La particolare garanzia apprestata dall'articolo 36 Cost., a tutela del lavoratore subordinato non si riferisce ai singoli elementi retributivi, bensi' al trattamento economico globale

La particolare garanzia apprestata dall'articolo 36 Cost., a tutela del lavoratore subordinato non si riferisce ai singoli elementi retributivi, bensi' al trattamento economico globale. Ne consegue che non viene violato l'articolo 36 Costituzione se nel rinnovo dell'accordo collettivo è prevista un'indennità inferiore. (Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 26 gennaio 2009, n. 1832)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente

Dott. CUOCO Pietro - Consigliere

Dott. VIDIRI Guido - rel. Consigliere

Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere

Dott. STILE Paolo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 27275/2006 proposto da:

AR. GI. , CI. MA. , PO. DA. tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE VATICANO 45, presso lo studio dell'avvocato PREJANO' Antonio, che li rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrenti -

contro

RA. -. RA. IT. S.P.A.;

- intimata -

e sul ricorso 32088/2006 proposto da:

RA. -. RA. IT. S.P.A., quale successore a titolo universale della Ra. Ra. It. - Societa' per Azioni, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli avvocati SCOGNAMIGLIO RENATO e SCOGNAMIGLIO CLAUDIO che la rappresentano e difendono giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

AR. GI. , CI. MA. , PO. DA. , tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE VATICANO 45, presso lo studio dell'avvocato PREJANOI ANTONIO, che li rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

- controricorrenti al ricorso incidentale -

avverso la sentenza n. 4638/2005 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 12/10/2005 R.G.N. 5991/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 18/11/2008 dal Consigliere Dott. GUIDO VIDIRI;

udito l'Avvocato PREJANO';

udito l'Avvocato PORCELLI per delega SCOGNAMIGLIO RENATO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito l'incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 27 dicembre 2001 Ar.Gi. , Ci.Ma. e Po.Da. premesso di avere lavorato alle dipendenze della RA. con mansioni di operatore di ripresa, adivano il Tribunale di Roma. Riferivano che avevano percepito sino al (OMESSO) una indennita' contrattuale denominata "indennita' mancata limitazione e variabilita' orari di lavoro", pari al 25% dello stipendio individuale e del 25% della contingenza. Tale indennita' introdotta dal contratto collettivo per il personale addetto alle riprese televisive della RA. dal (OMESSO), in considerazione delle caratteristiche della prestazione, era stata poi migliorata dal contratto collettivo del 1980 e da quelli successivi, che l'avevano agganciata automaticamente al variare dello stipendio individuale e della contingenza mentre prima era in cifra fissa. In data (OMESSO) tra la RA. ed alcune organizzazioni sindacali era stata stipulata una ipotesi immodificabile di rinnovo del contratto collettivo del 6 aprile 1995, che prevedeva l'individuazione di una nuova indennita' pari all'8% dello stipendio individuale e della indennita' di contingenza, con riconoscimento mensile a titolo di forfait straordinario di un importo teorico (congelato a tale data ed esclusa dalle mensilita' aggiuntive), derivante dalla differenza tra l'ammontare delle indennita' precedentemente previste e della indennita' dell'8%.

Tale accordo non era stato sottoscritto da diverse organizzazioni sindacali quali lo SNATER, mentre i sindacati firmatari il 28 giugno 2001 avevano sottoscritto un verbale secondo il quale - sino alla definizione della nuova normativa sulle maggiorazioni - al personale precedentemente regolamentato dall'articolo 12 lettera a) del c.c.n.l. 6 aprile 1995 avrebbe dovuto essere mantenuto, nella base di calcolo delle citate disposizioni, il 25% di stipendio e contingenza. Anche i successivi accordi erano stati rifiutati e contestati dallo SNATER ed i lavoratori avevano comunicato il loro dissenso alla datrice di lavoro ma la RA. - contraddicendo anche l'accordo del 28 giugno 2001 - aveva sostituito "l'indennita' mancata limitazione e variabilita' orari di lavoro" con la inferiore indennita' denominata "indennita' mancata limitazione dell'orario di lavoro", commisurata all'8%, pur permanendo la peculiarita' delle prestazioni professionali degli operatori di ripresa e, dall'(OMESSO), agli operatori di ripresa di secondo livello aveva attribuito la differente e non equiparabile "indennita' di maggiori prestazioni". Deducevano ancora i ricorrenti che le clausole contrattuali dell'8 giugno 2000 e successive erano illegittime in quanto - in difetto di uno specifico mandato - il contratto collettivo non poteva incidere su diritti sorti a favore delle parti del rapporto lavorativo in virtu' di un precedente contratto collettivo.

