L'articolo 1418 del Cc, nella parte in cui prevede che il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, è applicabile anche alle norme regionali

L'articolo 1418 del Cc, nella parte in cui prevede che il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, è applicabile anche alle norme regionali, purché emanate nel rispetto del riparto delle competenze legislative Stato-regioni delineato dall'articolo 117 della Costituzione. Pertanto, nell'ipotesi di conferimento da parte di una regione di un incarico dirigenziale di durata quinquennale a soggetto esterno alla propria amministrazione, sulla base di un contratto a tempo determinato prevedente espressamente che l'incaricato aveva al momento della stipula un'età superiore agli anni Settanta (con esplicito richiamo alla allora vigente normativa statale che in tali casi non fissava alcun limite di età), la suddetta disposizione codicistica non può essere interpretata nel senso di legittimare il recesso unilaterale della regione dal rapporto di lavoro così instaurato, per asserita conclusione del contratto in violazione di norma imperativa, assegnando tale rango a una normativa regionale (oltretutto riguardante una diversa ipotesi) alla quale si attribuisca il significato di influire sul regime di un rapporto che, invece, è disciplinato dalle disposizioni codicistiche e dalle leggi sul lavoro subordinato nel settore privato, disposizioni che come tali sono di esclusiva competenza statale. PUBBLICAZIONE Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24 Il Sole 24 Ore, Guida al Diritto, 2013, 4, pg. 34

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Sentenza 18 dicembre 2012, n. 23351



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STILE Paolo - Presidente

Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere

Dott. TRIA Lucia - rel. Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4790-2009 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

REGIONE CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 263/2008 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/02/2008 r.g.n. 527/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/11/2012 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l'Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);

udito l'Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata rigetta l'appello di (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro del 30 aprile 2003 che, a sua volta, aveva respinto la domanda dell' (OMISSIS) diretta ad ottenere il riconoscimento dell'illegittimita' del recesso della Regione Calabria dal rapporto instauratosi tra le parti con contratto stipulato in data 3 agosto 1999, con la conseguente condanna dell'Ente al risarcimento del danno procuratogli, previa disapplicazione del provvedimento regionale che aveva annullato le diverse delibere riguardanti il contratto stesso con il quale gli era stato conferito l'incarico di Dirigente generale del Dipartimento Organizzazione e Personale.

La Corte d'appello di Catanzaro, per quel che qui interessa, precisa che:

a) in base al chiaro tenore della normativa richiamata dalle parti (della Legge Regionale Calabria 13 maggio 1996, n. 7, articolo 26, comma 3 e della Legge Regionale Calabria 24 maggio 1999, n. 14, articolo 1-bis) non e' possibile il "protrarsi" degli incarichi di funzione di dirigente generale e di dirigente di settore oltre il compimento del settantesimo anno di eta';

b) tale norma si applica anche alle persone non appartenenti al ruolo della Giunta regionale -e quindi anche esterne all'Amministrazione - ed e' una norma imperativa destinata a regolare tutta la materia presso la Regione Calabria;

c) non ha rilievo in contrario l'uso del termine "protrarsi" perche' da una interpretazione sistematica non puo' non desumersi che la disposizione ha carattere generale ed e' stata concepita come diretta a prevalere anche su norme contrattuali o su normative generali di diverso tenore;

d) cio' significa che l'uso del verbo "protrarre" equivale alla introduzione di un divieto del prolungamento dell'incarico oltre il termine del settantesimo anno di eta', "anche se tale possibilita' fosse consentita da altre norme";

e) del resto, per rendere piu' efficiente e rapida l'azione della PA e' comprensibile che si prevedano limiti di eta' per la copertura degli incarichi dirigenziali da parte del personale, mentre agli esterni e' piu' confacente la diversa figura della consulenza che non comporta l'attribuzione di incarichi di amministrazione attiva;

f) quanto, infine, all'assunto secondo cui il Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 19 (e del Decreto Legislativo n. 165 del 2001) "configurerebbe una deroga alla normativa regionale", vi e' da osservare che tale norma si riferisce all'Amministrazione statale non riguarda affatto le Regioni;

g) suddetta norma statale "derogatoria" risulta inapplicabile perche' nulla precisa in merito alla questione di cui si controverte nel presente giudizio, a fronte della legislazione regionale che specifica in modo chiaro che la disciplina della materia in oggetto viene riservata alla normativa regionale.

