Il tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro deve essere retribuito

Ai fini della determinazione se il tempo necessario al lavoratore per indossare gli indumenti di lavoro forniti dall'azienda costituisca o meno tempo di lavoro retribuito, occorre distinguere nello svolgimento della prestazione lavorativa una fase finale, che soddisfa direttamente l'interesse del datore di lavoro, e una fase preparatoria, relativa a prestazioni o attività accessorie e strumentali, da eseguire nell'ambito della disciplina d'impresa e autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale, ad esempio, può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Di conseguenza, al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva.

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 10 settembre 2010, n. 19358



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente

Dott. FOGLIA Raffaele - Consigliere

Dott. DI NUBILA Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere

Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 33251-2006 proposto da:

UN. IT. S.R.L., (gia' SA. s.r.l., successivamente incorporata nelle UN. IT. S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE TUPINI 133, presso lo studio dell'avvocato BRAGAGLIA ROBERTO, rappresentata e difesa dagli avvocati GOMEZ D'AYALA GIULIO, DE LONGIS AUGUSTO, giusta mandato a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

PA. GI. , NO. BR. , NA. MA. , TA. GI. , SO. AL. , SA. MI. , SI. LU. , TO. MA. , PE. GI. , PA. AN. , NO. GI. , RO. GI. , SE. GI. ;

- intimati -

avverso la sentenza n. 7826/2005 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 19/12/2005 r.g.n. 3859/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/07/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI NUBILA;

udito l'Avvocato GOMEZ D'AYALA GIULIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Un gruppo di dipendenti della Un. It. srl., con separati ricorsi poi riuniti, convenivano in giudizio la predetta societa' per chiedere la corresponsione dell'equivalente di venti minuti di retribuzione giornaliera per 45 settimane, a fronte del cd. "tempo tuta". Esponevano che per entrare nel perimetro aziendale dovevano transitare per un tornello apribile mediante tesserino magnetico di riconoscimento, indi percorrere cento metri ed accedere allo spogliatoio, ivi indossare gli indumenti di lavoro forniti dall'azienda, effettuare una seconda timbratura del tesserino prima dell'inizio del lavoro; al termine, dovevano effettuare una terza timbratura, accedere allo spogliatoio per lasciare gli abiti di servizio, passare una quarta volta il tesserino al tornello ed uscire. Deducevano che il tempo occorrente per le suddette operazioni costituiva una "messa a disposizione" delle proprie energie in favore del datore di lavoro, onde il tempo stesso doveva essere retribuito.

2. Si costituiva la societa' ed eccepiva che nel corso delle operazioni suddette i lavoratori rimanevano comunque liberi di disporre del proprio tempo e non erano sottoposti al potere datoriale, mentre soltanto con l'inizio effettivo del turno di lavoro essi erano sottoposti agli ordini ed alle indicazioni dei superiori gerarchici.

3. Il Tribunale respingeva la domanda attrice, ritenendo che il tempo necessario per la vestizione non costituisse tempo di lavoro retribuito. Proponevano appello gli attori. Si costituiva e si opponeva la Un. , la quale dava atto della conciliazione intervenuta nei confronti di Pr. Pa. . La Corte di Appello di Roma , in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva le domande attrici nella misura - equitativamente determinata - del 50%. Questa in sintesi la motivazione della sentenza di appello:

- come risulta dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 15734.2003, va considerato tempo di lavoro anche quello in cui il lavoratore si tiene a disposizione del datore di lavoro;

- quando l'obbligo di vestizione della divisa (Cass. n. 3763.1998) deve essere eseguito secondo pregnanti disposizioni del datore di lavoro circa il tempo ed il luogo dell'esecuzione, tale attivita' risulta "eterodiretta" e quindi da diritto alla retribuzione;

- applicati tali principi, ne risulta che il tempo impiegato nella vestizione va considerato orario di lavoro;

- cio' risulta confermato dalla direttiva n. 104.1993 della Comunita' Europea, recepita nel Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 1, comma 2 (utilizzata come indicazione interpretativa);

- poiche' non e' possibile individuare per ciascun attore i tempi effettivamente impiegati per indossare e dismettere gli abiti da lavoro, soccorre una valutazione equitativa ex articolo 432 c.p.c..

4. Ha proposto ricorso per Cassazione la Un. It. srl., deducendo cinque motivi. Gli attori sono rimasti intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, del Regio Decreto n. 692 del 1923, articoli 1 e 3 del Regio Decreto n. 1955 del 1923, del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 1, comma 1 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 1980, del Decreto Legislativo n. 155 del 1997, articolo 12 preleggi, articoli 2094 e 2104 c.c., articolo 112 e segg. c.p.c., articolo 2997 c.c.: la Corte di Appello ha violato la normativa inerente all'orario di lavoro ed il criterio dell'onere della prova, affermando apoditticamente che durante il tempo della vestizione il lavoratore sarebbe a disposizione del datore di lavoro. Viceversa detto tempo non richiede applicazione assidua e continuativa ed e' equiparabile ad un riposo intermedio ovvero al tempo necessario per recarsi al lavoro. Il lavoratore non e' a disposizione del datore di lavoro e non e' nell'esercizio delle sue attivita'. Non vi e' sinallagma contrattuale, ma solo un'attivita' preparatoria per la resa della prestazione.

