In caso di licenziamento collettivo il trasferimento dell'azienda prima del termine della procedura di riduzione di personale rende necessaria la rinnovazione di tutta la procedura

In caso di licenziamento collettivo il trasferimento dell'azienda prima del termine della procedura di riduzione di personale rende necessaria la rinnovazione di tutta la procedura al fine della efficacia dei singoli recessi.
(Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 20 febbraio 2008, n. 4334)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATTONE Sergio - Presidente

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - rel. Consigliere

Dott. MAIORANO Francesco Antonio - Consigliere

Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - Consigliere

Dott. MORCAVALLO Ulpiano - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CI. FO. S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore Dott. Su. Lu., in proprio e quale cessionaria del ramo d'azienda di SI. SRL in liquidazione, anche quale successore a titolo particolare di SI. SRL in liquidazione ex articolo 111 c.p.c., elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEL CORSO 160, presso lo studio dell'avvocato ALESSANDRINI RAFFAELLO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

RO. AN., PO. CA., MI. OT., DE. SI. RE., DE. PE. MA., BR. CL., CA. FA., BO. MA., PA. GI., ST. GI., CO. AN., NI. RO., RE. MA., elettivamente domiciliati in ROMA VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell'avvocato AIELLO FILIPPO, che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrenti -

e contro

SC. MA., S. G., CR. ST., elettivamente domiciliati in ROMA VIA DELLA BALDUINA 120, presso lo studio dell'avvocato D'ALOISIO BENIAMINO, che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrenti -

e contro

MA. JE. MA., SA. FR., CA. CL., RO. PI., S. M., ON. FA., RO. GI., c.c., VA. GI., CI. BR., SA. PA., elettivamente domiciliati in ROMA VIALE LIEGI 16, presso lo studio dell'avvocato CERNIGLIA MASSIMO, che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrenti -

e contro

CU. TE., SC. AN., TI. CL., GI. BR., C. A., DO. DA., SI. SRL IN LIQUIDAZIONE;

- intimati -

e sul 2 ricorso n. 05032/05 proposto da:

C. A., DO. DA., elettivamente domiciliati in ROMA VIALE LIEGI 16, presso lo studio dell'avvocato CERNIGLIA MASSIMO, che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrenti e ricorrenti incidentali -

contro

CI. FO. SPA IN LIQUIDAZIONE, SC. MA., S. G., CR. ST., CU. TE., MA. JE. MA., SA. FR., CA. CL., SC. AN., RO. PI., S. M., ON. FA., RO. GI., c.c., VA. GI., CI. BR., SA. PA., TI. CL., RO. AN., PO. CA., MI. OT., GI. BR., CA. FA., BR. CL., DE. SI. RE., DE. PE. MA., BO. MA., RE. MA., PA. GI., NI. RO., CO. AN., ST. GI., SI. SRL IN LIQUIDAZIONE;

- intimati -

avverso la sentenza n. 5909/04 del Tribunale di ROMA, depositata il 17/02/04 R.G.N. 65881/1999;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/11/07 dal Consigliere Dott. Fabrizio MIANI CANEVARI;

udito l'Avvocato ALESSANDRINI;

udito l'Avvocato CERNIGLIA anche per delega AIELLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi, successivamente riuniti, Sc.Ma. e litisconsorti hanno dedotto in giudizio di aver lavorato fino al luglio 1996 alle dipendenze della societa' It., che in data 10 aprile 1996 aveva avviato procedura di licenziamento collettivo per 75 unita', conclusasi il successivo 6 giugno senza accordo con le organizzazioni sindacali. La stessa It. aveva ceduto con effetto dal 1 luglio 1996 il ramo di azienda in cui i ricorrenti erano impiegati alla soc. SI.; detta societa', facendo riferimento alla procedura di mobilita' avviata dalla societa' cedente, li aveva licenziati in data 13 agosto 1996.

