La cura degli strumenti e dei mezzi di lavoro affidati dal datore di lavoro al dipendente rappresenta modalità con cui il debitore deve eseguire la prestazione

La cura degli strumenti e dei mezzi di lavoro affidati dal datore di lavoro al dipendente per lo svolgimento della propria attività lavorativa, consistente nell’evitare di cagionare danni agli stessi, non rappresenta un’obbligazione aggiuntiva, ma solo la modalità con cui il debitore deve eseguire la prestazione.
Pertanto, in caso di danni, per il dipendente si delinea una responsabilità contrattuale in quanto egli è sempre obbligato a rispondere dei danni procurati all’azienda se non riesce a dimostrare di aver usato la diligenza richiesta dalla legge e se non prova che non è colpevole. (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza N. 13530 del 26 maggio 2008)



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Presidente De Luca – Relatore Cuoco - Pm Matera –Ricorrente Arteca - Controricorrente
Albiangomme di Capizzi Giuseppe & C. snc
Svolgimento del processo
Con citazione del 30 gennaio 2003 la ALBIANGOMME S.n.c. chiese che il Tribunale di Trento
condannasse il suo ex dipendente Pietro Arteca al risarcimento dei danni che aveva causato
ad un veicolo della Società guidato nell'espletamento delle sue mansioni.
Il giudice del Lavoro respinse la domanda. La domanda fu poi accolta dalla Corte d'Appello di
Trento.
Afferma il giudicante che l'incidente era avvenuto nel corso del rapporto di lavoro; e, poiché
la violazione dell'art. 2103 cod. civ. non era stata eccepita, la legittimità od illegittimità
dell'assegnazione della mansione di consegna della merce era irrilevante.
Il dipendente, essendo in possesso dell'abilitazione alla guida dell’autoveicolo affidatogli per
il lavoro (fatto che escludeva la necessità di preventivo addestramento), avendo altre volte
effettuato la consegna della merce, avendo accettato di eseguire il compito affidatogli. ed
avendo avuto in consegna il mezzo, era responsabile del danno arrecato.
Poiché era onere dell'Arteca provare che l'evento si era verificato senza sua colpa o per caso
fortuito o per forza maggiore (prova che egli non aveva dato), la natura contrattuale od
extracontrattuale della responsabilità datorile era irrilevante.
Per la cassazione di questa sentenza Pietro Arteca propone ricorso, articolato in 5 motivi; la
ALBIANGOMME S.n.c. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
l. Con il primo motivo, denunciando per l'art. 360 nn. 3 e 5 cod. pro. civ. violazione e falsa
applicazione degli artt. 1175 e 1375 nonché 2087 cod. civ. e dell'art. 116 cod. proc. civ.
nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente sostiene che:
1.a. il datore ha l'obbligo di porre il lavoratore in condizione di adempiere, ed in sicurezza.
alla mansione assegnatagli;
1.b. nel caso in esame, non era stato considerato che egli non era addetto alla consegna
della merce, e non aveva esperienza né aveva avuto addestramento nella guida del grosso
automezzo poi affidatogli, e che egli aveva guidato su una strada particolarmente
difficoltosa.
2. Con il secondo moti,vo. denunciando per l'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. violazione e
falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nonché omessa insufficiente e contraddittoria
motivazione. il ricorrente sostiene che la materia in controversia è delineata non solo con il
ricorso introduttivo. bensì con le deduzioni del resistente. Ed egli aveva dedotto di essere
stato addetto al controllo del flusso e della giacenza delle merci: non alla relativa consegna.
Nella controversia assumeva pertanto rilievo anche la violazione dell'art. 2103 cod. civ., che
egli aveva dedotto; deduzione che il giudicante aveva erroneamente negato.
3. Con il terzo motivo. denunciando per l'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. violazione e falsa
applicazione dell'art. 2104 cod. civ. e degli artt. 112 e 115 e 116 cod. proc. civ. nonché
omessa insufficiente e contraddittoria motivazione. il ricorrente sostiene che:
3.a. "il lavoratore risponde del danneggiamento della cosa affidatagli dal datore (per
l'espletamento delle mansioni) a titolo di responsabilità contrattuale, e, in applicazione del
principio dell’onere della prova, compete al datore di lavoro di provare che l'evento dannoso
che ha pregiudicato la cosa consegnata sia da riconnettere ad una condotta colposa del
lavoratore per violazione degli obblighi di diligenza e sia in rapporto di derivazione causale
da tale condotta";
3.b. il giudicante "ha affermato la mancanza della prova dell’assenza di responsabilità in
capo all'Arteca addirittura invertendo l’onere della prova; ha ritenuto provata la sua colpa e
non provato il caso fortuito o la forza maggiore; il tutto non tenendo conto del principio
dell’onere della prova";
3.c. adempiendo all’incarico affidatogli, aveva solo osservato un obbligo fondamentale della
subordinazione (l'obbedienza), al cui adempimento egli non poteva sottrarsi.
