Il verbale di conciliazione relativo alla conclusione di un rapporto di lavoro non produce effetto se manca la sottoscrizione contestuale del sindacalista

Il verbale di conciliazione relativo alla conclusione di un rapporto di lavoro non produce effetto se manca la sottoscrizione contestuale del sindacalista, né l'accordo può valere come eventuale transazione tra le parti se mancano le reciproche concessioni. Nella fattispecie, il ricorrente si era dimesso per giusta causa e aveva iniziato immediatamente un nuovo rapporto, terminato con un licenziamento orale, con la stessa azienda: la continuità della prestazione lavorativa è desumibile non solo dal fatto che il dipendente ha continuato a svolgere le stesse mansioni senza soluzione di continuità, ma anche dalla circostanza che il verbale di conciliazione sindacale manca della firma del rappresentante. Di qui l'obbligo aziendale di pagare tutte le differenze retributive.

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 10 febbraio 2011, n. 3237



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele - Presidente

Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - rel. Consigliere

Dott. BERRINO Umberto - Consigliere

Dott. TRICOMI Irene - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

OR.MA. S.A.S. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. ANTONELLI 29, presso lo studio dell'avvocato COSCINO ARNALDO, rappresentato e difeso dall'avvocato MONTEMURRO ROBERTO, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

TO. GI. , domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato ESPOSITO GENNARO DARIO, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 7134/2005 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/12/2005 r.g.n. 1029/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/01/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda proposta da To. Gi. , proposta nei confronti della societa' OR.MA, avente ad oggetto il pagamento di differenze retributive relative al rapporto di lavoro intercorso con la predetta societa' dal 2 dicembre 1993 alla fine di novembre 1997, data nella quale egli era si era dimesso per giusta causa, e del successivo rapporto di lavoro iniziato nel dicembre 1997 e cessato in data 14 dicembre 1998 a seguito di licenziamento orale di cui chiedeva anche la declaratoria di nullita'. La Corte ci Appello di Napoli accoglieva la domanda relativa al pagamento di differenze retributive, ma respingeva quella concernente l'impugnativa del licenziamento.

L'adita Corte, per quello che interessa in questa sede, ritenuta incontestata la sussistenza del primo rapporto di lavoro escludeva che il verbale di conciliazione sindacale prodotto dalla societa', in ordine a tale primo rapporto di lavoro, potesse avere il valore previsto dall'articolo 411 c.p.c. non potendosi asserire, e che fosse stato sottoscritto in sede sindacale non essendo risultata depositata presso la sede periferica della CGIL alcuna copia del relativo verbale, e alla presenza ed in contestualita' con il lavoratore. Ne' aggiungeva la predetta Corte "al verbale poteva riconoscersi, valore transattivo per il mancato riferimento ai titoli delle pretese rinunciate, se non a quelle concernenti il TFR.

Quanto al secondo rapporto di lavoro, osservava la Corte partenopea, che, incontestata la durata dello stesso, la continuita' della prestazione lavorativa era desumibile dalle dichiarazioni della teste che aveva lavorato con il ricorrente e dalla presunzione logica che anche dopo la eventuale cessazione del rapporto di lavoro del teste la prestazione lavorativa del ricorrente era continuata con le stesse modalita'. La Corte del merito, poi, avuto riguardo alle mansioni effettivamente espletate dal To. ed al conseguente inquadramento nel 4 livello del CCNL del settore, riconosceva le reclamate differenze retributive utilizzando in via parametrica il richiamato CCNL.

Avverso questa sentenza la societa' ricorre in cassazione sulla base di cinque censure. Resiste con controricorso la parte intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la societa' ricorrente, denunciando violazione dell'articolo 437, c.p.c. sostiene che la domanda di nullita' del verbale di conciliazione e' stata per la prima volta svolta in appello e come tale non poteva essere delibata dal giudice di appello. La censura e' infondata.

Invero, la deduzione della novita' della domanda in questione deve ritenersi, in difetto di diversa e specifica allegazione, sollevata per la prima volta solo in sede di legittimita' e come tale e' inammissibile.

Peraltro, mette conto rilevare che la contestazione del verbale di conciliazione risulta effettuata dal To. sin dal primo grado del giudizio e tanto a seguito delle argomentazioni difensive sviluppate dalla societa' proprio in relazione alla avvenuta sottoscrizione del verbale di conciliazione. La questione concernente il valore da assegnare al verbale di cui trattasi, pertanto, faceva gia' parte del thema decidendum del giudizio di primo grado.