6. Con il secondo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, dell'articolo 2099 c.c., articolo 36 Cost., omessa motivazione e mancata valutazione della disciplina di cui ai CCNL di settore 1991, 1995 e 1999, degli accordi aziendali, delle regole sull'interpretazione dei contratti di cui all'articolo 1362 e segg. c.p.c.. Trascritte le norme contrattuali sull'orario di lavoro, deduce la ricorrente che la riduzione di orario pari ad un'ora settimanale ha avuto riguardo al lavoro effettivo.

7. Con il terzo motivo del ricorso, la ricorrente deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in fatto circa un punto decisivo della controversia, a sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, deducendo l'omesso esame degli accordi sindacali e la mancata applicazione della regola generale dell'assorbimento del trattamento di miglior favore riferibile anche alle pause contrattuali - violazione e falsa applicazione, a sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, dell'articolo 1362 segg. c.c.. Ogni dipendente puo' entrare in fabbrica fino a 29 minuti prima dell'inizio del turno e quando ha indossato l'abito da lavoro e' libero di impiegare il tempo come desidera. Tali circostanze sono state capitolate come prova. Segue la trascrizione delle fonti contrattuali e si deduce che l'eventuale credito orario doveva essere compensato, fino a concorrenza, con le riduzioni di orario effettivo.

8. I motivi sopra riportati possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi. Essi risultano infondati. La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, dopo qualche incertezza, si e' orientata nel senso che "Ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, ove sia data facolta' al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attivita' fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attivita' lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione e' diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito". Cosi' Cass. n. 15734.2003.

9. Successivamente il principio e' ripreso da Cass. n. 19273.2006: "Ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, ove sia data facolta' al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attivita' fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attivita' lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione e' diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito. (Nella specie, riguardante un periodo antecedente alla entrata in vigore del Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66 di recepimento delle direttive comunitarie 93/104 e 200/34, la S.C. ha confermato la sentenza di merito secondo la quale il tempo della vestizione, facendo corpo con quello concernente la obbligazione principale ed attenendo un vincolo che caratterizza inevitabilmente la fase preparatoria, doveva ritenersi gia' remunerato dalla retribuzione ordinaria, senza necessita' di distinguere la retribuzione a seconda dell'esistenza dell'obbligo di indossare o meno gli indumenti da lavoro)".

10. Piu' recentemente il principio e' confermato da Cass. n. 15492.2009: "L'articolo 5 del contratto collettivo nazionale per i lavoratori delle industrie meccaniche private in data 8 giugno 1999 e del contratto collettivo nazionale delle aziende meccaniche pubbliche aderenti all'Intersind, nella parte in cui prevede che "sono considerate ore di lavoro quelle di effettiva prestazione", deve essere interpretato nel senso che siano da ricomprendere nelle ore di lavoro effettivo, come tali da retribuire, anche le attivita' preparatorie o successive allo svolgimento dell'attivita' lavorativa, purche' eterodirette dal datore di lavoro, fra le quali deve ricomprendersi anche il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale, qualora il datore di lavoro ne disciplini il tempo ed il luogo di esecuzione. Ne' puo' ritenersi incompatibile con tale interpretazione la disposizione contenuta nell'articolo 5 citato secondo la quale le ore di lavoro sono contate con l'orologio dello stabilimento o reparto, posto che tale clausola non ha una funzione prescrittiva, ma ha natura meramente ordinatoria e regolativa, ed e' destinata a cedere a fronte dell'eventuale ricomprensione nell'orario di lavoro di operazioni preparatorie e/o integrative della prestazione lavorativa che siano, rispettivamente, anteriori o posteriori alla timbratura dell'orologio marcatempo".

11. La giurisprudenza sopra citata conferma che nel rapporto di lavoro deve distinguersi una fase finale, che soddisfa direttamente l'interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attivita' accessorie e strumentali, da eseguire nell'ambito della disciplina d'impresa (articolo 2104 c.c., comma 2) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio puo' rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Di conseguenza al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva.

12. Con il quarto motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 414, 112 e 115 c.p.c., articolo 2797 c.c. e "decadenza": la Corte di Appello ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, perche' ha accolto una domanda diversa da quella proposta, vale a dire la corresponsione della retribuzione per tutto il tempo intermedio tra l'accesso al primo tornello e l'uscita definitiva dall'azienda.

13. Il quinto motivo del ricorso attiene alla violazione degli articoli 112, 414 e 432 c.p.c., articoli 1226 e 2697 c.c., vale a dire la quantificazione della domanda sulla base di un arbitrario esercizio dei poteri equitativi dinanzi ad una carente allegazione dei fatti contenuta nella domanda.

14. Detti due motivi, da esaminarsi anch'essi congiuntamente, sono infondati. Il giudice di merito non ha accolto una domanda diversa da quella formulata, ma ha attribuito un "quid minus" rispetto a quanto domandato dagli attori, finendo per considerare come tempo di lavoro o tempo a disposizione, eterodiretto, la meta' del tempo mediamente impiegato per passare dal primo al secondo tornello e dal terzo al quarto. La relativa liquidazione e' stata operata in via equitativa e con prudente apprezzamento, stante la difficolta' di accertare con precisione il "quantum" della domanda. Il giudice di merito ha fatto uso discrezionale dei poteri che gli attribuisce la norma processuale, con apprezzamento in fatto incensurabile in Cassazione, siccome adeguatamente motivato.

15. Non avendo la controparte svolto attivita' difensiva, non vi e' luogo a provvedere sulle spese del grado.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso; nulla per le spese del processo di legittimita'.

 

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