In tema di contrattazione collettiva, la disposizione pattizia che introduca una maggiorazione degli interessi per il ritardato pagamento degli oneri contributivi è assimilabile alla clausola penale

In tema di contrattazione collettiva, la disposizione pattizia che introduca una maggiorazione degli interessi per il ritardato pagamento degli oneri contributivi è assimilabile alla clausola penale e il giudice può, d’ufficio, valutarne l'eccessiva onerosità subordinatamente all'assolvimento degli oneri, di parte, di allegazione e prova, delle circostanze all’uopo rilevanti, non assumendo rilievo, a tale fine, l’eventuale dedotta mancanza di danno in concreto, attesa l’estraneità del danno alla struttura della clausola penale. (Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 28 ottobre 2008, n. 25888)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente

Dott. DE MATTEIS Aldo - Consigliere

Dott. LA TERZA Maura - Consigliere

Dott. BANDINI Gianfranco - rel. Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 31456/2005 proposto da:

BU. UG. DI. M. BU. &. C. S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 180, presso lo studio dell'avvocato MARCHETTI ALBERTO, rappresentata e difesa dall'avvocato LO GIUDICE ANTONINO, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

CA. ED. PR. DI. ME.;

- intimata -

sul ricorso 2319/2006 proposto da:

CA. ED. DE. PR. DI. ME., in persona del suo Presidente legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PELLEGRINO MATTEUCCI 44, presso lo studio dell'avvocato CIPOLLONE MILENA, rappresentata e difesa dall'avvocato BONFIGLIO EMILIA, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

BU. UG. DI. M. BU. &. C. S.N.C.;

- intimata -

avverso la sentenza n. 954/2005 della CORTE D'APPELLO di MESSINA, depositata il 16/08/2005 R.G.N. 612/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/09/2008 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVI Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, accoglimento dell'incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Giudice del Lavoro di Messina rigetto' l'opposizione proposta dalla Bu. Ug. di. M. Bu. e. C. snc (qui di seguito, per brevita', anche " Bu. ") avverso il decreto ingiuntivo richiesto nei suoi confronti per la somma di lire 734.767 dalla Ca. Ed. de. Pr. di. Me. a titolo di omissioni contributive.

La Corte d'Appello di Messina, con sentenza in data 5.7 - 16.8.2005, rigetto' l'appello principale proposto dalla Bu. e, in accoglimento dell'appello incidentale, ridetermino' l'ammontare delle spese di lite di prime cure poste a carico della parte soccombente.

La Corte territoriale, a sostegno del decisum, osservo' quanto segue:

- l'attestazione del direttore della sede provinciale dell'ente creditore costituiva, in materia di contributi previdenziali, prova idonea ai fini del decreto ingiuntivo;

- proposta l'opposizione, la domanda, ove fondata, andava accolta indipendentemente dalla regolarita', sufficienza e validita' degli elementi addotti nella fase monitoria;

- ai fini dell'applicabilita' del CCNL e del relativo contratto provinciale di lavoro, il comportamento concludente del datore di lavoro andava interpretato come adesione a detti contratti;

- la disposizione contrattuale collettiva relativa agli interessi non rientrava tra le condizioni di contratto predisposte da uno dei contraenti, con conseguente inapplicabilita' dell'articolo 1341 c.c., ne' era assimilabile ad una clausola penale, con conseguente inapplicabilita' dell'articolo 1384 c.c.;

- la base di calcolo del contributo aggiuntivo di cui all'articolo 12, comma 2, del contratto provinciale integrativo del 22.10.1998 doveva presumersi fosse la stessa prevista dal comma 1, riferentesi sicuramente alla retribuzione;

- le spese liquidate nel giudizio di primo grado erano inferiori al minimo legale.

Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale la Bu. Ug. di. M. Bu. e. C. snc ha proposto ricorso per cassazione fondato su sei motivi.

La Ca. Ed. de. Pr. di. Me. ha resistito con controricorso, proponendo altresi' ricorso incidentale fondato su un unico motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, siccome proposti avverso la medesima sentenza (articolo 335 c.p.c.).

