L'onere di provare l'esistenza del requisito occupazionale che impedisce l'applicazione della disciplina generale della Legge n. 300 del 1970, articolo 18, grava sul datore di lavoro

L'onere di provare l'esistenza del requisito occupazionale che impedisce l'applicazione della disciplina generale della Legge n. 300 del 1970, articolo 18, grava sul datore di lavoro. (Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 16 marzo 2009, n. 6344)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATTONE Sergio - Presidente

Dott. LAMORGESE Antonio - Consigliere

Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere

Dott. CURZIO Pietro - Consigliere

Dott. MELIADO' Giuseppe - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8197/2007 proposto da:

SI. FE. , elettivamente domicilio in ROMA, VIA GERMANICO 96, presso lo studio dell'avvocato le foche ERMANNO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato BELLOMO MASSIMO giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

CR. AM. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell'avvocato SPINOSO ANTONINO, rappresentata e difesa dall'avvocato SALMERI FERDINANDO giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 3442/2006 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 07/09/2006 R.G.N. 9892/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2009 dal Consigliere Dott. MELIADO' GIUSEPPE;

udito l'Avvocato LE FOCHE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 14.4/7.9.2006 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Latina del 23.6.2003 che, a seguito di ricorso proposto da Gi.Fe. , dichiarava illegittimo il licenziamento intimatogli dalla Cr. Am. srl, alle cui dipendenze aveva prestato attivita' lavorativa, con condanna alla

riassunzione dello stesso in servizio ovvero al risarcimento del danno, liquidato in misura pari a quattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto.

Osservava in sintesi la corte di merito, con particolare riferimento all'invocata tutela reintegratoria Legge n. 300 del 1970, ex articolo 18, che la dimensione occupazionale dell'azienda era elemento che doveva essere rappresentato contestualmente alla domanda svolta e che la mancanza di una precisa presa di posizione sul punto determinava un giudizio di carenza processuale con effetti sulla tutela richiesta.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Gi. Fe. con due motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso la societa' intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al requisito dimensionale del datore di lavoro, osservando come il ricorso introduttivo contenesse precise indicazioni circa la richiesta applicazione della tutela reintegratoria, sicche' nessuna carente presa di posizione sul punto era riscontrabile.

Con il secondo motivo il ricorrente si duole che la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, ribadito dalla giurisprudenza, che, in caso di licenziamento illegittimo, l'onere di provare l'inesistenza del requisito dimensionale grava sul datore di lavoro e non sul prestatore di lavoro.

Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e' meritevole di accoglimento.

Sebbene, infatti, si affermi, nella decisione impugnata, che manchi nel ricorso introduttivo del giudizio una precisa presa di posizione in ordine al requisito dimensionale dell'azienda, con conseguenti effetti sulla tipologia della tutela invocata, e' da notare come la domanda, nel far espresso riferimento all'applicabilita' dell'articolo 18 dello Statuto e alla reintegrazione nel posto di lavoro, rendeva da un lato chiara la natura della tutela invocata (a carattere reale, e non meramente obbligatorio), dall'altro esauriva gli incombenti probatori che mettevano capo a chi tale tutela richiedeva.

Dovendosi rammentare come, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte (v. SU n. 141/2006), i fatti costitutivi dell'azione di impugnazione del licenziamento sono da individuare nell'esistenza del rapporto di lavoro e di un atto dismissivo dello stesso che si assume illegittimo, laddove, invece, compete al datore di lavoro provare l'esistenza di una valida causa di recesso e di un ambito dimensionale dell'impresa preclusivo della specifica tutela invocata, in relazione al sistema delle sanzioni contro il recesso illegittimo.

Sulla base di un criterio di distribuzione dell'onere della prova, che appare coerente con l'esigenza che, nella ricostruzione della fattispecie sostanziale e nella conseguente selezione degli oneri probatori, si valorizzi, in assenza di contrarie indicazioni normative, il criterio della maggiore vicinanza e disponibilita' della prova, funzionale ad assicurare una dimensione di tutela effettiva dei diritti.

Deve, pertanto, ribadirsi il principio che l'onere di provare l'esistenza del requisito occupazionale che impedisce l'applicazione della disciplina generale della Legge n. 300 del 1970, articolo 18, grava sul datore di lavoro.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata e la causa rimessa per un nuovo esame, da compiersi alla luce del principio di diritto indicato, alla stessa corte di merito in diversa composizione, la quale provvedera' anche in ordine alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita'.

P.Q.M.

La Corte:

Accoglie il ricorso, cassa e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

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