La clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro è nulla senza l'indicazione della ragione giustificativa

con il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, il legislatore ha superato "le forme di assunzioni a termine contrattualizzate" (scilicet: nella sede collettiva) ed e' tornato a chiedere (articolo 1) alle parti del contratto individuale la specificazione in forma scritta delle ragioni giustificatrici del contratto a termine. Questa ricostruzione diacronica del sistema legislativo non significa che nel periodo compreso tra la legge del 1987 ed il decreto legislativo del 2001 le parti che concludevano il contratto individuale di lavoro potessero apporre un termine senza indicarne la ragione giustificativa. Significa, ben diversamente, che esse non erano piu' libere di individuarla nell'ambito di un'elencazione legislativa ma potevano limitarsi ad applicare la previsione del contratto collettivo, soltanto richiamandola. L'espresso richiamo era pero' necessario onde permettere in ogni caso il controllo giudiziario sull'operato delle parti, mentre il loro silenzio in proposito avrebbe permesso il mero arbitrio delle medesime, ed in particolare del datore di lavoro che del termine si giovava sul piano economico. Ne' questo effetto negativo avrebbe potuto evitarsi permettendo allo stesso datore di lavoro di fornire un'eventuale e successiva giustificazione del termine, in sede giudiziaria, cio' che avrebbe reso eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti del lavoratore, in contrasto con l'articolo 24 Cost..

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Sentenza 18 ottobre 2013, n. 23702



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente

Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere

Dott. BERRINO Umberto - rel. Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25570/2010 proposto da:

(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1410/2009 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/11/2009 r.g.n. 875/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/06/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 13 luglio 2006 al Tribunale di Grosseto (OMISSIS) chiedeva dichiararsi la nullita' della clausola appositiva del termine, contenuta in una pluralita' di contratti di lavoro subordinato conclusi con la s.p.a. (OMISSIS) dal 1 giugno 2000 al 1 giugno 2004, talvolta attraverso un'agenzia di lavoro cosiddetto interinale.

Di conseguenza il (OMISSIS) chiedeva condannarsi la convenuta a reintegrarlo nel posto di lavoro, invocando la Legge 18 aprile 1962, n. 230, e l'articolo 1344 c.c..

Costituitasi la convenuta, il Tribunale accoglieva la domanda con decisione del 20 marzo 2007, confermata con sentenza del 3 novembre 2009 dalla Corte d'appello di Firenze, la quale osservava trattarsi nella fattispecie non gia' di azienda comunale, disciplinata da norme pubblicistiche in materia di contratto di lavoro subordinato sottoposto a termine, bensi' di societa' per azioni a capitale pubblico locale (Legge 15 maggio 1997, n. 127, articolo 17, comma 58) ossia di un soggetto operante in regime di diritto privato. Ne' tale regime poteva considerarsi inapplicabile per il fatto che l'articolo 48 c.c.n.l. di settore escludeva il licenziamento del personale per giustificato motivo oggettivo: che le oggettive esigenze dell'azienda non bastassero a giustificare i licenziamenti non impediva alla societa' di assumere lavoratori a tempo determinato ma sempre nell'osservanza della normativa privatistica.

La nullita' della clausola appositiva del termine derivava dalla mancata indicazione di uno qualsiasi dei motivi giustificativi rimessi dalla Legge 28 febbraio 1987, n. 56, alla contrattazione collettiva o all'articolo 9 c.c.n.l. cit.. Ne conseguiva l'instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato fin dall'inizio dell'efficacia del primo contratto. Contro questa sentenza la s.p.a. (OMISSIS) ricorre per cassazione. Resiste con controricorso il (OMISSIS).

La ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 12 preleggi, Legge n. 230 del 1962, articoli 1 e 11; Legge n. 56 del 1987, articolo 23, Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368, articoli 1 e 12; Decreto Legge 10 novembre 1978, n. 702, articolo 5, commi 5 e 17, conv. in Legge 8 gennaio 1979, n. 3; Legge 8 giugno 1990, n. 142, articoli 22 e 23; Legge 15 maggio 1997, n. 127, articolo 17, comma 58; Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articoli 112 e 113, nonche' vizi di motivazione.