Tutto cio' premesso i ricorrenti chiedevano che fosse dichiarata la illegittimita' e/o inapplicabilita' delle clausole collettive dell'8 giugno 2000 e successive, avendo essi diritto a conservare la precedente indennita' pari al 25% di stipendio e contingenza, e per l'effetto che la RA. fosse condannata al relativo ripristino dal 1 luglio 2001, e con il pagamento di ogni arretrato e risarcimento del danno nello importo di euro 9.681.350 (pari ad euro 5.000,00) ovvero al diverso importo ritenuto di giustizia, con accessori di legge.

Costituitosi il contraddittorio, la RA. chiedeva il rigetto del ricorso e spiegava riconvenzionale condizionata, chiedendo che venissero condannati i ricorrenti alla restituzione di quanto percepito nella vigenza dell'accordo dell'8 giugno 2000 a titolo di indennita' di mancata limitazione orario di lavoro nonche' di compenso straordinario, trattandosi di attribuzioni patrimoniali trovanti causa nelle clausole del contratto collettivo di cui si era chiesta la caducazione.

Il Tribunale rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio. A seguito di gravame dei lavoratori la Corte d'appello di Roma con sentenza del 12 ottobre 2005 rigettava il gravame e compensava le spese. Nel pervenire a tale decisione la Corte Territoriale osservava che gli attuali ricorrenti, tutti operatori di ripresa, si erano visti attribuire contestualmente alla predetta qualifica - le indennita' contrattuali di cui agli articoli 12 e 24 del contratto di categoria ovvero "l'indennita' mancata limitazione e variabilita' orari di lavoro" e l'indennita' maggiori prestazioni (articolo 12) nonche' un rimborso forfettario per il vestiario (articolo 24). Nel contratto collettivo era poi specificamente previsto che essi ricorrenti ricevevano una indennita' pari al 25% dello stipendio individuale e della indennita' di contingenza e che tale indennita' era computabile nella retribuzione ed agli effetti del t.f.r., delle ferie, dei permessi retribuiti, delle mensilita' aggiuntive ed assorbiva le maggiorazioni ed i compensi previsti dagli articoli 10, 14, 15 e 17 del contratto stesso, ovvero quanto atteneva all'orario di lavoro (articolo 10), la variabilita' turni (articolo 14), il riposo settimanale (articolo 15) nonche' il lavoro straordinario festivo, lavoro notturno e domenicale (articolo 17).

Successivamente con l'accordo di rinnovo dell'8 giugno 2000 - sottoscritto dalla SLC-CGIL, FISTEL-CISL ed UILSIC-UIL - le parti sociali avevano convenuto di unificare le indennita' del 33% e del 25% lettera a) attraverso l'individuazione di una nuova indennita' pari all'8% della stipendio individuale e della indennita' di contingenza, fermi restando i compensi previsti dal contratto nuovo sul "lavoro straordinario, festivo, domenicale e notturno" in rapporto alle ore effettivamente prestate, quello previsto di "variabilita' turni" e le maggiorazioni di cui agli articoli "orario di lavoro" e "riposo settimanale", precisando al punto 2, che la indennita' era computabile nella retribuzione agli effetti del tfr, ferie, permessi retribuiti, mensilita' aggiuntive ed assorbiva anche l'indennita' di laboratorio. Al punto 6 dell'accordo si precisava anche che a coloro che percepivano il trattamento di cui all'articolo 12 lettera a) e 13 del contratto collettivo del 1995 veniva riconosciuto mensilmente a titolo di forfait straordinario (che assorbiva sino a concorrenza il lavoro straordinario reso ad eccezione del lavoro effettuato nella c.d. "sesta giornata"), l'importo teorico alla data di sottoscrizione del contratto collettivo, derivante dalla differenza tra l'ammontare individuale delle indennita' precedentemente previste e quello della indennita' dell'8%. In data 24 maggio 2001 le parti sociali avevano convenuto di sospendere il termine di applicazione del nuovo contratto (1 luglio 2001) e di erogare una anticipazione dei benefici economici derivanti dalla applicazione del nuovo contratto, ed il 28 giugno 2001 avevano convenuto di fare decorrere l'efficacia temporale del contratto 1 luglio 2001, ferma restando la scadenza, per la parte retributiva, alla data del 31 dicembre 2001 e, per la parte normativa, alla data del 31 dicembre 2003, con erogazione di una somma complessiva, comprensiva della anticipazione, per il periodo 1 luglio 2000 - 30 giugno 2001.