2. Con il primo articolato motivo la ricorrente principale lamenta violazione o falsa applicazione degli articoli 634 e 635 c.p.c., nonche' vizio di motivazione, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deducendo che:

- erroneamente la Corte territoriale aveva assimilato la fattispecie in esame ai crediti di natura previdenziale vantati dagli enti pubblici con funzione di previdenza e assistenza, con conseguente ritenuta applicabilita' dell'articolo 635 c.p.c., comma 2, nel mentre le Ca. Ed. esercitano una funzione analoga a quella assicurativa, di intermediazione, e non di previdenza e assistenza; nel caso di specie, per di piu', la pretesa ineriva al mancato versamento del cosiddetto Contributo Ca. Ed., ulteriore rispetto agli accantonamenti e che non poteva essere considerato alla stregua di un credito previdenziale;

- anche a voler ritenere fondato il credito, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la nullita' del decreto ingiuntivo opposto, con tutte le conseguenze in ordine alle spese ivi liquidate.

Con il secondo motivo la ricorrente principale lamenta violazione o falsa applicazione degli articoli 1326 e 1372 c.c., in relazione alle norme del CCNL 5.7.1995 e del contratto provinciale di lavoro del 22.10.1998, deducendo che la mera compilazione mensile delle denunce nominative dei lavoratori occupati da parte di essa ricorrente non poteva costituire adesione indiscriminata ai patti collettivi provinciali e ad ogni clausola ivi contenuta, con particolare riferimento a quelle relative a maggiorazioni per ritardato pagamento del contributo di gestione.

Con il terzo motivo la ricorrente principale lamenta violazione o falsa applicazione degli articoli 1341, 1342, 1322 e 1362 c.c., nonche' vizio di motivazione, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deducendo che erroneamente la Corte territoriale aveva disatteso l'eccezione relativa alla mancata prova della effettiva conoscenza delle clausole contenute nel contratto provinciale, nonche' del mancato recepimento, da parte di essa ricorrente, della clausola relativa alle maggiorazioni, trattandosi di clausola vessatoria in quanto contenente la previsione di una clausola penale e versandosi in ipotesi di adesione ad un contratto da altri predisposto su modulo prestampato, con conseguente nullita' della clausola in mancanza di esplicita accettazione ex articoli 1341 e 1469 bis c.c..

Con il quarto motivo la ricorrente principale lamenta violazione o falsa applicazione dell'articolo 1362 c.c., in relazione all'interpretazione dell'articolo 12 del contratto provinciale del 22.10.1998, nonche' vizio di motivazione, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deducendo che la Corte territoriale aveva interpretato la suddetta norma pattizia in maniera arbitraria e illogica, conducente alla conseguenza che la Ca. Ed. potrebbe esigere a titolo di sanzioni una somma superiore a quella richiesta dall'Inps in caso di omesso o ritardato pagamento dei contributi previdenziali, cosicche' le cosiddette maggiorazioni avrebbero dovuto essere limitate alla misura indicata nella Legge n. 388 del 2000 articolo 116.

Con il quinto motivo la ricorrente principale lamenta violazione o falsa applicazione dell'articolo 1384 c.c., in relazione alla richiesta riduzione delle somme previste dall'articolo 12 del contratto provinciale del 22.10.1998, posto che il ritardo degli accantonamenti e dei contributi non determina alcun danno alla Ca. Ed..

Con il sesto motivo la ricorrente principale lamenta violazione o falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c., sul rilievo che, in base ai precedenti motivi, le spese di lite avrebbero dovuto essere poste a carico della controparte.

Con l'unico motivo la ricorrente incidentale lamenta violazione o falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c., del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585 e Decreto Ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, della Legge n. 794 del 1942 articolo 24, e dell'/A> articolo 2223 c.c. (rectius: articolo 2233), deducendo che, nella liquidazione delle spese relative sia al primo che al secondo grado di giudizio le tariffe professionali risultavano essere state violate anche nel minimo e, comunque, che la liquidazione era inadeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.