I ricorrenti deducevano sotto vari profili l'illegittimita' ed inefficacia dei licenziamenti, chiedendo la condanna della convenuta soc. SI. alla reintegrazione nel posto di lavoro; la S.p.a. Ci. Fo., convenuta nei procedimenti introdotti da due ricorrenti, si costituiva in tali giudizi e quindi successivamente, su chiamata in causa disposta su istanza degli altri attori, anche nei confronti di costoro.

Il Pretore adito dichiarava l'inefficacia dei licenziamenti intimati a due ricorrenti (Do. e C.) e rigettava le domande proposte dagli altri attori. A seguito di distinti appelli principali proposti da vari gruppi di lavoratori e di appelli incidentali delle societa' Ci. Fo. e Si., disposta la riunione dei procedimenti, il Tribunale di Roma con la sentenza oggi impugnata dichiarava l'inefficacia dei licenziamenti intimati ai lavoratori appellanti, con la condanna alla reintegrazione degli stessi nel posto di lavoro e al risarcimento del danno.

Le questioni affrontate e risolte con la sentenza impugnata riguardano i seguenti punti:

a) la validita' dei licenziamenti intimati dalla cessionaria SI., a seguito di procedura di mobilita' aperta dalla It.;

b) l'efficacia dei licenziamenti in relazione alla rilevata incompletezza delle comunicazioni inviate dalla SI. ai sensi della Legge n. 223 del 1991 articolo 4 comma 9;

c) gli effetti della statuizione di invalidita' dei licenziamenti nei confronti della Ci. Fo., successore a titolo particolare nel diritto controverso a seguito della cessione di ramo di azienda verificatasi da epoca antecedente alla sentenza di primo grado;

d) la detraibilita' dell'indennita' di disoccupazione e mobilita' dall'ammontare del danno risarcibile;

e) la configurabilita' di una acquiescenza ai licenziamenti per alcuni lavoratori che nell'ambito di un accordo con altre societa' avevano accettato una nuova occupazione.

La Ci. Fo. S.p.a. in liquidazione (anche quale successore a titolo particolare di SI. S.r.l. in liquidazione) propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Resistono con controricorso quattro distinti gruppi di lavoratori; due resistenti (C. e Do.) propongono anche ricorso incidentale.

Gli intimati Cu.Te., Ti.Cl., Gi. Br., Sc.An. non si sono costituiti.

La societa' ricorrente e gli intimati Ro., Po., Mi., Ca. Br., De. Si., De. Pe., Bo., Re., Pa., Ni., Co. e St. hanno depositato memorie ai sensi dell'articolo 378 cod. proc. civ..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi proposti contro la stessa sentenza devono essere riuniti ai sensi dell'articolo 335 cod. proc. civ..

2. La societa' ricorrente deduce che nelle more del giudizio sono state definite transattivamente le posizioni relative a Gi., Ti., Cu. e Sc.. La cessazione della materia del contendere relativamente a questi lavoratori non e' stata peraltro documentata.

3. Il primo motivo del ricorso principale, mediante la denuncia dei vizi di violazione e falsa applicazione dell'articolo 2112 cod. civ., nonche' vizio di motivazione, investe la statuizione con cui e' stata esclusa l'efficacia del licenziamento operato dalla soc. SI., subentrata in base ad atto di cessione di azienda alla societa' It., a conclusione della procedura ex Legge n. 223 del 1991 iniziata dalla medesima It..

Ad avviso del giudice dell'appello, il mutamento della situazione di fatto determinata dalla cessione di azienda comporta che ogni decisione circa la riduzione di personale poteva essere adottata solo all'esito di una nuova procedura da avviare con riferimento alla situazione modificata.

La parte rileva che detta procedura, iniziata da It. il 10 aprile 1996, e' stata conclusa dalla stessa societa' con il verbale di mancato accordo del 10 giugno 1996; SI. e' subentrata ad It. solo successivamente, con decorrenza dal 1 luglio 1996. Richiamato il principio secondo cui tutti i contratti di lavoro esistenti alla data del trasferimento tra il cedente ed i lavoratori occupati nell'impresa trasferita si trasmettono ipso iure al cessionario, si afferma che nella specie si e' verificata una semplice sostituzione personale nella titolarita' del rapporto (che consentiva l'esercizio del potere di recesso da parte della cessionaria).