2 - Il ricorso di (OMISSIS) domanda la cassazione della sentenza con due motivi; resiste, con controricorso, la Regione Calabria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 - Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n 3, violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 19, comma 6, nonche' della Legge Regionale Calabria 13 maggio 1996, n. 7, articolo 26, comma 3, e della Legge Regionale Calabria 24 maggio 1999, n. 14, articolo 1-bis per avere la Corte territoriale escluso l'applicabilita', nella specie, del suindicato articolo 19, comma 6 e per avere respinto la domanda azionata.

Il ricorrente sottolinea che il rapporto professionale di cui si tratta ha avuto inizio con un contratto regolarmente stipulato in data 3 agosto 1999, con prevista durata quinquennale e possibilita' di risoluzione per entrambe le parti ai sensi dell'articolo 2119 cod. civ., salvo anticipato recesso del prestatore d'opera.

Nel corso dello svolgimento del rapporto - il 1 agosto 2000 - improvvisamente la Regione e' receduta dallo stesso, sull'assunto secondo cui avendo al momento della stipulazione dell'indicato contratto l'attuale ricorrente gia' compiuto il settantesimo anno di eta', il contratto in oggetto era stato concluso in violazione della Legge Regionale n. 7 del 1996 cit., benche' peraltro tale legge nulla disponga al riguardo per l'ipotesi in cui il rapporto con il soggetto estraneo all'Amministrazione non "prosegua", ma "sorga", in applicazione del Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 19, comma 6, (ora contenuto nel Decreto Legislativo n. 165 del 2001).

Al riguardo il ricorrente sottolinea che la Corte catanzarese effettuata una interpretazione erronea della normativa di riferimento da un duplice punto di vista, cioe', perche': 1) attribuisce alla normativa regionale un contenuto che essa non ha; 2) ritiene che la normativa statale (articolo 19 cit.) si riferisca esclusivamente alle Amministrazioni statali e, quindi, non si applichi alle Regioni.

Si rileva, altresi', che in circostanze analoghe la stessa Regione aveva sostenuto che, per il conferimento di incarichi dirigenziali a personale esterno all'Amministrazione, l'articolo 19 in oggetto non prevedeva alcun limite di eta'.

D'altra parte anche le giustificazioni date dalla Corte territoriale rispetto alla affermata applicazione del limiti di eta' - "svecchiamento", efficienza e rapidita' della PA - appaiono poco convincenti e in contrasto con quanto precisato, in merito al Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 19 dalla giurisprudenza amministrativa e contabile, ove si e' sempre posto l'accento sul "grado elevato di esperienza" dei soggetti estranei all'Amministrazione, con comprovata qualificazione personale, il cui contributo alla PA e' stato considerato prezioso (vedi, per tutte: Corte dei Conti, Sez. Contr. Stato, delibera, 16 luglio 2001).

Peraltro, la situazione dei soggetti esterni e' completamente diversa rispetto a quella dei dirigenti interni che vengono preposti ad uffici dirigenziali e quindi le due situazioni non sono paragonabili.

2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, "in relazione alla sollevata execptio iudicati di illegittimo esercizio del potere di autotutela da parte della Regione Calabria in violazione di quanto disposto dalla Legge n. 241 del 1990, articolo 2-nonies".

Si sostiene che, dal dispositivo della sentenza impugnata, si desumerebbe che la Corte d'appello ha erroneamente considerato legittimo l'esercizio del potere di autotutela da parte della Regione Calabria.

Cio' rievocherebbe un riferimento ad una errata connotazione autoritativa e discrezionale del rapporto, che invece e' regolato solo dal diritto privato, secondo il costante insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte di cassazione, formatosi anche sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale.

