefficace il licenziamento intimato senza tuttavia riconoscere alcuna conseguenza economica in considerazione delle carenti allegazioni della lavoratrice stessa.

Questa prima sentenza veniva impugnata dalla lavoratrice, e l'impugnazione veniva accolta dalla Corte d'Appello di Roma.

Il giudice d'appello condannava il Li. a corrispondere alla lavoratrice l'ulteriore somma di euro 8.642,06, oltre accessori, dopo aver detratto quelle che risultavano gia' percepite e quelle corrisposte in corso di causa.

La sentenza d'appello riteneva, in particolare, che le retribuzioni dovessero essere computate, sia pure a titolo risarcitorio, dal 4 ottobre 1996, data nella quale il datore di lavoro era stato costituito in mora accipiendi, e, in base ad una nuova lettura delle deposizioni testimoniali, che la ricorrente avesse iniziato a lavorare presso il ristorante nel (OMESSO), ed avesse svolto un orario giornaliero dalle 10 alle 15 e dalle 19 alle 23 e 30, e percio' un orario settimanale superiore di 17 ore rispetto a quello contrattuale.

Avverso la pronunzia di appello, n. 2494/06 in data 17 marzo/12 settembre 2006, che non risulta notificata, il Li. ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 25 giugno 2007.

L'intimata ha resistito con controricorso proposto, in termine, il 20 luglio 2007, nel quale ha proposto contestualmente un ricorso incidentale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo di impugnazione il ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c..

Sottolinea che con il ricorso introduttivo di primo grado la lavoratrice aveva chiesto, oltre alla dichiarazione di inefficacia del licenziamento, quella di condanna del datore di lavoro al pagamento delle somme corrispondenti alla retribuzione.

Il giudice di Velletri, pero', aveva respinto questa domanda ulteriore osservando che la dichiarazione di inefficacia del licenziamento non implicava il diritto alla retribuzione, ma, eventualmente, il diritto ad un risarcimento.

Il Li. sostiene che l'interprelazione corretta era quella del primo giudice, e non quella della Corte di Appello, e ribadisce che la domanda della dipendente non mirava ad ottenere un risarcimento del danno, bensi' il pagamento delle retribuzioni fino alla riassunzione.

2. Nel secondo motivo lo stesso ricorrente principale denunzia la violazione ed erronea applicazione della Legge n. 604 del 1966, articoli 1218, 1223, 1227 e 1175 c.c., in relazione alla determinazione del danno conseguente alla dichiarazione di inefficacia del licenziamento.

Ribadisce che il licenziamento inefficace per vizi formali implica soltanto il diritto al risarcimento di danno e non quello alla corresponsione delle retribuzioni, e che, di conseguenza, il danno doveva essere provato secondo le regole generali.

Sostiene che l'intimata, benche' avesse comunicato il (OMESSO) la volonta' di mettere a disposizione le proprie energie lavorative, in realta' aveva iniziato a lavorare presso altri esercizi commerciali subito dopo essere stata licenziata, ed aveva dichiarato in udienza di lavorare percependo uno stipendio.

Tutto questo, invece, era stato considerato dalla Corte d'Appello solamente agli effetti della quantificazione, ma non a quelli dell'insussistenza del danno.

Invece, secondo il ricorrente principale, comportava una condotta incompatibile con la volonta' di proseguire il rapporto.

3. Nel terzo motivo di impugnazione, il ricorrente principale denunzia, nuovamente, la violazione falsa applicazione della Legge n. 604 del 1966, articolo 2, articoli 1218, 1223 e 1227 c.c. in relazione alla quantificazione del risarcimento del danno conseguente alla dichiarazione di inefficacia del licenziamento anche per il periodo successivo alla dichiarazione stessa.

A suo parere l'aggravio posto a suo carico era eccessivo e superava i normali parametri del risarcimento danni previsti dall'articolo 1223 c.c..

Non poteva essere posto a suo carico un danno ulteriore che non era conseguenza diretta e immediata del suo comportamento, ma era dovuto al fatto colposo del lavoratore, alla sua prolungata ignavia nel ricercare una nuova occupazione.

4. Infine, nel quarto motivo di impugnazione il signor Li. denunzia la carenza e contraddittoria motivazione in ordine al riconoscimento dell'inizio del rapporto di lavoro e sull'orario di lavoro.

Critica, a questo proposito, la lettura delle prove testimoniali effettuata da parte della Corte d'Appello.

5. Nel proprio atto difensivo - denominato "Controricorso - ricorso incidentale", l'intimata eccepisce preliminarmente l'inammissibilita' dell'impugnazione avversaria, perche' non permetteva di verificare se la procura professionale fosse dotata dei requisiti necessari, se, cioe', fosse stata rilasciata in epoca anteriore alla notificazione del ricorso, se investisse il difensore del potere espresso di proporre ricorso per cassazione e se fosse stata rilasciata in un momento successivo alla sentenza oggetto dell'impugnazione.

Nel caso di specie, invece, sulla procura, rilasciata su di un foglio separato in calce al ricorso, e priva di data, mancava ogni riferimento alla sentenza impugnata.

6. Deve essere esaminata preliminarmente, perche' pregiudiziale, l'eccezione di inammissibilita' del ricorso principale, contenuta nel controricorso.

L'eccezione non e' fondata, perche' nel caso di specie la procura e' redatta in calce al ricorso, senza soluzioni di continuita'. Non e' esatto, infatti, che sia stata rilasciata su di un foglio separato, perche' quel foglio altro non e' che la prosecuzione di quello precedente, che era stato riempito interamente fino al termine della pagina senza che rimanessero piu' spazi utili.