Il motivo non merita accoglimento. La censura si basa sul presupposto dell'avvenuta conclusione della procedura di mobilita' prevista dalla Legge n. 223 del 1991 articolo 4 in un momento anteriore al trasferimento di azienda; ma tale assunto non trova conferma nella disciplina posta dalla normativa richiamata, in cui il controllo della legittimita' del recesso e' collegato al regolare svolgimento di una serie di adempimenti formali (o di singole fasi procedurali) che il datore di lavoro deve porre in essere per l'attuazione del programma di riduzione del personale eccedente, dato che l'inosservanza della procedura collettiva incide sullo stesso potere dell'imprenditore di ridurre il personale, in modo da causare l'inefficacia dei singoli licenziamenti.

Questo procedimento si articola nelle varie fasi previste dall'articolo 4 cit. (commi da 2 a 7), esaurite le quali - raggiunto o meno l'accordo mediante le consultazioni ivi previste con le organizzazioni sindacali- "l'impresa ha facolta' di collocare in mobilita' gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti, comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso". Contestualmente, da parte del medesimo datore di lavoro deve essere data comunicazione scritta, sia all'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione, sia alla commissione regionale per l'impiego, sia alle associazioni di categoria, dell'elenco dei lavoratori collocati in mobilita', "con l'indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell'eta', del carico di famiglia" e deve essere pure data "puntuale indicazione delle modalita' con le quali sono stati applicati i criteri di scelta" (articolo 4, comma 9). Come rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte (v. per tutte Cass. Sez. Un. 11 maggio 2000 n. 302) quest'ultima disposizione va rapportata a quella contenuta nell'articolo 5, comma 1, che stabilisce che i lavoratori da porre in mobilita' debbono essere individuati, tenuto conto delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, in primo luogo in base ai criteri concordati con le organizzazioni sindacali qualora sia stato raggiunto l'accordo di cui si e' sopra parlato o, in mancanza, nel rispetto, in concorso tra loro, dei criteri relativi al carichi di famiglia, all'anzianita' e alle esigenze tecnico produttive ed organizzative.

In questo sistema, il datore di lavoro e' tenuto in un primo tempo a manifestare i criteri da utilizzare per la selezione del personale eccedente (concordati con le associazioni sindacali o unilateralmente predisposti) e, successivamente, ad esternare le modalita' di applicazione dei suddetti criteri come prima definiti. E il veicolo, il piu' idoneo possibile a rendere conoscibili queste scelte imprenditoriali, e' stato individuato nelle comunicazioni, che, ai sensi dell'articolo 4, comma 9, debbono essere fatte sia agli organismi ammirativi sia alle organizzazioni sindacali, per consentire a queste ultime di esercitare quel controllo preventivo di cui si e' sopra parlato.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dunque, le procedure cui fa riferimento l'articolo 4, comma 12, comprendono tutto l'iter procedimentale che va a concludersi, secondo la sequenza scandita dai vari commi dell'articolo 4, con le comunicazioni indicate nel nono comma; e cio' spiega perche' anche in caso di violazione di questa norma operi la sanzione dell'inefficacia del licenziamento ai sensi dell'articolo 5 comma 3 della citata legge.

Questi rilievi, mentre confutano il presupposto dell'assunto della societa' ricorrente (dovendosi far riferimento alla comunicazione finale del 14 agosto 1996, successiva alla cessione di azienda) dimostrano l'esistenza di una correlazione diretta, ai fini della tutela della posizione del lavoratore, tra i vari momenti di esplicazione delle scelte dell'imprenditore, rappresentati dalle comunicazioni iniziale e finale della procedura (in particolare, quanto a quest'ultima, per la "puntuale indicazione" delle specifiche modalita' di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare). Il contenuto di tali comunicazioni deve fare riferimento alle condizioni in cui versa l'impresa datoriale, da valutarsi al momento in cui questa decide di instaurare la suddetta procedura; infatti solo il riferimento alla situazione "attuale" consente, alla stregua dell'articolo 4 cit., commi 5 e 9 un documentato esame congiunto delle parti sociali, da un lato, (onde valutare le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza di personale dell'impresa e le possibilita' di diversa utilizzazione del personale stesso) e dei dipendenti, dall'altro, in ordine ai criteri di scelta, legali e convenzionali, dei lavoratori da collocare in mobilita' (v. Cass. 13 luglio 2006 n. 15943, 12 dicembre 2006 n. 26462).