Comunque, anche nell'ottica amministrativistica, l'esercizio del potere di autotutela, nella specie, non potrebbe comunque considerarsi legittimo, dato il tempo trascorso dall'inizio del rapporto e la mancanza di giustificazione atta a giustificare il mancato mantenimento dell'atto amministrativo, cioe' rapportata all'interesse pubblico, concreto e attuale alla rimozione.

2 - Esame delle censure

3. Il primo motivo del ricorso va accolto, per le ragioni di seguito esposte.

3.1.- Per una migliore comprensione della presente vicenda giudiziaria appare opportuno ricordare che, come di recente ribadito da questa Corte nella sentenza 5 marzo 2012, n. 3419 -relativa ad una controversia analoga alla presente anche temporalmente, originata dal recesso unilaterale della Regione Calabria da un rapporto di lavoro instaurato con un soggetto esterno alla propria Amministrazione scelto per svolgere per un quinquennio, con contratto a tempo determinato, un incarico dirigenziale - in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, a partire dall'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 29 del 1993 - che ha introdotto la privatizzazione del pubblico impiego con riguardo anche al settore della dirigenza (settore, quest'ultimo, la cui specifica disciplina, con i Decreto Legislativo n. 80 e n. 387 del 1998, e' stata completata, sul piano strutturale, anche per le modalita' di svolgimento degli incarichi dirigenziali; con l'accentuazione, sul piano funzionale, della distinzione tra attivita' di indirizzo politico-amministrativo e compiti gestori dei dirigenti: vedi Corte cost. sentenza n. 103 del 2007) - nel procedimento di assegnazione di incarichi di funzioni dirigenziali da parte di una Amministrazione pubblica a soggetti esterni alla struttura organica dell'ente medesimo, vanno distinte due fasi: quella relativa agli atti preliminari (atto di conferimento dell'incarico dirigenziale ed ogni altro atto che, parimenti, preceda la stipulazione del contratto) e quella successiva alla stipulazione del contratto individuale di lavoro a tempo determinato con l'amministrazione abilitato a definire il corrispondente trattamento economico, il tutto in vista di determinati obiettivi.

Entrambe le fasi sono rette dal diritto privato con devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario (del lavoro), pero' le conseguenze dell'eventuale inadempimento dell'Amministrazione sono rispettivamente diverse nelle due fasi.

Infatti, mentre nella prima fase e' riconosciuta all'Amministrazione un'ampia discrezionalita' nella scelta del contraente, sicche' in essa non sorge un diritto soggettivo pieno alla stipulazione del contratto dal quale dipende, in via esclusiva, l'assunzione dell'incarico della funzione dirigenziale (vedi, per tutte; Cass. 20 febbraio 2007, n. 3929; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4275), pur essendo configurabili in favore dell'interessato situazioni soggettive di diritto privato, derivanti dalla soggezione della PA ai principi di imparzialita' e buon andamento, ex ari 97 Cosi, da applicare in modo analogo alle clausole di buona fede e correttezza che presiedono i rapporti interprivati, visto che le valutazioni che la PA compie in questa fase sono analoghe a quelle che potrebbe compiere un privato committente (vedi: Cass. SU 19 ottobre 1998, n. 10370; Cass. SU 3 gennaio 2007, n. 4).

Nella fase successiva alla stipulazione del contratto, invece, la tutela del privato e' piena e quindi se l'Amministrazione recede unilateralmente dal contratto illegittimamente, questo atto ha gli stessi effetti di un recesso contrattuale fra privati, visto che anche la delibera di revoca dell'incarico non ha natura autoritativa (al pari di quella iniziale del conferimento dell'incarico), sicche' il suddetto atto appartiene alla gestione di un rapporto di lavoro assunto dalla PA con le capacita' e i poteri del datore di lavoro privato (vedi, per tutte: Cass. SU 19 ottobre 1998, n. 10370; Cass. 16 febbraio 2009, n. 3677).

Dalle suesposte considerazioni si desume che l'atto che ha dato origine alla presente controversia e' un atto di quest'ultimo tipo, essendo stato adottato dopo la stipulazione, avvenuta il 3 agosto del 1999, del contratto individuale di lavoro a tempo determinato tra l'attuale ricorrente e la Regione Calabria di conferimento dell'incarico di Dirigente generale del Dipartimento Organizzazione e Personale della Amministrazione regionale.