Orbene il contratto contestato non poteva considerarsi in contrasto con la normativa legale In materia di orario, perche' detta disciplina prevede che per alcune tipologie di lavoratori - quali i teleoperatori di ripresa - non vi erano le limitazioni di orario di cui al R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, articoli 1 e 3, sicche' era principio consolidato che a detti lavoratori poteva riconoscersi lo straordinario solo se le norme collettive delimitavano comunque la durata della prestazione lavorativa o se tale durata eccedeva i limiti della ragionevolezza in rapporto della tutela della salute. Ma i lavoratori non avevano indicato nell'atto introduttivo della lite il superamento di tali limiti. Inoltre i lavoratori non potevano neanche invocare diritti acquisiti in forza della precedente contrattazione collettiva, perche' tali diritti ben potevano essere cadutati da un successivo contratto e perche', in ogni caso, non poteva del nuovo contratto essere contestata soltanto la parte peggiorativa ed accettata invece quella migliorativa in termini retributivi, introdotta per altri istituti, dovendo tutte le parti del contratto collettivo considerarsi inscindibili.

Ed infine nel caso di specie non era intervenuta nessuna violazione del disposto dell'articolo 2103 c.c., perche' le parti negoziali avevano convenuto di garantire comunque la differenza tra l'indennita' del 25% e quella dell'8% nella misura raggiunta alla data di entrata in vigore del nuovo accordo, con la conseguenza che nessuna diminuzione globale si era verificata, riguardando la nuova disciplina solo gli aumenti successivi. Ne' sotto altro versante poteva sostenersi che il trattamento del nuovo contratto veniva a violare i principi della sufficienza ed adeguatezza di cui all'articolo 36 Cost., non valendo tale disposizione a tutelare le singole componenti della retribuzione.

Avverso tale decisione i lavoratori propongono ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso la RA. , che spiega anche ricorso incidentale condizionato.

I lavoratori hanno proposto controricorso al ricorso incidentale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ai sensi dell'articolo 335 c.p.c., il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti perche' proposti avverso una stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale i lavoratori denunziano vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando che il giudice d'appello non ha tenuto conto che essi percepivano gia' le "maggiorazioni" per lavoro "notturno", "festivo", "domenicale" e per "variazione turni", tutto cio' in aggiunta alla loro "indennita'" contrattuale del 25% e proprio nella vigenza anche della contrattazione collettiva del 1995, e sino al 1 luglio 2001, data di applicazione della contesta reformatio in peius, oggetto della controversia.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano vizio di motivazione e violazione del Regio Decreto 6 dicembre 1923, n. 2657 e Regio Decreto 28 aprile 1938, n. 724 - con la modifica di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1976, n. 517 - nonche' della risoluzione del Ministero del Lavoro n. 18867 del 27 febbraio 1956, avente valenza anche di relativa norma di attuazione, assumendo al riguardo che la ratio legis delle fonti normative sul lavoro discontinuo comprendeva una logica modalita' di remunerazione del lavoro che presentava caratteristiche analoghe a quelle tenute presenti dall'indennita' del 25%; detta indennita' configurava un emolumento attribuito, in ragione della peculiarita' delle modalita' espletate ed in assenza di un preciso e predeterminato orario lavorativo, in aggiunta ai minimi tariffari.

Con il terzo motivo i ricorrenti addebitano alla impugnata sentenza ancora vizio di motivazione e violazione della contrattazione collettiva vigente sino al 30 giugno 2001, che attestava la volonta' delle parti sociali di riconoscere ai lavoratori dei diritti che si erano consolidati nel tempo, e che per essere acquisiti non potevano essere travolti da pattuizioni successive anche in ragione dell'articolo 2077 c.c..