4. Con il quarto motivo, denunciando per l"art. 360 n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa
applicazione dell’art. 2043 cod. civ., il ricorrente sostiene che, poiché la responsabilità del
lavoratore nella determinazione del danno arrecato a cose affidategli dal datore ha natura
contrattuale, l'affermazione della sentenza con cui si ritiene applicabile l'art. 2043 cod. civ. è
erronea.
5. Con il quinto motivo, denunciando per l'art. 360 n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa
applicazione dell’art. 90 cod. proc. civ., il ricorrente sostiene che, poiché la domanda della
Società per il risarcimento del danno da fermo tecnico era stata respinta, il giudicante
avrebbe dovuto disporre la compensazione delle spese del giudizio.
6. I motivi del ricorso, che essendo interconnessi devono essere esaminati congiuntamente,
sono infondati.
7. Premesso che, nell’ipotesi di danno arrecato dal lavoratore subordinato al bene affidatogli
dal datore per lo svolgimento della prestazione, la responsabilità del lavoratore ha natura
contrattuale (e plurimis, Cass. 21 febbraio 1997 n. 6645; Cass. 23 agosto 2006 n. 18375),
assume rilievo preliminare l'esame della censura relativa alla ripartizione dell’onere
probatorio. Ed in ordine a questo onere è da osservare quanto segue.
7.a. Nella materia del rapporto di lavoro subordinato si afferma generalmente che è onere
del datore provare la colpa del lavoratore e la relativa connessione causale con il danno
(Cass. 23 agosto 2006 n. 18375 e giurisprudenza ivi citata; Cass. 8 gennaio 2000 n. 138;
Cass. 11 dicembre 1999 n. 13891; Cass. 21 febbraio 1997 n. 6645; Cass. 11 dicembre 1991
n. 11107; 4 dicembre 1990 n. 11652; Cass. 12 febbraio 1979 n. 979).
7.b. Sul più generale piano dell’art. 1218 cod. civ. (in rapporti contrattuali estranei alla
materia del lavoro subordinato), altra giurisprudenza tuttavia afferma (pacificamente) che è
onere del debitore fornire la prova dell’assenza di colpa (Cass. 18 maggio 2007 n. 11583;
Cass. 31 luglio 2006 n. 17306; Cass. 24 maggio 2006 n. 12362; Cass. 19 aprile 2006 n.
9085; Cass. 11 novembre 2005 n. 22894; Cass. 21 giugno 2004 n. 11488; Cass. 8
novembre 2002 n. 15712; Cass. 28 novembre 1998 n. 12093; Cass. 12 ottobre 1994 n.
1500; Cass. 5 aprile 1984 n. 2221); ed in non recente decisione si afferma anche che la
colpa del debitore è fondata su una presunzione, che il debitore può negare con la prova
contraria (Cass. 9 luglio 1984 n. 4020).
7.c. Questo secondo indirizzo non è (integralmente) condivisibile. Il principio affermato sul
più generale piano dell'art. 1218 cod. civ. (come indicato sub "8.a:”) è da applicare anche
nello specifico spazio del rapporto di lavoro subordinato, e, in questo ambito, nella
particolare ipotesi di danno arrecato dal lavoratore al bene affidatogli dal datore per lo
svolgimento della prestazione.
8. Ed invero, nel rapporto di lavoro subordinato la diligenza espressamente prevista dall'art.
2104 cod. civ. (modalità che assume immanente ininterrotta presenza) è solo normativa
specificazione di quanto (art. 1176 cod. civ.) è richiesto in ogni altro rapporto obbligatorio
(ciò riconosce la stessa indicata giurisprudenza: e plurimis, Cass. 11 dicembre 1991 n.
11107). Ed il diverso regime probatorio in materia di lavoro subordinato non ha fondamento
normativo.
In ogni rapporto obbligatorio, anche nel rapporto di lavoro subordinato, la diligenza non
costituisce un'obbligazione a sé stante ed aggiuntiva nei confronti della prestazione: è solo
la modalità con cui l'obbligazione (la prestazione) deve essere svolta. È la dovuta generale
"cura" che (con gradazioni normativamente differenziate nei singoli rapporti) circonda e
sostiene ed accompagna la prestazione: è l'impegno che la nonna giuridica esige dal
debitore per il relativo svolgimento.
Quale modalità (normativamente richiesta). questa cura costituisce e delimita anche il
terreno normativo dell'adempimento: lo spazio entro il quale si esige la prestazione. I limiti
di questa cura sono anche i limiti entro i quali l'adempimento (della prestazione) è richiesto.
Oltre questi limiti, l'adempimento non è richiesto: pur nella materiale mancanza od
inesattezza della prestazione, l’inadempimento (in via generale; al limite sono ipotesi di più
rigorosa responsabilità: es., artt. 1785, 2051, 2052 cod. civ.) non sussiste.
9. Quando la prestazione lavorativa è da eseguire con un bene affidato dal datore, nella
prestazione è inscritto anche l'uso del bene; cura richiesta al lavoratore è utilizzare il bene
senza arrecare danni.