3. Il primo motivo di ricorso si fonda sul rilievo che le casse edili eserciterebbero una funzione analoga a quella assicurativa, di intermediazione, con erogazione di prestazioni e servizi nell'ambito dello specifico settore delle imprese edili, e non di previdenza o assistenza; tale assunto, che pure ha trovato riscontro in talune pronunce di legittimita' (cfr, ex plurimis, Cass., n. 9662/2001), ad avviso del Collegio, non puo' essere condiviso (e risulta del resto superato dall'ulteriore elaborazione giurisprudenziale di questa Corte: cfr, ex plurimis, Cass n. 13300/2005), ove si consideri che le casse edili non si limitano ad effettuare, a favore degli aventi diritto, il pagamento delle somme che il datore di lavoro e' tenuto ad accantonare a favore dei lavoratori (per riposi annui, ferie, festivita' e gratifica natalizia), ma adempiono a vere e proprie prestazioni previdenziali (provvedendo alla riscossione dei relativi contributi), quale la corresponsione dell'integrazione aggiuntiva di malattia che - come si desume dal Decreto Legge 23 giugno 1995, n. 244, articolo 29, comma 1, convertito nella Legge 8 agosto 1995, n. 341 - non e' erogata, per i lavoratori edili, dal datore di lavoro, bensi' appunto dalle casse edili (cfr, al riguardo, Cass., n. 20004/2004); nello specifico il regolamento della Ca. Ed. de. Pr. di. Me., espressamente richiamato nel controricorso, contempla del resto specifiche forme di assistenza erogate direttamente dalla Cassa a favore degli iscritti (fra le quali l'indennita' giornaliera di malattia, l'indennita' giornaliera per infortunio sul lavoro o malattia professionale, l'indennita' giornaliera per malattie per le quali e' accertato il mancato intervento di altro istituto assistenziale, i sussidi funerari, le borse di studio (cfr. articolo 27) e prevede (cfr. articolo 28) che hanno diritto a tali prestazioni i lavoratori per i quali siano stati adempiuti gli obblighi verso la Ca. Ed. stabiliti dal CCNL e di cui all'articolo 2 dello stesso Regolamento e, cosi', in particolare, anche la maggiorazione contributiva nel caso di ritardato versamento (cfr. articolo 2, lettera h).

Ne consegue che, in relazione alla pretesa creditoria di che trattasi, la Ca. Ed. deve essere ricompressa, al pari degli altri enti di previdenza e assistenza, nella previsione di cui all'articolo 635 c.p.c., comma 2, cosicche' deve riconoscersi l'idoneita' dell'attestazione del credito a costituire prova ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo (cfr, ex plurimis, Cass., n. 12227/2004).

Il motivo all'esame, restando assorbita la disamina di ogni ulteriore profilo di doglianza ivi svolto, deve pertanto essere disatteso.

4. La Corte territoriale, con motivazione congrua e immune da vizi logici, ha ritenuto che l'avvenuta compilazione mensile da parte dell'odierna ricorrente principale delle denunzie dei lavoratori occupati, con le quali, giusta la dicitura in calce ai moduli, veniva assunto l'impegno a dare esecuzione a quanto stabilito, fra l'altro, dagli accordi integrativi locali, costituisce comportamento concludente ai fini di ritenerne l'adesione ai contratti medesimi; ed invero, tenuto conto che l'adesione alla contrattazione collettiva, in ossequio al principio della liberta' delle forme negoziali, puo' essere desunta anche per facta concludentia, non puo' ravvisarsi violazione delle norme di ermeneutica contrattuale nella rilevata concludenza di un comportamento che, sistematicamente, attraverso l'utilizzo delle ricordate denunzie, ribadiva l'accettazione delle previsioni contrattuali pattizie (cfr, Cass., n. 13300/2005, nonche', in motivazione, Cass., n. 1502/1986).

Siffatta adesione, una volta riconosciuta anche in relazione alla normativa contrattuale locale, deve essere ovviamente riferita al complesso delle previsioni pattizie, cosicche' risulta privo di fondamento giuridico l'assunto della ricorrente principale secondo cui dovrebbe essere esclusa la sua accettazione delle clausole relative alle cosiddette maggiorazioni per ritardato pagamento.

Anche il secondo motivo del ricorso principale non puo' pertanto trovare accoglimento.

5. Come gia' esposto la Corte territoriale ha ritenuto l'intervenuta adesione dell'odierna ricorrente principale alla contrattazione collettiva locale (contemplante la cosiddetta "maggiorazione" per ritardato pagamento dei contributi di gestione) sulla base del comportamento concludente costituito dal sistematico utilizzo, ai fini delle denunzie dei lavoratori occupati, della modulistica contenente l'impegno a dare esecuzione a quanto stabilito (anche) da tale contrattazione collettiva.