Con il quarto e quinto motivo i ricorrenti lamentano vizio di motivazione e falsa applicazione del rinnovo del contratto dell'8 giugno 2000 - 14/24 maggio 2001, nonche' dell'accodo sindacale del 28 giugno 2001 e dei principi dell'articolo 39 Cost. (quarto motivo), ed errata applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, deducendo da un lato che i contratti collettivi non possono valere per coloro che non sono iscritti alle organizzazioni sindacali che detti contratti hanno sottoscritto, e che gli accordi collettivi andavano nel caso di specie interpretati nel rispetto del principio di buona fede e della clausola di conservazione, che doveva confortare la soluzione di una acquisizione definitiva del diritto alla indennita' del 25%.

Con il sesto motivo i lavoratori evidenziano un vizio della motivazione e violazione del disposto dell'articolo 2103 c.c., come sostituito dall'articolo 13 Stat. Lav. sul presupposto che l'azienda non poteva per la suddetta norma ridurre la retribuzione individuale di ciascun operatore di ripresa attraverso l'abolizione di una sua componente, non risultando tra l'altro provato un successivo globale trattamento retributivo che fosse migliorativo rispetto al passato.

Con il settimo motivo i lavoratori denunziano violazione dei principi di cui all'articolo 36 Cost., perche' la condotta della azienda aveva finito per eludere i criteri della proporzionalita' e della sufficienza della retribuzione.

Con l'ottavo motivo i lavoratori rilevano ancora vizio di motivazione e violazione dell'articolo 2087 c.c., perche' si era abolita una indennita' riguardante l'aspetto strutturale della retribuzione e perche' detta abolizione non poteva essere compensata con il palliativo di un forfait straordinario, congelato in cifra fissa.

Con il nono motivo infine i lavoratori deducono vizio di motivazione in ordine alla mancata riforma del provvedimento relativo alla liquidazione delle spese di primo grado perche' la riforma del negativo provvedimento su dette spese era stata espressamente richiesta con il ricorso in appello.

Con il ricorso incidentale la societa' denunzia da parte sua violazione della sentenza o del procedimento per pronunzia su una domanda tardivamente dedotta dai ricorrenti nonche' per una pronunzia su un capo del ricorso in appello non specifico, ed ancora violazione e falsa applicazione degli articoli 414 e 342 c.p.c..

Esigenze di un ordinato iter argomentativo inducono per ragioni logico-giuridiche ad esaminare in primo luogo quest'ultimo ricorso benche' spiegato in via condizionata.

Con tale impugnazione deduce infatti la RA. che la Corte d'appello ha respinto la domanda imperniata sulla dedotta violazione dell'articolo 36 Cost., reputandola priva di fondamento mentre avrebbe dovuto dichiararla inammissibile e dunque non esaminarla. Ed invero essa ricorrente aveva dedotto all'atto della costituzione in appello che la pretesa violazione del principio della retribuzione non era stata affatto lamentata con il ricorso introduttivo del giudizio, come era stato ritenuto anche dalla sentenza di primo grado, che aveva ad abundantiam escluso pure l'assenza di qualsiasi elemento di prova in merito.

Il ricorso e' infondato.

Questa Corte di cassazione ha statuito che nel rito del lavoro il ricorrente deve - analogamente a quanto stabilito per il giudizio ordinario dal disposto dell'articolo 163 cod. proc. civ., n. 4 - indicare ex articolo 414 cod. proc. civ., n. 4, nel ricorso introduttivo della lite gli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda e che in caso di mancata specificazione ne consegue la nullita' del ricorso, da ritenersi pero' sanabile ex articolo 164 cod. proc. civ., comma 5 (norma estensibile anche al processo del lavoro). Corollario di tali principi e' che la mancata fissazione di un termine perentorio da parte del giudice, per la rinnovazione del ricorso o per l'integrazione della domanda, e la non tempestiva eccezione di nullita' da parte del convenuto ex articolo 157 cod. proc. civ., del vizio dell'atto, comprovano l'avvenuta sanatoria della nullita' del ricorso dovendosi ritenere raggiunto lo scopo ex articolo 156 cod. proc. civ., comma 2. La sanatoria del ricorso non vale, tuttavia, a rimettere in termini il ricorrente rispetto ai mezzi di prova non indicati ne' specificati in ricorso, sicche' il convenuto puo' eccepire, in ogni tempo e in ogni grado del giudizio, il mancato rispetto da parte dell'attore della norma codicistica sull'onere della prova, in quanto la decadenza dalle prove riguarda non solo il convenuto (articolo 416 cod. proc. civ., comma 3), ma anche l'attore (articolo 414 cod. proc. civ., n. 5), dovendo ambedue le parti, in una situazione di istituzionale parita', esternare sin dall'inizio tutto cio' che attiene alla loro difesa e specificare il materiale posto a base delle reciproche istanze, alla stregua dell'interpretazione accolta da Corte Cost. 14 gennaio 1977, n. 13 (cfr. Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353).