Il danno (causato dal lavoratore) è, di per sé, inadempimento. Il datore non ha tuttavia
l'onere di provare che il danno al bene affidato per la prestazione (es., autocarro) sia stato
causato dal lavoratore per mancanza di diligenza (inosservanza di leggi, regolamenti, norme
di prudenza): fatti che sono spesso estranei alla sfera della datorile conoscibilità (per la
"riferibilità" di questi fatti - e del conseguente onere probatorio - all'esclusiva "sfera d'azione
del debitore", Cass. 21 giugno 2004 n. 11488, precedentemente riportata sub “8.a.").
Nell'indicata ipotesi, provati, da parte del datore, il danno (in cui assume consistenza lo
stesso inadempimento, quale mancanza od inesattezza della prestazione) ed il rapporto di
causalità fra il danno e la materiale (anche omissiva) condotta del lavoratore, il lavoratore
ha l'onere di provare (per l'art. 2697 secondo comma cod. civ.) la negazione
dell'inadempimento. È l'onere di provare che, pur essendovi quale mancanza od inesattezza
della prestazione, egli ha avuto nello svolgimento della prestazione la necessaria cura
richiesta dalla norma: e pertanto il dedotto "inadempimento" si colloca in uno spazio esterno
ai normativi limiti dell'adempimento.
La valutazione di questa diligenza deve essere effettuata tenendo conto della natura e degli
aspetti della prestazione (art. 2104 cod. civ.): la posizione del dipendente con riferimento
alla sua qualifica professionale, alla natura delle incombenze specifiche affidategli ed ai
correlati obblighi (anche in questo ambito, si concorda con l’affermazione della
giurisprudenza precedentemente indicata sub "8.a.": e plurimis, Cass. 22 maggio 2000 n.
6664). Ciò è a dirsi anche in relazione alle condizioni di capacità e preparazione ed
esperienza del lavoratore alle mansioni affidate.
10. È pertanto da affermare quanto segue.
"Nella responsabilità contrattuale del lavoratore a causa di danni arrecati al bene affidatogli
per lo svolgimento della prestazione, è onere del datore provare il danno ed il rapporto di
causalità con la materiale (anche omissiva) condotta del lavoratore.
Ed e onere del lavoratore provare di aver adottato la diligenza normativamente richiesta. e,
più in generale, la propria assenza di colpa.
11. Nel caso in esame, è pacifico il danno. Ed il giudicante, ritenendo che "competeva
all'Arteca l'onere di dimostrare che il danno si è verificato senza sua colpa", ha applicato
l'indicato principio.
Il ricorrente sostiene tuttavia l'inesistenza della propria colpa, in quanto il datore, in
violazione dell'art. 2103 cod. civ., avrebbe modificato le sue mansioni, e gli avrebbe
assegnato, senza preventiva adeguata istruzione ed in violazione dell'art. 2087 cod. civ.,
una mansione (guida d'un grosso automezzo su strada pericolosa) in cui egli era inesperto.
12. La disposizione dell'art. 2103 cod. civ. è diretta a tutelare il lavoratore nella
conservazione delle mansioni (assegnate, od equivalenti o corrispondenti alla superiore
acquisita categoria): non a limitare od escludere la diligenza cui il lavoratore è obbligato
nello svolgimento delle sue mansioni.
Egualmente è a dirsi per la disposizione dell’art. 2087 cod. civ., in quanto diretta a tutelare
l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
La violazione di queste disposizione da parte del datore non esclude, di per sé, l'obbligo del
lavoratore di svolgere le sue mansioni con la diligenza normativamente richiesta (come
previsto dall'art. 2104 cod. civ.). Questo obbligo è limitato solo nella misura in cui la
diligenza necessaria alla prestazione richiesta si estenda in uno spazio esterno al terreno
della prestazione dovuta (come precedentemente delineato sub "8").
Per le precedenti osservazioni e sulla base dell'indicato principio (sub 10), è onere del
lavoratore provare di aver agito con la diligenza normativamente richiesta; e, in questo
ambito, di non avere capacità preparazione ed esperienza adeguate.
Nel caso in esame, l'affermazione della sentenza, per cui l'affidamento (per la consegna di
merci) della guida d'un autoveicolo a persona a tanto abilitata non esige specifico preventivo
addestramento, essendo coerente con principi logici e giuridici, è insindacabile.
E la censura (sub "11"), anche nella parte che assume l'esistenza di oggettive condizioni
idonee ad escludere la negligenza del lavoratore, oltre che (parzialmente) non
autosufficiente, è complessivamente inconferente.
13. Normativo limite del potere discrezionale del giudicante nella disciplina delle spese del
giudizio è solo la preclusione della condanna della parte totalmente vittoriosa (art. 91 cod.
proc. civ.; e plurimis, Cass. 3 marzo 1994 n. 2124).
14. Nel caso in esame, premessa la correzione della motivazione (in ordine alla ritenuta
irrilevanza, ai fini dell'onere probatorio, della natura contrattuale od extracontrattuale della
responsabilità; ed in ordine alla ritenuta irrilevanza della dedotta violazione dell'art. 2103
cod. civ.), il ricorso deve essere respinto.
15. Le divergenti decisioni in sede di merito giustificano la compensazione delle spese del
giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità.

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