7. Preliminarmente, i due ricorsi, quello principale e quello incidentale, rivolti contro la stessa sentenza, debbono essere riuniti obbligatoriamente ai sensi dell'articolo 335 c.p.c..

Nei limiti che verranno specificati il ricorso principale del signor Li. e' fondato, e deve essere accolto, mentre il ricorso incidentale rimane assorbito.

8. Il primo motivo dell'impugnazione principale non e' fondato.

La Corte d'Appello di Roma non ha inteso affermare che la signora Re. Tu. Be. Ja. avesse diritto alla retribuzione anche per i periodi non lavorati, ma piuttosto che, qualora non avesse svolto un'altra attivita' lavorativa, il risarcimento del danno cui aveva diritto si identificava in concreto proprio con la retribuzione non percepita; appunto per questo ha fatto decorrere il diritto al pagamento dalla data in cui la lavoratrice aveva costituito in mora il datore di lavoro con l'offerta formale della propria prestazione, ed ha scomputato dall'intero, come aliunde perceptum, le somme che l'interessata aveva riconosciuto di avere conseguito per prestazioni lavorative occasionali.

9. Per gli stessi motivi e' infondato anche il secondo motivo di impugnazione.

Ne' lo svolgimento di lavori occasionali puo' essere considerato un comportamento non compatibile con la volonta' di proseguire il rapporto.

Come si e' detto, la Corte d'Appello ha tenuto conto ai fini della quantificazione del danno, del fatto che la lavoratrice aveva riconosciuto di avere svolto saltuariamente altre prestazioni lavorative, e ne ha detratti gli importi.

Non ne ha tenuto conto, invece, ai fini dell'esistenza del danno.

Questa deduzione appare corretta, perche' lo svolgimento di prestazioni saltuarie appare essere stato reso necessario dall'esigenza di provvedere alle normali necessita' di sostentamento, e nulla consente di affermare che la lavoratrice non avrebbe ripreso la precedente attivita' presso la ditta Simili se gliene fosse stata offerta la possibilita'.

Ne' valgono in senso contrario le generiche affermazioni del ricorrente.

10. E' fondato, invece, almeno in parte, il terzo motivo di impugnazione.

In caso di licenziamento illegittimo (o, come in questo caso, inefficace) il lavoratore ha diritto, oltre alla dichiarazione di nullita' del recesso, al risarcimento del danno conseguente, ma non necessariamente al pagamento degli importi corrispondenti alle retribuzioni non percepite, se non in quanto si identifichino nel danno e nei limiti in cui coincidano con quest'ultimo.

Questo vale anche quando, come in questo caso, la sua retribuzione sia calcolata su base oraria.

Il problema effettivo e' dunque quello dell'identificazione e della quantificazione di questo danno.

In questi casi, in realta', il danno che deriva dalla illegittimita' o dalla inefficacia del licenziamento, varia secondo le circostanze da un minimo che puo' essere vicino a zero, se il lavoratore interessato trova immediatamente una nuova occupazione a condizioni non deteriori, ad un massimo che puo' corrispondere all'insieme di tutte le retribuzioni fino a che non sopraggiunga una valida causa di scioglimento del rapporto di lavoro, oppure, ugualmente, il prestatore non reperisca una nuova occupazione.

11. Nel caso specifico della signora Re. Tu. Be. Ja. deve essere escluso che il danno non sussista o sia minimo, perche' la lavoratrice non ha conseguito tempestivamente una nuova occupazione e nessun elemento consente di ritenere che avrebbe avuto la possibilita' di farlo.

Questo non significa, pero', che il danno subito dalla lavoratrice corrisponda necessariamente all'insieme delle retribuzioni che avrebbe conseguito se avesse proseguito anche negli anni successivi la medesima attivita' alle dipendenze del Li. , che cioe' dovesse essere quantificata al livello massimo del ventaglio astrattamente possibile, come invece, in sostanza, ha ritenuto la Corte d'Appello.

Non va dimenticato, piuttosto, che "Il risarcimento non e' dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza" (art 1227 c.c., comma 2).

Con specifico riferimento al caso di specie, questo significa che il risarcimento del danno (da mancata riassunzione) non era piu' dovuto a partire dal momento in cui si doveva ritenere - anche sulla base di elementi di carattere indiziario e tenendo conto delle condizioni del mercato del lavoro - che la signora Re. Tu. Be. Ja. potesse essere in grado, facendo uso della dovuta diligenza, di reperire, nella zona di residenza dell'interessata oppure in quelle limitrofe, una occupazione corrispondente a quella svolta in precedenza presso il Li. .

La Corte d'Appello, invece, non ha compiuto questa indagine, e percio', sotto questo profilo, e' fondato e deve essere accolto il terzo motivo di impugnazione.

12. Il quarto motivo dell'impugnazione principale, invece, e' inammissibile perche' si risolve in una riproposizione di questioni di fatto, relative alla valutazione delle prove, non suscettibili di un ulteriore esame in questa sede di legittimita'.

13. Infine, il ricorso incidentale per il resto (cio' per quello che non concerne l'ammissibilita' del ricorso incidentale avversario), concerne la stessa problematica oggetto del ricorso principale e rimane percio' assorbito dalla trattazione di quest'ultimo.

14. Concludendo, dunque, il ricorso principale deve essere accolto nei limiti di questa motivazione, mentre va dichiarato assorbito quello incidentale.

La sentenza impugnata deve essere cassata, e la causa rimessa, per un nuovo esame da compiere alla luce dei principi e dei criteri indicati in questa motivazione, alla stessa corte d'Appello di Roma in diversa composizione, cui e' opportuno rimettere anche la liquidazione delle spese di questa fase di legittimita'.

P.Q.M.

riunisce i ricorsi, accoglie il principale, assorbito l'incidentale, cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.

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