Essa nota di aver assunto la forma di societa' per azioni dopo essere stata Azienda farmaceutica comunale Legge n. 127 del 1997, ex articolo 17, comma 51, e di gestire percio' un servizio pubblico. Le fonti di regolamentazione dei rapporti di lavoro non sarebbero percio' mutate ed in particolare il Decreto Legge n. 702 del 1978, articolo 5, commi 5 e 17, cit. sottrarrebbe le assunzioni temporanee alla disciplina privatistica delle Legge n. 230 del 1962, e Legge n. 56 del 1987, e cosi' alla conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. Cio' per esigenze di proporzione del numero dei lavoratori alle necessita' di gestione, considerando il divieto, posto dall'articolo 9 c.c.n.l., di licenziare per giustificato motivo oggettivo. Il motivo non e' fondato.

Assunto della ricorrente e' che la societa' per azioni a capitale pubblico e' sottratta alle norme di diritto privato concernenti i contratti di lavoro a tempo determinato e, quindi, alla conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, nel caso di nullita' della clausola appositiva del termine.

Ma tale assunto e' contrario ai principi dell'ordinamento dell'Unione Europea ne' trova conferma nella legislazione nazionale.

Dalla direttiva Europea 28 giugno 1999 n. 70 e dall'allegato accordo del 18 marzo 1999, soprattutto dal preambolo, risulta che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma generale di rapporto di lavoro anche se in talune circostanze, ossia eccezionalmente, quelli a termine possono meglio corrispondere ai bisogni dei datori o dei prestatori di lavoro.

Fra le eccezioni l'ordinamento interno inserisce legittimamente i rapporti con enti pubblici oppure i rapporti privatistici, nella ricorrenza di specifici motivi che debbono essere previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva.

Che il rapporto qui in esame possa rientrare fra quelli retti da norme di diritto pubblico non e' dato di riscontrare.

Esso intercorre tra due soggetti privati.

Il Decreto Legge n. 702 del 1978, articolo 5, commi 15 e 17, conv. in Legge n. 3 del 1979, permette l'assunzione di personale straordinario per periodi non superiori a novanta giorni ma si riferisce soltanto ad enti pubblici locali e fra essi alle aziende.

La Legge n. 142 del 1990, articolo 23, parla altresi' di aziende pubbliche, e non e' riferibile a soggetti di diritto privato, quali le societa' di capitali, sia pure a partecipazione pubblica, come quelle che sono subentrate, in tutti i diritti od obblighi, alle aziende degli enti locali di cui alla Legge n. 127 del 1997, articolo 1, comma 51.

L'organizzazione di un servizio pubblico secondo un modello privatistico non solleva l'ente organizzatore dai vincoli di finanza pubblica ma non lo sottrae neppure, salva espressa eccezione, alla normativa civilistica propria del modello, come avviene appunto per le societa' per azioni. Fatte salve le espresse cautele di legge, vincoli di finanza pubblica e garanzie giuslavoristiche non sono in contraddizione.

Per quanto concerne i rapporti di lavoro, e' certo che l'impegno di capitale pubblico sottomette le assunzioni ai principi costituzionali di imparzialita' e di economicita', quali specificazioni del principio di buon andamento, di cui agli articoli 3 e 97 Cost., e dei quali e' espressione nel pubblico impiego il Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 35.

Le assunzioni al lavoro non sono rimesse al mero arbitrio degli amministratori. Ma tutto cio' non comporta necessariamente la separazione delle garanzie legislative contro l'assoggettamento illimitato dei prestatori di lavoro a situazioni precarie, contrarie alla tutela della liberta' e dignita' di cui all'articolo 36, primo comma, Cost. e contrastate dalla sopra richiamata normativa Europea.

La detta distinzione, in materia di enti strumentali al perseguimento di finalita' pubblicistiche, fra aziende pubbliche e societa' e' presente nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. 24 giugno 2009 n. 14847, 26 maggio 2004 n. 10155), mentre la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente (Cass. 22 gennaio 2004 n. 1107, 2 maggio 2003 n. 6699, 16 settembre 2002 n. 13528) si riferisce alle aziende oltreche' ad enti locali territoriali, e non anche alle societa' per azioni. Anche la Corte costituzionale nega ultimamente che lo scopo perseguito dalle societa' commerciali affidatane di servizi pubblici, scopo capace di configurare questi soggetti, sul piano economico-funzionale, come "longae manus" o varianti organizzative degli enti pubblici, possa portare ad una identificazione dei regimi di assunzione e di trattamento dei lavoratori dipendenti (Corte cost. 23 luglio 2013 n. 227).