Nell'ipotesi di cessione di azienda intervenuta (come nella specie) prima del completamento di tale iter procedurale, il mutamento intervenuto nella situazione di fatto interrompe la suddetta correlazione, perche' esclude la possibilita' di collegare direttamente la valutazione della situazione di eccedenza, esplicitata nella comunicazione iniziale, a quella rispecchiata dalla comunicazione finale ex articolo 4, comma 9, riferita ad un quadro globale diverso. Resta cosi' preclusa la realizzazione della finalita' della norma, diretta ad un compiuto controllo, pure da parte dei dipendenti interessati, sui criteri di scelta (legali o convenzionali) di quanti vanno collocati in mobilita', da riferire alla situazione presente al momento della conclusione della procedura.

Correttamente, quindi, il giudice dell'appello ha affermato l'inefficacia dei licenziamenti intimati rilevando - dato il mancato espletamento di un'autonoma procedura di licenziamento collettivo da parte della SI. - la violazione delle regole poste dalla Legge n. 223 del 1991 articolo 4.

4. Con il secondo motivo del ricorso principale, mediante la denuncia dei vizi di violazione della norma da ultimo citata e difetto di motivazione, si censura la statuizione con cui e' stato ravvisato un ulteriore profilo di inefficacia dei licenziamenti per l'inosservanza degli obblighi connessi alla comunicazione di cui al nono comma del citato articolo 4, effettuata dalla societa' solo con la trasmissione dell'elenco dei lavoratori recante in calce l'astratta indicazione dei criteri di scelta.

Si sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, la violazione delle procedure cui fa riferimento la Legge n. 223 del 1991 articolo 5 comma 3, non puo' essere riferita alle comunicazioni che nell'ambito del comma 9 dello stesso articolo sono tenute distinte dalle procedure ed attengono ad una fase successiva all'esaurimento della procedura. Si afferma poi la ritualita' delle comunicazioni effettuate, e si sostiene che la SI. non si e' limitata alla pedissequa ripetizione dei criteri fissati dalla legge, ma ha dato contezza delle specifiche modalita' con le quali ha applicato, per ognuno dei lavoratori licenziati, i criteri di legge".

Il motivo e' infondato.

Per il primo profilo di censura e' sufficiente il richiamo al gia' citato consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la sanzione dell'inefficacia del licenziamento, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, ricorre anche in caso di violazione della norma di cui all'articolo 4, comma 9, che impone al datore di lavoro di dare comunicazione, ai competenti uffici del lavoro e alle organizzazioni sindacali, delle specifiche modalita' di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.

Quanto al secondo aspetto, non viene censurato l'accertamento di fatto contenuto nella decisione impugnata, secondo cui la comunicazione si limita alla mera enunciazione dei criteri di scelta seguiti. Tale dichiarazione non contiene evidentemente alcuna puntuale indicazione delle modalita' con cui gli stessi criteri sono stati applicati per l'individuazione di ciascun dipendente destinatario del provvedimento, come richiesto dalla legge.

5. Il terzo motivo dello stesso ricorso, con la denuncia di violazione e falsa applicazione dell'articolo 2112 cod. civ. e difetto di motivazione, investe la statuizione relativa agli effetti dell'accertamento dell'inefficacia del licenziamento nei confronti della CI. FO., acquirente dell'azienda. La decisione, che attribuisce a questa societa' la posizione di successore a titolo particolare nel diritto controverso (indipendentemente dalla rituale formulazione di domanda nei suoi confronti), a seguito della cessione di ramo di azienda verificatasi da epoca antecedente alla sentenza di primo grado, esclude anche la rilevanza di una condizione apposta alla cessione, di fatto verificatasi, e la configurabilita' dell'ipotesi di trasferimento di azienda derivante da provvedimento amministrativo.