Ne consegue che la contrattazione a cui l'odierna ricorrente ha aderito (per facta concludentia) e' appunto, ai fini che qui specificamente rilevano, quella collettiva locale; tale tipologia di contratti e' evidentemente estranea a quella dei contratti al consumo, cui si riferisce, nel testo vigente all'epoca dei fatti per cui e' causa, l'articolo 1469 bis, invocato con il terzo motivo del ricorso principale.

Al contempo deve convenirsi che le norme del contratto collettivo provinciale non costituiscono condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti, quanto piuttosto la risultanza degli accordi raggiunti dalle parti sociali, cosicche' risulta inconferente il richiamo alla disciplina di cui all'articolo 1341 c.c..

Dal che discende l'infondatezza del terzo motivo del ricorso principale.

6. Secondo il consolidato e condiviso orientamento interpretativo di questa Corte, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la parte che denuncia l'erronea interpretazione di un atto di autonomia privata deve riportarlo integralmente, non essendo consentito alla Corte di legittimita', per i limiti propri della funzione ad essa attribuita, procedere alla ricerca e all'esame del contenuto dei fascicoli di parte, al di fuori dell'ipotesi di denuncia di error in procedendo (cfr, ex plurimis, Cass. n. 4948/2003).

Costituisce al contempo costante affermazione della giurisprudenza di legittimita' che l'interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune e' censurabile in sede di legittimita' solo per vizi di motivazione e violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale; le censure basate sulle suddette violazioni devono essere tuttavia specifiche, con indicazione dei singoli canoni ermeneutici violati e delle ragioni della asserita violazione, mentre le censure riguardanti la motivazione devono riguardare l'obiettiva insufficienza di essa o la contraddittorieta' del ragionamento su cui si fonda l'interpretazione accolta, potendo il sindacato di legittimita' riguardare esclusivamente la coerenza formale della motivazione, ovvero l'equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, e non potendosi percio' ritenere idonea ad integrare valido motivo di ricorso per cassazione una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito che si risolva solamente nella contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte (cfr, ex plurimis, Cass., n. 8994/2001).

Il quarto motivo del ricorso principale non rispetta tali principi, sia perche' non riporta il contenuto della norma pattizia (articolo 12 contratto collettivo provinciale del 22.10.1998) che si assume essere stata erroneamente interpretata; sia perche', pur deducendo l'asserita violazione dell'articolo 1362 c.c., non spiega le ragioni in forza delle quali il Giudice del merito avrebbe disatteso tale canone ermeneutico; sia infine perche', a fronte di motivazione congrua e immune da vizi logici, si risolve nella sostanziale contrapposizione di una diversa interpretazione della clausola di che trattasi, per di piu' arbitrariamente ricollegata ad una norma (la Legge n. 388 del 2000 articolo 116) dettata in tema di sanzioni civili per il ritardato pagamento di contributi obbligatori per legge e non, come nel caso di specie, di maggiorazioni da ritardato versamento stabilite da fonte contrattuale.

7. Come esposto nell'isterico di lite, la Corte territoriale ha ritenuto che la disposizione contrattuale collettiva relativa agli interessi non era assimilabile ad una clausola penale, con conseguente inapplicabilita' dell'articolo 1384 c.c..

Con il quinto motivo il ricorrente principale non formula alcuna specifica censura in ordine al mancato riconoscimento della natura di clausola penale della disposizione in parola; tuttavia il difetto di specificita' della censura - da cui discenderebbe la sua inammissibilita' - deve essere escluso, posto che gia' nello svolgimento del terzo motivo, al quale quello all'esame e' collegato, il ricorrente principale ha esposto le ragioni per le quali la previsione in parola dovrebbe essere considerata quale clausola penale ex articolo 1382 c.c., "atteso che con essa le parti convengono preventivamente la prestazione dovuta per il caso di ritardo nell'adempimento".