Con la seconda censura la societa' OR.MA, deducendo violazione degli articoli 2113 c.c., assume che il verbale di conciliazione, ancorche' non sottoscritto in sede sindacale, non e' privo del suo valore.

Con il terzo motivo la societa' ricorrente, allegando vizio di motivazione e violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. assume che nessun elemento di prova dimostra che la conciliazione non venne sottoscritta in sede sindacale. Le due censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico - giuridico vanno tratte unitariamente, sono infondate.

La Corte del merito, infatti, esclude la qualificabilita', agli effetti dell'articolo 411 c.p.c., del prodotto verbale di conciliazione, non sulla base dell'esclusivo rilievo che questo non risulta sottoscritto in sede sindacale, ma anche perche' lo stesso non sarebbe stato sottoscritto dal rappresentante sindacale alla presenza ed in contestualita' con il lavoratore. E cio' conformemente a quanto sancito da questa Corte con sentenza 11 dicembre 1999 n. 13910.

Pertanto la Corte del merito, con accertamento di fatto, adeguatamente motivato, che come tale e' sottratto al sindacato di legittimita', esclude, in base alle concrete modalita' della conciliazione, l'effettuazione, nella specie, di quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa e, quindi, correttamente ritiene non qualificabile l'atto in parola agli effetti di cui all'articolo 411 c.p.c. (Cfr. Cass. 3 aprile 2002 n. 4730).

Con la quarta censura la societa', deducendo violazione degli articoli 1965 e 2113 c.c., prospetta che al verbale di conciliazione va quantomeno riconosciuto il valore di transazione non impugnata essendo presente, sia la ed res litigiosa, sia le reciproche concessioni. La censura non e' accoglibile.

Infatti il ricorrente pur criticando che la Corte territoriale non ha riconosciuto al verbale di conciliazione valore di rinuncia e transazione agli effetti dell'articolo 2103 c.c. e pur assumendo che in tale verbale sarebbe indicata la res litigiosa e le reciproche concessioni, non trascrive, in violazione del principio di autosufficienza, nel ricorso il testo di tale verbale impedendo in tal modo qualsiasi sindacato di legittimita'.

Ne' contesta la societa' ricorrente la ritenuta mancata indicazione, nel predetto verbale, dei titoli delle pretese rinunciate se non per il TFR.

Con il quinto motivo la societa', denunciando violazione dell'articolo 2729 c.c., nonche' omessa ed insufficiente motivazione, allega che la presunzione logica, in base alla quale il giudice di appello ritiene la natura subordinata del secondo rapporto sul presupposto della subordinazione riscontrata nel primo rapporto di lavoro, e' illogica o addirittura inesistente difettando qualsivoglia riferimento agli indizi gravi, precisi e concordanti.

Il motivo e' infondato.

Difatti, la Corte partenopea relativamente al secondo rapporto di lavoro, in ordine al quale la societa' aveva dedotto la occasionalita' e non continuita' della prestazione lavorativa, riconosce la continuita' della detta prestazione lavorativa - e quindi la subordinazione - sulla base delle dichiarazioni della teste che aveva lavorato con il To. sino al 1998 e, solo con riferimento alla eventuale cessazione del rapporto di lavoro della richiamata teste prima della fine del 1998, ritiene che il rapporto di lavoro del To. sia continuato sino al dicembre 1998 con le stesse modalita' di esecuzione riferite dal teste.

Non coglie, quindi, nel segno la censura della societa' ricorrente la quale non tiene conto, nello svolgere la sua critica, della specifica motivazione sviluppata sul punto dalla Corte territoriale la quale esclusivamente a "conforto" - e pertanto ad ulteriore conferma - delle conclusioni a cui perviene, rileva che vi e' la presunzione logica "che, essendo incontestata tra le parti la sussistenza, per il precedente periodo lavorativo, della natura subordinata del rapporto e quindi della continuita' della prestazione, si deve presumere anche per il periodo successivo una continuita' delle prestazioni rese".

Ne' puo' sottacersi che per correttamente investire questa Corte della questione di cui trattasi la societa' non si doveva limitare a censurare solo ed esclusivamente siffatta ultima ratio decidendi, ma doveva investire anche l'altra indicata autonoma ratio decidendi (cfr., in merito, ex multis, Cass. 26 marzo 2001 n. 4349, Cass. 27 marzo 2001 n 4424 e da ultimo Cass. 20 novembre 2009 n. 24540).

Sulla base delle esposte considerazioni, in conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimita' seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita' liquidate in euro 10,00 per esborsi oltre euro 2.500,00 per onorario ed oltre spese generali, IVA e CPA.
 

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