La dichiarazione di invalidita' del licenziamento a norma della Legge n. 300 del 1970, articolo 18, non comporta automaticamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno

La dichiarazione di invalidita' del licenziamento a norma della Legge n. 300 del 1970, articolo 18, non comporta automaticamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura stabilita dal quarto comma, con esclusione di ogni rilevanza dei profili del dolo o della colpa nel comportamento del recedente, e cioe' per una forma di responsabilita' oggettiva, atteso che l'irrilevanza degli elementi soggettivi e' configurabile, per effetto della rigidita' al riguardo della formulazione normativa, solo limitatamente alla misura minima delle cinque mensilita'. La questione relativa alla sussistenza della responsabilita' risarcitoria deve ritenersi invece regolata dalle norme del codice civile in tema di risarcimento del danno conseguente ad inadempimento delle obbligazioni, non introducendo l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori elementi distintivi. Ne consegue l'applicabilita' dell'articolo 1218 c.c., secondo cui il debitore non e' tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui fornisca la prova che l'inadempimento consegue ad impossibilita' della prestazione a lui non imputabile

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Sentenza 1 ottobre 2013, n. 22398



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STILE Paolo - Presidente

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere

Dott. D'ANTONIO Enrica - rel. Consigliere

Dott. BERRINO Umberto - Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19728/2008 proposto da:

(OMISSIS), CF (OMISSIS) domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) S.R.L., (OMISSIS) in persona dell'Amministratore (OMISSIS) elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1011/2007 della CORTE D'APPELLO di SALERNO, depositata il 21/07/2007 r.g.n. 1629/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2013 dal Consigliere Dott. ENRICA D'ANTONIO;

udito l'Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 21 luglio 2007 la Corte d'Appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale che, dichiarata l'illegittimita' del licenziamento intimato dalla (OMISSIS) alla dipendente (OMISSIS), ha quantificato in cinque mensilita' la misura del risarcimento del danno.

La Corte ha rilevato che la determinazione del danno era congrua e meritevole di conferma. Ha osservato che ai fini della determinazione del danno doveva farsi riferimento alle norme del codice civile in tema di risarcimento del danno conseguente ad inadempimento delle obbligazioni non introducendo l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori elementi che consentissero differenzazioni.

Ha affermato in particolare la necessita' di applicare l'articolo 1218 c.c., in base al quale si doveva accertare che l'inadempimento conseguiva ad impossibilita' della prestazione per causa non imputabile. Nella specie la societa' era stata determinata al licenziamento dalla condotta osservata dalla lavoratrice che,per quanto non di gravita' tale da legittimare la sanzione espulsiva, aveva creato i presupposti per l'adozione del provvedimento disciplinare.

Secondo la Corte territoriale poteva senz'altro affermarsi che la societa' era stata indotta al recesso dal comportamento, non certo ineccepibile, tenuto dalla lavoratrice e,pur avendo attribuito ad esso un eccessivo rilievo, aveva agito non solo in assenza di dolo ma anche di un apprezzabile grado di colpa. Tali circostanze incidevano sulla domanda di risarcimento del danno per la parte eccedente la misura minima garantita dalla legge e giustificavano la limitazione del risarcimento a 5 mensilita'.

Avverso la sentenza propone ricorso in cassazione la (OMISSIS) formulando 4 motivi illustrati con successiva memoria ex articolo 378 c.p.c..

La (OMISSIS) si costituisce depositando controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 2909 c.c., dell'articolo 324 e 327 c.p.c.. Lamenta che la Corte d'Appello ha modificato integralmente la ricostruzione e valutazione delle circostanze che avevano portato all'adozione del licenziamento come esposte nella sentenza di primo grado e che non erano state oggetto di autonoma impugnazione.

Con il secondo motivo denuncia violazione della Legge n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, in relazione agli articoli 1218 e 2106, e della Legge n. 300 del 1970, articolo 7. Censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che il comportamento della lavoratrice, qualificato come non irreprensibile, consentisse di escludere la colpa del datore di lavoro nell'assumere il provvedimento di licenziamento ai fini della determinazione del risarcimento del danno.

Rileva che,ai sensi delle norme citate,la maggiore o minore gravita' del comportamento del lavoratore, ritenuto non di gravita' tale da costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, non poteva costituire elemento atto ad escludere, in tutto o in parte, la responsabilita' risarcitoria incidendo sulla parte eccedente le 5 mensilita'.

