In caso di decadenza dall'azione di impugnazione del licenziamento illegittimo il lavoratore può esperire l'ordinaria azione di risarcimento

La mancata impugnazione del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro bensì preclude al lavoratore soltanto la possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento ai sensi dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970. Ne consegue che, nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, qualora si sia verificata la decadenza dall'impugnazione è concesso al lavoratore di esperire la normale azione risarcitoria in base ai principi generali della responsabilità contrattuale o extracontrattuale, facendo valere i relativi presupposti, diversi da quelli previsti dalla normativa sui licenziamenti e tali da configurare l'atto di recesso come idoneo a determinare un danno risarcibile.



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REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

La Corte Suprema di Cassazione

Sezione Lavoro

Composta dai seguenti Magistrati:

Dr. Michele De Luca Presidente

Dr. Donato Figurelli Consigliere rel.

Dr. Federico Roselli Consigliere

Dr. Stefano Monaci Consigliere

Dr. Filippo Curcuruto Consigliere

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

Mi.Ed., elettivamente domiciliato in Ro., alla via Fl. n. (...), presso lo studio dell'avv. Se.Va., che lo rappresenta, giusta procura speciale a margine del ricorso, congiuntamente e disgiuntamente con l'avv. Se.Bo. del foro di To.,

ricorrente;

CONTRO

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.p.A - già Ferrovie dello Stato Società di Trasporti e Servizi per Azioni -, con sede in Ro., alla piazza De.Cr.Ro. n. (...), in persona del suo procuratore dott. Gi.Al. (procura 4 luglio 2001 per notaio Pa.Ca. di Ro., rep. (...)), rappresentata e difesa dai proff. avv.ti Fr.Ca., Ra.De.Lu.Ta., Ar.Ma. e Pa.To. e dagli avv.ti En.Mo. e Ge.Ve., ed elettivamente domiciliata presso lo studio del prof. avv. Ar.Ma. in Ro., alla via Fa. n. (...), giusta procura speciale a margine del controricorso,

controricorrente;

per l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello di Torino, in data 10 - 25 ottobre 2003, n. 1028/03, R.G.L. n. 562/2003;

udita la relazione della causa svolta dal consigliere Donato Figurelli nella pubblica udienza del 25 ottobre 2006;

udito l'avv. Se.Va. per il ricorrente;

udito l'avv. Pa.To. per la società controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. Ignazio Patrone, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo.

Con ricorso il 14 settembre 2001 il signor Ed.Mi. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torino la società Ferrovie dello Stato, contestando la legittimità del licenziamento collettivo, intimatogli mediante lettera in data 11 gennaio 1999, con decorrenza dal 12 marzo 1999 e, chiedendo in via principale, la condanna della convenuta alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni maturate dal 12 marzo 1999 fino alla reintegra e, in subordine, la condanna della stessa convenuta al pagamento della somma di lire 257.673.582, a titolo di risarcimento del danno.

Si costituiva in giudizio la Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., eccependo preliminarmente la tardività dell'impugnazione del licenziamento e contestando nel merito il fondamento delle domande.

Con sentenza in data 24 gennaio 2002 il Tribunale respingeva le domande e compensava le spese.

Proponeva appello il Mi., insistendo per l'accoglimento delle domande proposte in primo grado.

Si costituiva l'appellata per ottenere la conferma della sentenza di primo grado.

Con sentenza in data 10 - 27 ottobre 2003 la Corte d'Appello di Torino respingeva l'appello e condannava l'appellante fa rimborsare all'appellata le spese del grado di giudizio.

La Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado, osservando che l'intervenuta decadenza precludeva al lavoratore non solo la possibilità di ottenere la speciale tutela, obbligatoria o reale, ma anche la possibilità di chiedere l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento e, quindi, di esperire l'azione risarcitoria.

Avverso la predetta sentenza il signor Mi. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico complesso motivo.

Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

Motivi della decisione.

1. Con l'unico motivo di ricorso il Mi. denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1453 e 2043 c.c., nonché illogicità e contraddittorietà della motivazione.

Il ricorrente ripropone le argomentazioni già svolte nei precedenti gradi del giudizio di merito ed insiste, nonostante la tardiva impugnazione del licenziamento, per raccoglimento della domanda subordinata di risarcimento del danno.

2. Il ricorso è infondato.

L'assunto del ricorrente di far valere l'asserita illegittimità del licenziamento come fonte di risarcimento non può trovare accoglimento.

Non solo, invero, il regime di tutela reale non può trovare applicazione, ma neppure il risarcimento del danno ex art 18 della legge n. 300/1970 può trovare ingresso, in mancanza di una tempestiva impugnazione.

Come, invero, è stato correttamente osservato dalla Corte territoriale, il ricorrente non ha impugnato il licenziamento nei termini di decadenza dei sessanta giorni, secondo le previsioni di legge (art. 5 comma 3, legge 223/1991 ed art. 5 legge 604/1966.

L'onere dell'impugnazione tempestiva è previsto dalla legge n. 604/1966 in generale, e dalla legge n. 223/1991 per l'ipotesi particolare di licenziamento collettivo.

Come ripetutamente affermato da questa Corte Suprema (Cass. nn. 1757/1999, 817/85, 5532/87), la mancata impugnazione del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del datore, bensi preclude al lavoratore la possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento ai sensi dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970. Nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, qualora si sia verificata decadenza dall'impugnazione, è concesso al lavoratore licenziato di esperire la normale azione risarcitoria, in base ai principi generali che governano questa azione, sempre che ne ricorrano - e siano dal lavoratore allegati - i relativi presupposti.

Nel caso di specie, come nella fattispecie di cui a Cass. 1757/1999, il lavoratore, con l'atto introduttivo del giudizio, non ha esercitato l'azione risarcitoria da fatto illecito produttivo di danno, ma ha voluto attivare la procedura di cui alle richiamate disposizioni di legge.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha respinto l'appello, in quanto l'azione risarcitoria di diritto comune deve essere esercitata sulla base di profili di illegittimità del licenziamento diversi da quelli previsti dalla normativa sui licenziamenti, facendo valere l'atto di recesso come atto idoneo a determinare un danno risarcibile in base ai principi generaci della responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.) o extracontrattuale (art. 2043 c.c.); ad esempio, in relazione a modalità di recesso tali da determinare di per sé un danno, sotto il profilo fisico o psichico, alla salute del lavoratore.

Non avendo il lavoratore fatto valere fazione risarcitoria di diritto comune, il ricorso va, pertanto, rigettato.

3. Consegue, secondo il principio della soccombenza, la condanna del ricorrente a rimborsare alla controparte le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla società RFI S.p.A. le spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 16,50 oltre euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorario difensivo, ed oltre al rimborso delle spese generali e degli altri accessori di legge.

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