Va, inoltre precisato che il suddetto atto e' stato anche adottato dopo che nel suindicato contratto - diretto a definire il corrispondente trattamento economico in vista degli obiettivi determinati - si era dato atto del gia' avvenuto compimento dei settanta anni di eta' da parte dell'incaricato e si era fatto esplicito richiamo sul punto all'allora vigente Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 19 che in tali casi non fissava alcun limite di eta'.

Su queste basi, il rapporto professionale di cui si tratta aveva avuto regolare svolgimento per il primo dei cinque anni della sua prevista durata.

3.2. - Ne consegue che, iscrivendosi la presente vicenda nel sistema venutosi a delineare a partire dall'emanazione del Decreto Legislativo n. 29 del 1993, il rapporto in oggetto e' disciplinato - anche con riferimento all'esercizio della facolta' di recesso delle parti - dalle disposizioni codicistiche e dalle leggi sul lavoro subordinato nel settore privato e i rapporti individuali di lavoro sono regolati contrattualmente.

Il Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 2, commi 2 e 3, che delinea tale assetto di regolamentazione - come piu' volte affermato anche dalla Corte costituzionale (vedi, per tutte: sentenza n. 507 del 2000) - rappresenta "un principio legislativo costituente principio fondamentale vincolante per le Regioni (vedi: in proposito Corte cost. sentenza n. 352 del 1996)".

Infatti, se le leggi regionali potessero, cio' nonostante, continuare ad emanare disposizioni destinate a sovrapporsi o ad aggiungersi a quelle previste, nei rispettivi ambiti di competenza, dalla legislazione statale e dai contratti collettivi, l'intero sistema in questione verrebbe evidentemente compromesso con riguardo al comparto dei dipendenti regionali.

Va, inoltre, sottolineato che la stipulazione del contratto per il conferimento dell'incarico dirigenziale di cui si tratta e' avvenuta prima sia della entrata in vigore (8 novembre 2001) della riforma del titolo 5 della Parte 2 della Costituzione (disposta con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) sia dell'entrata in vigore (13 ottobre 2000) del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (che, agli articoli 88 e 111, stabilisce un raccordo tra la disciplina degli uffici e del personale, anche di livello dirigenziale, degli enti locali e quella del Decreto Legislativo n. 29 del 1993 e successive modificazioni).

Si deve anche tenere presente che all'epoca vi erano riferimenti, nella contrattazione collettiva, alle norme del Decreto Legislativo n. 29 del 1993, pero' nel CCNL del Comparto Regioni-Autonomie locali vigente dal 1 gennaio 1998 al 31 dicembre 2001, all'articolo 22, comma 2, si faceva esclusivo riferimento ai principi stabiliti dal Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 19, commi 1 e 2, e quindi non al comma 6, prevedente la possibilita' del conferimento di incarichi dirigenziali a persone esterne al l'Amministrazione.

Va considerato, altresi', che solo con il Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, articolo 40, comma 1, lettera f), in sede di modifica del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 19 (nel quale, com'e' noto, sono confluiti i corrispondenti articoli contenuti nei precedenti decreti legislativi, in materia) si e' espressamente estesa l'applicazione del comma 6 cit. (oltre che del nuovo comma 6-bis) alle Amministrazioni di cui al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 1, comma 2, tra le quali rientrano anche le Regioni (vedi, sul punto, Corte Cost. sentenza n. 310 del 2011).

Comunque, in linea generale, solo in epoca relativamente recente si e' consolidato, nell'ambito della giurisprudenza costituzionale, l'orientamento secondo cui la normativa statale in materia di incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni all'Amministrazione e' "riconducibile alla materia dell'ordinamento civile di cui all'articolo 117 Cost., comma 2, lettera 1), poiche' il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni, disciplinato dalla normativa citata, si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato", sicche' le Regioni non possono legiferare in materia senza rispettare i precetti stabiliti dalla suddetta legislazione statale (vedi, per tutte: Corte cost. sentenza n. 324 del 2010).