Cio' premesso, e dovendosi rilevare che effettivamente la disposizione pattizia che ne occupa e' sostanzialmente riconducibile alla previsione di cui all'articolo 1382 c.c., (apparendo per contro apodittica la negazione espressa al riguardo nella sentenza impugnata, non potendo, in via di consequenzialita' logica, esser fatta derivare tale negazione dalla ritenuta inapplicabilita' dell'articolo 1341 c.c.), deve tuttavia ravvisarsi (in linea con quanto gia' affermato da condivisa giurisprudenza di questa Corte: cfr, Cass., n. 24166/2006) l'infondatezza del motivo, tenuto conto che:

- la valutazione relativa all'eccessiva onerosita' della clausola penale puo' essere esercitata anche d'ufficio (onde di nessun rilievo risulta l'eccezione di tardivita' dell'istanza di riduzione, siccome svolta per la prima volta in appello, riproposta dalla controricorrente), ma e' comunque condizionata dall'assolvimento degli oneri di allegazione e prova delle circostanze rilevanti sul piano dell'eccessivita' della penale stessa;

- alla stregua del disposto dell'articolo 1384 c.c., incombe pertanto su chi richiede la riduzione allegare le circostanze dimostrative della manifesta eccessivita' della penale in relazione all'interesse del creditore all'adempimento;

- secondo quanto risulta dall'impugnata sentenza, l'eccessivita' dell'ammontare richiesto era stata prospettata, con l'atto d'appello, sotto il profilo della mancanza di danno per la Ca. Ed. e anche nel ricorso per cassazione il ricorrente principale adduce soltanto tale assenza di danno per la Cassa quale unica ragione che avrebbe dovuto condurre alla riduzione dell'importo ex adverso preteso;

- siffatto profilo, vale a dire la mancanza di danno in concreto, e' del tutto estraneo alla struttura della clausola penale, posto che l'importo a tale titolo pattuito e' dovuto indipendentemente dalla prova del danno (cfr articolo 1382 c.c., comma 2).

Ne discende che la decisione assunta sul punto dalla Corte territoriale e' conforme a diritto, ancorche' la motivazione sia giuridicamente erronea; da cio' discende che non puo', sul punto all'esame, disporsi la cassazione della sentenza impugnata, dovendosene soltanto correggere la motivazione dei termini anzidetti (articolo 384 c.p.c., comma 2).

8. Il sesto motivo del ricorso principale risulta assorbito stante l'intervenuta reiezione degli altri.

9. Con l'unico motivo la ricorrente incidentale lamenta l'inadeguatezza dell'intervenuta liquidazione in suo favore delle spese di lite afferenti ad entrambi i gradi di giudizio.

Tale doglianza non e' stata tuttavia svolta perche' la Corte territoriale non ha distinto, nella liquidazione, tra diritti ed onorari, quanto invece perche' la liquidazione complessivamente effettuata non rispetterebbe i minimi tariffari e sarebbe comunque inadeguata rispetto all'importanza dell'opera e al decoro della professione. Osserva la Corte che, avuto riguardo all'attivita' defensionale svolta e al valore della controversia (che, riguardo ai diritti del giudizio d'appello, va parametrato al primo scaglione, cioe' fino ad euro 600,00, e non al terzo, come indicato nella dimessa nota spese), il coacervo delle somme liquidabili a titolo di diritti e onorari (esclusa la maggiorazione per spese generali, siccome disposta a parte) risulta rispettare, per entrambi i gradi di giudizio, i minimi tariffari applicabili (quanto agli onorari quelli in vigore al momento della liquidazione; quanto ai diritti quelli vigenti al momento del compimento dei singoli atti).

Deve d'altra parte ritenersi che il rispetto di tali minimi sia di per se' idoneo a garantire l'adeguatezza della liquidazione all'importanza dell'opera e al decoro della professione.

Il motivo di ricorso incidentale non puo' dunque essere condiviso.

10. In base alle considerazioni che precedono sia il ricorso principale che quello incidentale vanno pertanto rigettati.

Ritenuta la prevalente soccombenza della ricorrente principale, ne va disposta la condanna alla rifusione della meta' delle spese del giudizio di cassazione, liquidate per l'intero come in dispositivo, con compensazione della residua quota.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi; condanna la ricorrente principale a rifondere alla Ca. Ed. la meta' delle spese del giudizio di cassazione, che liquida per l'intero in euro 33,00, oltre ad euro 1.200,00 (milleduecento) per onorari, spese generali, IVA e CPA come per legge.

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