Non e' vero infine che, come sostiene la ricorrente, le societa' a partecipazione pubblica non potrebbero "dimensionare gli organici in funzione del personale effettivamente necessario per la gestione". La finalita' e' perseguibile eventualmente attraverso la conclusione di contratti a tempo determinato, ma nel rispetto delle garanzie normative poste per le altre societa'.

Col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione dell'articolo 11 preleggi, Legge n. 230 del 1962, articolo 1, Legge n. 56 del 1987, articolo 23, Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, e vizi di motivazione, negando che, prima dell'entrata in vigore del Decreto Legislativo cit., l'indicazione delle ragioni dell'assunzione a termine nel contratto individuale di lavoro fosse un requisito di validita'.

Il motivo non e' fondato.

Con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588 le Sezioni unite di questa Corte hanno illustrato l'evoluzione legislativa in materia di contratto di lavoro a termine, il quale costituisce sempre eccezione rispetto alla regola costituita dal contratto a tempo indeterminato. Le Sezioni unite hanno cosi' chiarito che, mentre con Legge n. 230 del 1962, il legislatore introdusse il sistema della "lista chiusa" dei motivi che permettevano la stipulazione dei contratti temporanei, con la Legge n. 56 del 1987, egli ha rinunciato alla previsione di fattispecie tassative ed ha per contro affidato alla contrattazione collettiva, nazionale oppure locale, la possibilita' di autorizzare il contratto a termine "per causali di carattere oggettivo ed anche - alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale - per ragioni di tipo meramente soggettivo, consentendo (in funzione di promozione dell'occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l'assunzione di speciali categorie di lavoratori".

Le Sezioni unite hanno aggiunto che con il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, il legislatore ha superato "le forme di assunzioni a termine contrattualizzate" (scilicet: nella sede collettiva) ed e' tornato a chiedere (articolo 1) alle parti del contratto individuale la specificazione in forma scritta delle ragioni giustificatrici del contratto a termine. Questa ricostruzione diacronica del sistema legislativo non significa che nel periodo compreso tra la legge del 1987 ed il decreto legislativo del 2001 le parti che concludevano il contratto individuale di lavoro potessero apporre un termine senza indicarne la ragione giustificativa. Significa, ben diversamente, che esse non erano piu' libere di individuarla nell'ambito di un'elencazione legislativa ma potevano limitarsi ad applicare la previsione del contratto collettivo, soltanto richiamandola. L'espresso richiamo era pero' necessario onde permettere in ogni caso il controllo giudiziario sull'operato delle parti, mentre il loro silenzio in proposito avrebbe permesso il mero arbitrio delle medesime, ed in particolare del datore di lavoro che del termine si giovava sul piano economico. Ne' questo effetto negativo avrebbe potuto evitarsi permettendo allo stesso datore di lavoro di fornire un'eventuale e successiva giustificazione del termine, in sede giudiziaria, cio' che avrebbe reso eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti del lavoratore, in contrasto con l'articolo 24 Cost..

In dottrina si e' voluta ravvisare un'ipotesi di contratto a tempo determinato "acausale" soltanto nella previsione della Legge 28 giugno 2012, n. 92, articolo 1, comma 8, che, introducendo il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1 bis, ha permesso in un caso eccezionale la non indicazione della ragione giustificativa del termine. Ma quell'ipotesi eccezionale dev'essere comunque verificabile.

Nel caso di specie la Corte territoriale osserva che l'articolo 9 c.c.n.l. individuava una serie di casi in cui era ammessa l'apposizione del termine al rapporto di lavoro e, tra essi, l'intensificazione dell'attivita' lavorativa in determinati periodi dell'anno, a cui non era possibile sopperire con il normale organico.

Essa aggiunge, con riferimento al caso di specie, che nei contratti individuali del 2000 e del 2001 non era contenuto alcun riferimento a questa previsione, d'onde la nullita' della clausola in questione.

Col terzo motivo la ricorrente prospetta la violazione degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c., articoli 1362 cpv., 1344 e 2697 c.c., Legge n. 230 del 1962, articoli 1 e 12, Legge n. 56 del 1987, articolo 23, Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articoli 1 e 12, Legge n. 196 del 1997, articoli 1 e 11, Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articoli 20, 28 e 86, e vizi di motivazione, svolgendo osservazioni circa la validita' e l'efficacia dei contratti di lavoro successivi al primo, del 1 giugno 2000.

Negata la validita' della clausola appositiva del termine, contenuta in questo contratto, ed affermata la durata indeterminata del rapporto, il motivo rimane assorbito.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di euro 3500,00 per compensi professionali e di euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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