Ne deriva che, nella presente controversia, ha un ruolo marginale la pacifica estraneita' all'articolo 19, comma 6, cit., nel testo vigente all'epoca in cui si sono svolti i fatti, di limiti di eta', tra i requisiti richiesti ai soggetti esterni per il conferimento, da parte delle Amministrazioni pubbliche, di incarichi dirigenziali.

Infatti, per quanto si e' detto, in quel momento, l'individuazione da parte delle Regioni dei soggetti esterni all'Amministrazione idonei a ricoprire l'incarico dirigenziale risultava altamente discrezionale e subordinata unicamente all'impossibilita' di reperire le speciali professionalita' nell'ambito della dirigenza di ruolo, senza necessita' di richiedere ai destinatari il possesso degli stessi requisiti stabiliti per le Amministrazioni statali, ritenendosi sufficiente la verifica della sussistenza dei requisiti indicati dalla normativa (nella specie regionale) di riferimento in capo al soggetto destinatario dell'incarico.

Ma cio' valeva solo per la prima delle due suddette fasi del procedimento di assegnazione degli incarichi di funzioni dirigenziali, mentre la fase successiva, nella quale era gia' operativa la contrattualizzazione della dirigenza, era comunque regolata dalle norme civilistiche, la cui applicazione escludeva - come attualmente esclude - l'attribuzione alla pubblica Amministrazione della facolta' di recedere liberamente dal rapporto stesso (Corte cost. sentenza n. 313 del 1996), anche se instaurato con dirigenti generali, venendosi diversamente "ad instaurare uno stretto legame fiduciario tra le parti, che non consentirebbe ai dirigenti generali di svolgere in modo autonomo e imparziale la propria attivita' gestoria" (Corte cost. sentenza n. 103 del 2007).

Anche per tale ultima tipologia di incarichi (pur se conferiti a soggetti esterni all'Amministrazione: Corte cost. sentenze n. 81 del 2010 e n. 161 del 2008), infatti, come costantemente affermato dalla Corte costituzionale, "il rapporto di lavoro instaurato con l'Amministrazione che attribuisce la relativa funzione deve essere connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuita' dell'azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione" (Corte cost. sentenze n. n. 103 e n. 104 del 2007; n. 390 e n. 351 del 2008 ; n. 224 e n. 34 del 2010; n. 246 del 2011).

Da cio' deriva, secondo il reiterato insegnamento del Giudice delle leggi, che, nell'ipotesi in cui l'Amministrazione intenda di interrompere il rapporto prima della scadenza contrattualmente prevista e' tenuta a garantire "un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti", nell'ambito del quale, nel rispetto dei principi del giusto procedimento, da un lato, l'Amministrazione esterni le ragioni - connesse alle pregresse modalita' di svolgimento del rapporto anche in relazione agli obiettivi programmati dalla nuova compagine governativa - che sono alla base della propria scelta; "dall'altro, al dirigente sia assicurata la possibilita' di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi posti dall'organo politico e individuati, appunto, nel contratto a suo tempo stipulato" (Corte cost. sentenza n. 161 del 2008).

Infatti, le pubbliche Amministrazioni sono tenute ad uniformare il proprio operato al rispetto dei principi dettati dagli articoli 97 e 98 Cost. nonche' al rispetto dei principi ispiratori della riforma della pubblica Amministrazione, secondo cui, per i dirigenti, l'osservanza del canone dell'efficacia e dell'efficienza deve essere misurato "alla luce dei risultati che il dirigente deve perseguire, nel rispetto degli indirizzi posti dal vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato, modulato in ragione della peculiarita' della singola posizione dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa e' inserita" (Corte cost. sentenza n. 103 del 2007).

3.3.- Dalle anzidette considerazioni si trae conferma della erroneita' della decisione assunta dalla Corte catanzarese.