Orbene la ricorrente incidentale non ha specificato i motivi che nel caso di specie legittimavano, nel rispetto dei suddetti enunciati principi, una declaratoria di nullita' del ricorso e dei consequenziali atti. A tale carenza non puo' porsi rimedio in questa sede atteso il principio della autosufficienza del ricorso per cassazione, sulla base del quale la ricorrente nel contenuto del suo atto impugnativo doveva indicare gli elementi attestanti con la ritualita' e la tempestivita' anche la fondatezza della sua richiesta (cfr. sul principio della autosufficienza ex plurimis: Cass. 12 giugno 2008 n. 15808; Cass. 17 luglio 2007 n. 19552).

I motivi del ricorso principale da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni tra loro giuridicamente interdipendenti sotto vari profili, vanno rigettati perche' privi di fondamento.

Va premesso che per giurisprudenza costante dalla la successione tra contratti(o accordi) collettivi, pure di diverso livello, puo' conseguire per i lavoratori un trattamento economico meno favorevole di quello goduto in precedenza, avendo questa Corte di Cassazione piu' volte statuito che le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo dei sindacati, ma (salva l'ipotesi di loro recezione ad opera del contratto individuale) operano dall'esterno sui singoli rapporti di lavoro come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicche', nell'ipotesi di successione di contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento piu' favorevole (articolo 2077 cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale, restando la conservazione di quel trattamento affidata all'autonomia contrattuale delle parti collettive stipulanti, che possono prevederla con apposita clausola di salvaguardia, la verifica della cui esistenza, con la relativa indagine interpretativa, e' riservata al giudice del merito(cfr. tra le altre: Cass. 20 agosto 1991 n. 8946 e successivamente Cass. 20 aprile 1996 n. 3754; Cass. 14 novembre 1995 n. 11805).

Di una siffatta statuizione - alla cui luce devono esaminarsi tutte le numerose censure mosse alla sentenza impugnata - si e' fatto corretto uso dal giudice d'appello che - sulla base di una attenta e compiuta valutazione del trattamento della contrattazione collettiva, regolante la c.d. "indennita' di mancata limitazione e variabilita' orari di lavoro" pari al 25% (dello stipendio individuale e della contingenza) e di quella successiva avente ad oggetto la indennita' consistente nell'8% (anche essa dello stipendio e dalla contingenza), ed all'esito di un raffronto tra il merito complessivo assicurato dalle due diverse contrattazioni - ha ritenuto che non si era in presenza di ragioni attestanti una illegittimita' della condotta della RA. capace di giustificare le pretese rivendicate dai lavoratori.

In altri termini la sentenza impugnata, per risultare adeguatamente motivata, priva di salti logici e per essere rispettosa dei principi giuridici applicabili al thema decidendum, si sottrae ad ogni censura in questa sede di legittimita'.

A tale riguardo e' sufficiente rimarcare - in aggiunta a quanto gia' evidenziato - come la decisione della Corte territoriale abbia fatto una giusta e puntuale applicazione di principi giuridici piu' volte ribaditi dai giudici di legittimita'.