La decisione e' criticata, sotto il profilo processuale, sostenendosi l'inammissibilita' delle conclusioni formulate dai lavoratori nei confronti della Ci. Fo. soltanto ad istruttoria gia' compiuta; la societa', essendo stata chiamata in causa, aveva assunto la veste di parte processuale, sicche' i ricorrenti avrebbero dovuto, ai sensi degli articoli 414 e 420 cod. proc. civ., formulare le proprie conclusioni entro la prima udienza utile successiva alla chiamata in causa.

Sotto il profilo sostanziale si ripropone l'eccezione di difetto di legittimazione passiva della societa', rilevandosi che la cessione di azienda aveva effetto dal giorno 11 novembre 1997, e che la cessione era sottoposta alla condizione della concessione da parte della S.p.a. Ae. di. Ro. e delle chiusura negativa di un'istruttoria aperta dalla Autorita' per la tutela della concorrenza.

Tutto cio', si sostiene, comporta l'inapplicabilita' del disposto dell'articolo 2112 cod. civ., che non opera quando il trasferimento avvenga in forza di provvedimento autoritativo.

Il motivo appare infondato sotto tutti i profili. Per il primo, trova applicazione il principio di diritto secondo cui nell'ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso (come e' avvenuto nel caso di specie) la chiamata in causa del successore non e' soggetta ai termini e alle formalita' previsti dagli articoli 269 e 420 cod. proc. civ. per la chiamata del terzo (Cass. 9 ottobre 2000 n. 13458); la sentenza pronunciata contro le parti originarie spiega i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare, ai sensi dell'articolo 111 cod. proc. civ..

Per il secondo, non viene specificamente censurato l'accertamento di fatto compiuto dalla sentenza impugnata, secondo cui la cessione ha avuto luogo in virtu' di atti privati stipulati tra le due societa' SI. e Ci. Fo.. E' dunque irrilevante il richiamo della parte alla tesi dell'inapplicabilita' dell'articolo 2112 cod. civ. nell'ipotesi di trasferimento di azienda riconducibile ad un atto amministrativo. Per la stessa ragione, e' irrilevante il riferimento alla condizione che si ritiene inserita nel patto di cessione.

6. Il quarto motivo contiene la denuncia di "violazione e falsa applicazione degli articoli 2103 e 2113 c.c., dei principi in tema di acquiescenza" nonche' motivazione insufficiente e contraddittoria.

La sentenza impugnata ha ricostruito la vicenda delle trattative intercorse per la soluzione della vertenza con l'assunzione dei lavoratori interessati dalla procedura di mobilita' alle dipendenze di altre due societa' (SI. e Ca. de. Ro.), trattative in cui intervenne anche il Ministero del lavoro. Ha ripercorso quindi le varie fasi di incontri ed accordi, in cui le societa' SI. e Ca. de. Ro. accettarono le proposte formulate per l'instaurazione di nuovi rapporti di lavoro, mentre, a seguito della mancata iniziale adesione di gran parte dei lavoratori interessati, la societa' SI. ritenne di procedere ai licenziamenti. Dopo le comunicazioni di recesso, la quasi totalita' dei suddetti dipendenti della SI., al fine di stipulare i nuovi contratti, sottoscrisse dinanzi all'Ufficio provinciale del lavoro - come era stato richiesto - dichiarazioni di disponibilita' alla instaurazione di nuovi rapporti di lavoro con la manifestazione di volonta' di tenere indenni le societa' Si. e Ca. de. Ro. da qualsiasi pretesa attinente il precedente rapporto con la SI..