Ai fini qui considerati (sussistenza di un limite di eta') e nel quadro normativo dell'epoca va sottolineato che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale:

a) la posizione dei soggetti esterni all'Amministrazione scelti per svolgere, con contratto a tempo determinato, un incarico dirigenziale risulta imparagonabile rispetto a quella dei dirigenti interni;

b) inoltre, come risulta confermato dall'interpretazione letterale e logico-sistematica della richiamata normativa regionale, la "protrazione" di un incarico non puo' considerarsi equivalente al relativo "conferimento";

e) pertanto, non e' possibile, su queste basi, sostenere, con interpretazione "creativa", che le norme regionali - prevedenti che l'"esercizio" delle funzioni di dirigente generale e di dirigente di settore non puo' "protrarsi" oltre il limite di eta' di settanta anni - avrebbero introdotto un divieto del prolungamento dell'incarico oltre il suddetto limite di eta', di carattere imperativo, destinato a regolare tutta la materia presso la Regione Calabria, diretto a prevalere anche su norme contrattuali o su normative generali di diverso tenore;

A tale ultimo riguardo, la Corte territoriale sostiene che anche la normativa statale - in particolare il riferimento e' fatto al Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 19 (e del Decreto Legislativo n. 165 del 2001) - sarebbe destinata a "cedere" rispetto a quella regionale, in quanto riguardante solo l'Amministrazione statale e non le Regioni e comunque perche' "configurerebbe una deroga alla normativa regionale", come tale inapplicabile nella specie, visto che essa nulla precisa in merito alla questione di cui si controverte nel presente giudizio, a fronte della legislazione regionale che invece specifica in modo chiaro che la disciplina della materia in oggetto viene riservata alla normativa regionale.

E', pertanto, evidente che la Corte territoriale, con le suddette statuizioni, mostra di non aver presente che i rapporti come quello di cui si tratta, fin dalla introduzione della privatizzazione del pubblico impiego, sono retti, nel loro svolgimento, dalle norme privatistiche (unitamente con quelle della contrattazione collettiva, ai sensi del Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 2 di cui si e' detto), le quali sia prima che dopo la riforma costituzionale del 2001 sono sempre state di competenza esclusiva statale.

Sicche' - a prescindere dal fatto in tale situazione e' assolutamente estranea ai principi che regolano la gerarchia tra fonti immaginare una legge statale che "deroga" ad una legge regionale, perche', una volta stabilito che lo Stato ha legiferato nell'ambito della propria competenza esclusiva, la legge regionale non puo' che essere subordinata alla legge statale - dalle predette considerazioni deriva che la attuale fattispecie, di recesso unilaterale dal rapporto da parte dell'Amministrazione prima della scadenza contrattualmente concordata per asserita conclusione del contratto in violazione di norma imperativa - deve essere valutata facendo applicazione sia dei principi dettati dalla normativa di settore, a partire dal Decreto Legislativo n. 29 del 1993, sia delle norme del codice civile in materia di recesso e di cause di nullita' del contratto.

Si deve, pertanto, fare riferimento all'articolo 1418 cod. civ., nella parte in cui prevede che "il contratto e' nullo quando e' contrario a norme imperative".

Ora, va al riguardo precisato che pur non essendovi dubbi sulla configurabilita' di "norme regionali imperative", ai fini dell'applicazione della suddetta norma (vedi: Cass. 13 settembre 2000, n. 12067; Cass. 20 giugno 1990, n. 6211), e' altrettanto sicuro che simile configurabilita' presuppone che si tratti di norme emanate nelle materie e nei limiti di competenza propri delle Regioni.

Nella specie, invece, la presunta norma regionale inderogabile - "creata" in sede interpretativa dalla Corte territoriale e prevedente un divieto assoluto di prolungamento degli incarichi oltre il limite di eta' di settanta anni, applicabile anche nelle ipotesi in cui il relativo conferimento sia avvenuto senza alcuna specifica pattuizione al riguardo - non solo e' priva adeguati riscontri, letterali e logico-sistematici, nei testi legislativi esaminati - da valutare con riguardo alla normativa statale vigente all'epoca dei fatti e in base ai generali canoni di correttezza e buona fede - ma risulta, cosi' intesa, incidere su di una materia (il diritto privato) che e' sempre stata di competenza esclusiva statale, in base all'articolo 117 Cost..