Con il terzo motivo denuncia violazione dell'articolo 1218 c.c., censura la sentenza nella parte in cui la Corte ha ritenuto che sulla domanda di risarcimento del danno subito dal lavoratore per licenziamento illegittimo potesse incidere la maggiore o minore gravita' del comportamento del lavoratore sebbene ritenuto non di gravita' tale da costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, potendo tale comportamento rappresentare "impossibilita' della prestazione derivante da causa non imputabile al datore di lavoro", idonea ad escludere in tutto in parte la responsabilita' risarcitoria del datore di lavoro.

Il primo motivo e' infondato. Il secondo ed il terzo, congiuntamente esaminati in quanto connessi, devono essere accolti.

Premesso, con riferimento al primo motivo che non risulta ravvisabile alcuna violazione dell'articolo 2909 c.c., peraltro neppure adeguatamente prospettata nel ricorso, atteso che la Corte territoriale ha fondato la sua decisione sul presupposto accertato dal Tribunale e non oggetto di censure dell'illegittimita' del licenziamento, il secondo ed il terzo motivo di censura sono fondati. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr Cass. n. 3114/2004) "la dichiarazione di invalidita' del licenziamento a norma della Legge n. 300 del 1970, articolo 18, non comporta automaticamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura stabilita dal quarto comma, con esclusione di ogni rilevanza dei profili del dolo o della colpa nel comportamento del recedente, e cioe' per una forma di responsabilita' oggettiva, atteso che l'irrilevanza degli elementi soggettivi e' configurabile, per effetto della rigidita' al riguardo della formulazione normativa, solo limitatamente alla misura minima delle cinque mensilita'. La questione relativa alla sussistenza della responsabilita' risarcitoria deve ritenersi invece regolata dalle norme del codice civile in tema di risarcimento del danno conseguente ad inadempimento delle obbligazioni, non introducendo l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori elementi distintivi. Ne consegue l'applicabilita' dell'articolo 1218 c.c., secondo cui il debitore non e' tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui fornisca la prova che l'inadempimento consegue ad impossibilita' della prestazione a lui non imputabile" (nello stesso senso anche Cass. n 21538).

In particolare si e' affermato che il difetto di colpa del datore di lavoro nel determinarsi al licenziamento, derivante dalle giustificazioni, erronee o fuorvianti, fornite dal lavoratore in relazione alla propria condotta in sede di procedimento disciplinare, non esclude l'illegittimita' del licenziamento, ove questo non risulti sorretto da giusta causa o giustificato motivo, all'esito degli accertamenti effettuati nel giudizio di impugnazione del licenziamento, ma puo' incidere sulla diversa domanda di risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento illegittimo, per la parte eccedente la misura minima garantita, consentendone la liquidazione in misura inferiore rispetto alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione.

Nella fattispecie in esame l'erronea valutazione da parte della soc (OMISSIS) circa la gravita' del comportamento posto in essere dalla lavoratrice non costituisce, in alcun modo, fatto idoneo ad escludere la colpa del datore di lavoro che ha agito, invece, senza adeguata ponderazione dei fatti pervenendo alla sanzione espulsiva e non, eventualmente ad una piu' blanda sanzione disciplinare conservativa.

La societa' datrice di lavoro non ha, pertanto, fornito la dimostrazione che le avrebbe consentito di essere esonerata, ex articolo 1218 c.c., da responsabilita'.

La stessa Corte d'Appello, del resto, a fondamento della decisione di quantificare il risarcimento per il licenziamento illegittimo in 5 mensilita', si e' limitata ad affermare l'esistenza di un comportamento non "ineccepibile" della lavoratrice.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione della Legge n. 300 del 1970, articolo 7, dell'articolo 2106 c.c., dell'articolo 57 del C.C.N.Legge della piccola industria farmaceutica. Rileva che stante l'invalidita' della sanzione del licenziamento la lavoratrice, al piu', avrebbe potuto essere sanzionata con la sospensione sino a tre giorni. Nella specie invece essa aveva ricevuto una non prevista ed incomprensibile sanzione rappresentata dalla mancata percezione della retribuzione per 11 mesi.

Il ricorso con riferimento a detto motivo deve essere dichiarato improcedibile non avendo la (OMISSIS) depositato il CCNL al quale ha fatto riferimento. Sul punto deve richiamarsi, tra le tante, la sentenza di questa Corte SSUU n. 20075/2010. L'articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilita' del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell'articolo 420 bis c.p.c., comma 2, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validita' o l'interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (nel testo sostituito dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 2), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l'estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l'integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell'esercizio del sindacato di legittimita' sull'interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale.

Per le considerazioni che precedono, in accoglimento del secondo e del terzo motivo di impugnazione, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Napoli per la determinazione del risarcimento dovuto alla lavoratrice a seguito dell'illegittimo licenziamento, oltre che per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il 2 ed il 3 motivo, rigetta il primo e dichiara improcedibile il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Napoli.
 

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