A conclusione di una approfondita analisi, il Tribunale ha quindi rilevato quanto segue. L'ipotesi transattiva, che inizialmente avrebbe comportato un accordo trilaterale tra tutte le societa' per il passaggio diretto dei lavoratori, porto' invece - a seguito della posizione assunta dalla SI. - ad un accordo bilaterale tra i lavoratori e le societa' Si. e Ca. de. Ro. per la instaurazione di nuovi contratti di lavoro, nell'ambito della quale risultava del tutto superflua la clausola di manleva per pretese attinenti ai rapporti precedenti con la SI..

Su questa base, ha escluso che con l'accettazione delle nuove assunzioni i lavoratori abbiano manifestato, anche implicitamente, la volonta' di accettare i licenziamenti intimati dalla SI..

Questa ricostruzione viene contestata dalla attuale ricorrente, secondo cui l'acquiescenza ai licenziamenti sarebbe stata manifestata sia con la percezione del trattamento di fine rapporto e della indennita' di mobilita', sia con la sottoscrizione dei verbali allegati alla comunicazione UPLMO del 1 aprile 1998; con riguardo a tali dichiarazioni - il cui contenuto, riportato nel ricorso, corrisponde a quello accertato nella sentenza impugnatala parte attribuisce specifico rilievo al riferimento all'accordo del 26 luglio 1996 presso il Ministero del lavoro. Sostiene, quindi, che i lavoratori accettarono l'instaurazione dei nuovi rapporti in vece e in sostituzione di quelli risolti per licenziamento, in esecuzione di accordi intervenuti tra tutte le parti sociali, realizzandosi cosi' un chiaro rapporto eziologico tra il licenziamento della SI. e l'offerta del nuovo posto di lavoro; il reperimento di nuova occupazione risulta cosi' la "esecuzione di un accordo inizialmente rifiutato ma subito dopo accettato in tutti i suoi elementi costitutivi".

Il motivo non merita accoglimento. L'accertamento del giudice di merito in ordine all'inesistenza di atti o comportamenti del lavoratore configurabili come acquiescenza alla situazione determinatasi con il recesso, e tali percio' da escludere l'interesse ad agire con l'azione predetta, e' incensurabile in sede di legittimita', se sorretto da adeguata motivazione (Cass. 9 luglio 1994 n. 6484).

Le critiche mosse non identificano alcun vizio logico nell'iter argomentativo seguito dal giudice dell'appello, fondato su una accurata disamina di tutte le fasi della vicenda sopra descritta; in particolare, non confutano in alcun modo la ricostruzione delle circostanze che portarono dall'iniziale verbale di accordo presso il Ministero del lavoro del 26 luglio 1996 agli sviluppi successivi, conclusisi con i patti stipulati tra i lavoratori e le societa' Si. e Ca. de. Ro. per l'instaurazione di rapporti di lavoro del tutto nuovi (in cui la cd. clausola di manleva non assume alcuna rilevanza concreta).

E' noto che secondo la costante giurisprudenza il reperimento di una nuova occupazione dopo il licenziamento non rivela di per se' in maniera univoca, ancorche' implicita, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l'atto risolutivo del rapporto (v. per tutte Cass. 30 marzo 1998 n. 3337, 24 febbraio 2006 n. 4166, 29 maggio 2007 n. 12613).

Le ragioni poste a base del convincimento espresso dal giudice dell'appello in ordine all'autonomia dei patti stipulati per la nuova assunzione presso le societa' SI. e Ca. de. Ro. impediscono di considerare gli stessi come "esecuzione di un accordo inizialmente rifiutato" e di attribuire a tal fine valore significativo al richiamo, nelle citate dichiarazioni dei lavoratori, ai precedenti accordi.

La percezione di indennita' di fine rapporto non dimostra, in assenza di altre circostanze precise, concordanti e obiettivamente concludenti, l'intenzione del lavoratore di accettare l'atto risolutivo (cfr. Cass. 14 gennaio 1998 n. 304, 12 luglio 2002 n. 10193); lo stesso deve dirsi anche per la riscossione di somme a titolo di indennita' di mobilita'.

7. Con l'ultimo motivo si denunciano i vizi di violazione e falsa applicazione degli articoli 1224, 1226 e 1227 e dei "principi in tema di aliunde perceptum", nonche' difetto di motivazione.