Ne deriva che ad essa non puo' essere attribuito il ruolo di "norma imperativa" ai fini dell'applicazione dell'articolo 1418 cod. civ., senza che possa avere alcun rilievo in contrario la - ugualmente "creativa" - posizione sovraordinata, rispetto alla normativa statale (considerata "derogatoria"), ad essa attribuita dalla Corte catanzarese.

3.4- Pertanto, nella specie, il superamento del limite di eta' - peraltro gia' sussistente al momento della conclusione del contratto e considerato nella relativa stipulazione - non puo' costituire un legittimo motivo di recesso della Regione e puo' comportare la nullita' del contratto in oggetto ex articolo 1418 cod. civ., per contrarieta' a norma imperativa, in quanto manca il presupposto della "norma imperativa" sicche' il suddetto elemento non e' configurabile come un vizio originario del contratto stesso, idoneo in mancanza di specifica previsione contrattuale in tal senso, a legittimare il recesso unilaterale dell'Amministrazione regionale.

Infatti, il contratto di diritto privato in questione costitutivo del rapporto di lavoro autonomo, previsto dalla legge per il conferimento delle funzioni di Dirigente generale del Dipartimento Organizzazione e Personale e' assoggettato, nella fase dell'esecuzione, unicamente alle norme del codice civile. Inoltre, e' altresi' di tutta evidenza che essendo le norme sulla durata minima del contratto di natura "speciale", le medesime prevalgono su qualsivoglia normativa generale che consente l'interruzione del rapporto prima del decorso di periodo a meno della ricorrenza di determinate ipotesi espressamente previste, legate al comportamento del prestatore d'opera e che nella specie non si verificano.

Di qui l'accoglimento del primo motivo.

4. Il secondo motivo deve, invece, essere dichiarato inammissibile, in quanto le argomentazioni in esso sviluppate risultano generiche e prive di specifico riscontro nella motivazione della sentenza impugnata.

Esse, inoltre, fanno riferimento ad istituti del diritto pubblico non pertinenti nella presente fattispecie, la quale, per quel che si e' detto, risulta regolata dal diritto privato, il che comunque comporta il rispetto da parte della Amministrazione regionale dei principi di cui agli articoli 97 e 98 Cost., a prescindere dallo specifico riferimento alla Legge n. 241 del 1990, articolo 2-nonies introdotto nel corpo di questa legge dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15, articolo 14in vigore dall'8 marzo 2005.

6 - Conclusioni:

5.- In sintesi, il primo motivo di ricorso deve essere accolto e il secondo va dichiarato inammissibile.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Bari, che si atterra', nell'ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente:

"l'articolo 1418 cod. civ., nella parte in cui prevede che "il contratto e' nullo quando e' contrario a norme imperative" e' applicabile anche alle norme regionali, purche' emanate nel rispetto del riparto delle competenze legislative Stato-Regioni delineato dall'articolo 117 Cost. Pertanto, nell'ipotesi di conferimento da parte di una Regione di un incarico dirigenziale di durata quinquennale ad soggetto esterno alla propria Amministrazione, sulla base di un contratto a tempo determinato prevedente espressamente che l'incaricato aveva al momento della stipula un'eta' superiore agli anni settanta (con esplicito richiamo alla allora vigente normativa statale che in tali casi non fissava alcun limite di eta'), la suddetta disposizione codicistica non puo' essere interpretata nel senso di legittimare il recesso unilaterale della Regione dal rapporto di lavoro cosi' instaurato, per asserita conclusione del contratto in violazione di norma imperativa, assegnando tale rango ad una normativa regionale (oltretutto riguardante una diversa ipotesi) alla quale si attribuisca il significato di influire sul regime di un rapporto che, invece, e' disciplinato dalle disposizioni codicistiche e dalle leggi sul lavoro subordinato nel settore privato (del Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 2, commi 2 e 3), disposizioni che come tali sono di esclusiva competenza statale".

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Bari.

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