L'obbligo di affissione del codice disciplinare non deve ritenersi violato ove il comportamento vietato e la sanzione applicabile siano previsti da disposizioni contenute in fonte normativa avente forza di legge

"Nel rapporto di lavoro degli insegnamti della scuola pubblica, ai fini dell'osservanza dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori - che prescrive l'affissione delle norme disciplinari vigenti all'interno dell'impresa per rendere conoscibili a tutti i lavoratori le fattispecie di illecito e le relative sanzioni, applicabile anche al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti per il combinato disposto degli artt. 55 e 59 del d.lgs. n. 29 del 1993 - deve ritenersi che, tanto per i comportamenti per i quali è prevista la sanzione espulsiva, quanto per quelli per i quali è prevista la sanzione conservativa, l'affissione non sia necessaria ove il comportamento vietato e la sanzione applicabile siano previsti da disposizioni contenute in fonte normativa avente forza di legge, come tale ufficialmente pubblicata e conosciuta dalla generalità". E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 56 dell'8 gennaio 2007.



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 12 aprile 2001 al Tribunale di Termoli, Sa.D'On., docente nel locale istituto tecnico commerciale G. Bo., esponeva di aver ricevuto dal preside in data 23 novembre 2000 la sanzione disciplinare del richiamo scritto per essersi rifiutato di presiedere un'assemblea dei genitori degli studenti per il rinnovo degli organi collegiali elettivi. Lamentando la mancata affissione del codice disciplinare ai sensi dell'art. 7 l. 20 maggio 1970 n. 300, il D'On. chiedeva la dichiarazione di nullità del provvedimento disciplinare.

Costituitosi l'istituto convenuto, il Tribunale accoglieva la domanda con decisione del 19 marzo 2002, riformata però con sentenza del 7 gennaio 2004 dalla Corte d'appello di Campobasso, la quale riteneva la legittimità della sanzione, inflitta non già ai sensi di un contratto collettivo di lavoro, vale a dire nel regime del pubblico impiego privatizzato e di applicabilità dell'art. 7 cit., bensì ai sensi del t. u. sulla scuola approvato con d.lgs. 16 aprile 1994 n. 297 ove non era prevista l'affissione del codice disciplinare. Contro questa sentenza ricorre per cassazione il D'On. mentre l'Istituto tecnico commerciale G.Bo. resiste con controricorso. Memoria del ricorrente.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 59 D.Lgs. n. 93 del 1993 e 71. n. 300 del 1970, i quali impongono l'affissione del codice disciplinare anche nel rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti.

Col secondo motivo egli deduce la violazione del D.Lgs. ult. cit, del c.c.n.l. per la scuola 4 agosto 1995, del D.Lgs. n. 297 del 1994 e vizi di motivazione, stante che il detto contratto collettivo stabilisce l'applicabilità del D.Lgs. n. 297 del 1994 "fino al riordinamento degli organi collegiali della scuola" ma solo per la definizione delle astratte fattispecie di illecito disciplinare e delle sanzioni, e non esclude l'obbligo di affissione del codice disciplinare.
I due motivi, da esaminare insieme perché connessi, non sono fondati.

L'art. 7, primo comma, 1. n. 300 del 1970 prescrive l'affissione in luogo visibile a tutti delle norme disciplinari vigenti all'interno dell'impresa e ha per scopo di rendere conoscibili a tutti i lavoratori non soltanto le singole fattispecie di illecito ma anche le relative sanzioni, in modo che ciascun lavoratore conosca non solo i comportamenti a cui è astretto ma anche le conseguenze delle violazioni, necessariamente proporzionate alla gravità di esse. Ciò comporta che le violazioni integranti un reato o la violazione delle regole elementari della vita civile o una inesecuzione della prestazione lavorativa di non lieve rilevanza comportano, quale giustificato motivo o giusta causa di licenziamento, la sanzione del licenziamento ai sensi della legge (artt. 1 l. 15 luglio 1966 n. 604 e 2119 cod. civ.), onde non è necessaria la previsione nel codice disciplinare e la relativa affissione (Cass. 4 novembre 1988 n. 4974).

La previsione nella disposizione di legge, pubblicata nella Gazzetta ufficiale, è sufficiente alla conoscenza da parte della generalità e rende inutile la suddetta affissione.

Quanto al pubblico impiego, l'art. 55 comma 2, D.Lgs. n. 29 del 1993, vigente all'epoca dei fatti di causa, stabilisce l'applicabilità della l. 20 maggio 1970 n. 300 a prescindere dal numero dei dipendenti, mentre il successivo art. 59, comma 2, prevede specificamente l'applicazione dell'art. 7 della stessa legge.

Per quanto riguarda il settore della scuola, tuttavia, il capo IV, sezione V, del D.Lgs. 16 aprile 1994 n. 297 enumera le sanzioni disciplinari, distingue sia pure attraverso clausole generali le diverse fattispecie di illecito e disciplina il relativo procedimento. In particolare l'avvertimento scritto, consistente nel richiamo all'osservanza dei propri doveri, è previsto nell'art. 492, comma 3, e viene inflitto dal direttore didattico o dal preside ai sensi del successivo art. 502. L'art. 504 prevede i ricorsi gerarchici, a tutela dell'incolpato.

La conoscibilità delle comminatorie e delle relative conseguenze è dunque garantita dal fatto che esse sono contenute in norme aventi forza di legge, ufficialmente pubblicate.

Di quelle norme la Corte d'appello ha fatto applicazione nel presente processo, esattamente negando l'obbligo di affissione, mentre il ricorrente non invoca ora alcuna disposizione di contratto collettivo, capace di derogarvi. Al contrario, egli riporta nel ricorso (pag. 16) un art. 56 c.c.n.l. del 5 agosto 1995, che rinvia espressamente nella materia al D.Lgs. ult. cit.

Col terzo motivo lo stesso ricorrente deduce la violazione del c.c.n.l. ult. cit., del c.c.n.l. 26 maggio 1999, parlando di contraddittorietà dell'incolpazione mossagli e di irregolarità del procedimento di organizzazione dell'assemblea dei genitori degli studenti e in particolare della designazione del docente destinato a presiederla.

Ma la censura non ha fondamento poiché, come s'è detto qui in narrativa, il capo d'incolpazione venne chiaramente e coerentemente formulato dalla pubblica amministrazione con riferimento al rifiuto sostanzialmente immotivato (non è certamente sufficiente la dicitura "fuori sede") opposto dal docente alla disposizione del preside, mentre non è ammissibile in sede di legittimità la prospettazione di circostanze di fatto non considerate nella sentenza impugnata, senza che il ricorrente indichi con precisione l'atto del processo di merito co n cui egli le prospettò.

Rigettato il ricorso, è da notare che nel controricorso la difesa dell'amministrazione scolastica si diffonde nell'esposizione dei fatti del processo ma non svolge alcuna argomentazione in diritto contro i motivi d'impugnazione, così non contribuendo alla dialettica processuale sulla questione sottoposta a questa Corte. Tutto ciò, pur lecito nell'attività difensiva, induce tuttavia a non addossare al soccombente le spese della stessa attività ossia a compensare le spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese

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