Ed invero, per disvelare come non possano trovare accoglienza le doglianze dei lavoratori deve ricordarsi che la Corte di Cassazione ha statuito: per quanto riguarda la retribuibilita' dello straordinario (in relazione alla quale si e' lamentato dai lavoratori un ingiustificato disconoscimento) che in tema di lavoro discontinuo, caratterizzato da attese di non lavoro durante le quali il dipendente puo' reintegrare con pause di riposo le energie psico-fisiche consumate, e' configurabile l'espletamento di lavoro, straordinario allorquando, malgrado detta discontinuita', sia convenzionalmente prefissato un preciso orario di lavoro ed il relativo limite risulti in concreto superato - occorrendo, all'uopo, che venga fornita la prova relativamente a modalita' e tempi del servizio prestato nell'arco compreso fra l'orario iniziale e quello finale dell'attivita' lavorativa, in modo da consentire di tener conto delle pause di inattivita' - e, in ogni caso, allorquando l'attivita' lavorativa prestata dal dipendente oltre il limite dell'orario massimo legale, non operante nei suoi confronti, sia, alla stregua del concreto svolgimento del rapporto di lavoro, irrazionale e pregiudizievole del bene dell'integrita' fisica del lavoratore stesso (cfr. in tali sensi: Cass. 5 novembre 2001 n. 13622 cui adde - per l'affermazione che in ogni caso deve essere rispettato nella durata della prestazione lavorativa il criterio della ragionevolezza in base a inderogabili regole costituzionali poste a tutela della salute: Cass. 7 gennaio 1982 n. 54 e piu' recentemente tra le tante Cass. 23 luglio 2004 n. 13882).

E sempre rispettosa dei canoni legali applicabili al tema controverso e' la parte della decisione che ha riconosciuto come non siano stati violati i principi dell'articolo 36 Cost., nel passaggio dalla contrattazione collettiva che riconosceva una indennita' commisurata al 25% per cento della retribuzione (e della contingenza) ad altra, di diverso contenuto e portata, quantificata in nell'8% della retribuzione (e della contingenza), atteso che la giurisprudenza ha piu' volte precisato - come e' stato puntualmente evidenziato nella decisione impugnata - che la particolare garanzia apprestata dall'articolo 36 Cost., a tutela del lavoratore subordinato non si riferisce ai singoli elementi retributivi, bensi' al trattamento economico globale(cfr. in tali termini: Cass. 21 marzo 2004 n. 5934, che ha precisato come i criteri della proporzionalita' e sufficienza posti dalla citata norma costituzionale a tutela del lavoratore non trovano applicazione - come riconosciuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 470 del 2002 - in caso di erogazione di un compenso per lavoro straordinario inferiore a quello erogato per l'orario ordinario; e negli stessi termini: Cass. 16 luglio 2007 n. 15781; Cass. 17 ottobre 2006 n. 22233).

Ne' sotto altro versate puo' dubitarsi che nella fattispecie in esame vi sia stata una violazione del disposto dell'articolo 2103 c.c., essendo assorbente per escludere tale violazione osservare che - a fronte delle argomentazioni del giudice d'appello che ha evidenziato come nessun pregiudizio potesse essere lamentato dai lavoratori (per avere la parti sociali garantito un sistema capace di evitare il verificarsi di un deterioramento della retribuzione globale per valere la nuova disciplina solo per il futuro) - i suddetti lavoratori non hanno impugnato tale capo della decisione con motivi specifici e conferenti. E l'assunto ora ricordato della sentenza impugnata sulla mancanza di prova di un concreto pregiudizio subito dai lavoratori dimostra l'infondatezza anche delle censura che si incentra - in termini non del tutto chiari - sulla violazione dell'articolo 2087 c.c..

Per quanto attiene al motivo avente ad oggetto la regolamentazione delle spese operate dal giudice d'appello con riferimento a quelle di primo grado, anche in questo caso la censura si appalesa generica e, per di piu', non rispettosa del principio della autosufficienza, atteso che non si evince dal contenuto del ricorso per cassazione che contro la decisione di primo grado le parti appellanti abbiano proposto un tempestivo, regolare nonche' specifico motivo di gravame. Per concludere il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati.

Tenuto conto dell'esito del presente giudizio i ricorrenti principali, perche' soccombenti, vanno condannati al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidati unitamente agli onorari difensivi come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna i ricorrenti principali in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di Cassazione, liquidate in euro 54,00, oltre euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari difensivi nonche' spese generali, I.V.A. e C.P.A..

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