La statuizione relativa alla liquidazione del danno da licenziamento illegittimo, che si fonda sui risultati di un'indagine peritale svolta nel giudizio di appello, viene censurata mediante il richiamo integrale di note di critica all'elaborato del consulente tecnico, che riguardano in genere i criteri di calcolo delle somme /"" percepite alle dipendenze dei nuovi datori di lavoro (osservandosi il carattere "del tutto teorico" del conteggio effettuato) e poi l'errore commesso nel sommare le differenze di fine rapporto alle differenze retributive; il mancato calcolo degli importi percepiti a titolo di trattamento di fine rapporto; il calcolo delle spettanze di C.A. e Da. Do., reintegrati nel posto di lavoro in forza della sentenza di primo grado.

Il motivo e' inammissibile, per la genericita' della censura. Con essa si deducono errori causati da inesatta determinazione dei presupposti numerici di operazioni di calcolo, che si risolve in un vizio logico della motivazione. Peraltro tale vizio non viene identificato con specifico riferimento ai criteri adottati nella sentenza impugnata per la determinazione delle singole poste di credito: la ricorrente, che si limita a riportare le critiche mosse alla consulenza tecnica, non precisa, con riguardo al contenuto della decisione sui vari punti, le ragioni dell'obiettiva deficienza del ragionamento del giudice di merito, e soprattutto non indica l'effettiva divergenza tra il risultato del calcolo su cui si basa la decisione e quello derivante dall'adozione di diversi criteri.

8. Con l'unico motivo del ricorso incidentale C.A. e Da. Do., denunciando i vizi di violazione della Legge n. 300 del 1970 articolo 18 e difetto di motivazione, censurano la decisione con cui il Tribunale ha limitato l'importo del danno loro attribuito dal primo giudice, tenendo conto di quanto gli interessati avrebbero percepito se avessero accettato l'offerta di lavoro.

La critica si fonda sul rilievo che l'importo del risarcimento puo' essere limitato solo se il datore di lavoro riesce a provare che il lavoratore licenziato ha goduto di altra retribuzione con il reperimento di nuova occupazione. Nella specie, non e' stata allegato ne' provato che i ricorrenti incidentali abbiano percepito redditi nel periodo in questione. Erroneamente, quindi, il Tribunale ha considerato aliunde perceptum un reddito sulla cui esistenza non sussisteva alcuna prova.

Si osserva inoltre che "erroneamente e' stata considerata quale data di decorrenza della ipotetica assunzione quella del 1 ottobre 1996" mentre altri lavoratori risultano assunti in epoca successiva.

Il ricorso non merita accoglimento. La decisione impugnata non si fonda sulla dimostrazione del reperimento di una nuova occupazione e della percezione di un reddito di lavoro nel periodo considerato, ma sull'applicazione del principio di cui all'articolo 1227 cod. civ. che esclude il risarcimento dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza; principio operante nel caso in cui la negligenza possa essere dimostrata dalla mancata attivazione nella ricerca di una nuova occupazione.

La censura formulata non investe questa ratio decidendi e l'accertamento dei presupposti per l'applicazione del principio richiamato.

Il riferimento alla decorrenza della "ipotetica assunzione", in mancanza di concreti riferimenti alla fattispecie esaminata, non consente di identificare vizi della motivazione.

I ricorsi devono essere quindi respinti. Data la reciproca soccombenza, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese tra la societa' ricorrente principale e C.A. e Da. Do.; la medesima ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, in favore degli intimati costituiti con i diversi controricorsi. Nulla per le spese nei confronti degli intimati non costituiti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese tra la ricorrente principale e C. A. e Do. Da.; condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 45,00 per esborsi, euro 2.500,00 per onorari in favore di Ma.Je. Ma. e litisconsorti, euro 2.500,00 in favore di Ro.An. e litisconsorti, euro 2.000,00 in favore di Sc.Ma. e litisconsorti, oltre spese generali. Nulla per le spese nei confronti degli intimati non costituiti.

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