La revoca del licenziamento, pur non richiedendo la forma scritta, deve essere supportata da fatti inequivocabilmente intesi a porre nel nulla il il precedente atto di recesso

Il mero dato rappresentato dal fatto che nei giorni successivi al licenziamento il lavoratore abbia continuato ad essere presente presso il posto di lavoro e a svolgervi attività corrispondenti alle pregresse mansioni assegnategli non è sufficiente a integrare una condotta del datore di lavoro inequivocabilmente intesa a porre nel nulla il precedente atto di recesso.
(Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza del 13 marzo 2008, n. 6742)



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Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Napoli, Giuseppe V. deduceva di avere lavorato alle dipendenze del Consorzio N. (che poi aveva modificato la denominazione in Consorzio U. ), con funzioni di dirigente responsabile operativo "dell'organizzazione e gestione della rete di vendita dei titoli di viaggio emessi" dal medesimo ente; di essere stato licenziato in tronco, una prima volta con lettera del 2 novembre 1999 e una seconda volta con lettera del 16 del medesimo mese, ma di avere continuato a prestare la sua attività sia dopo il primo che il secondo recesso, sino a quando il 3 dicembre 1999 era stato estromesso dall'ufficio, atto quest'ultimo da qualificarsi come licenziamento orale.

Chiedeva, quindi, che fosse dichiarata la prosecuzione del rapporto di lavoro, perché mai interrotto, e, in subordine, la nullità del licenziamento orale con condanna dell'ente al pagamento delle retribuzioni maturate, ancora in via ulteriormente subordinata, la ingiustificatezza del licenziamento con condanna del convenuto al pagamento dell'indennità supplementare, oltre al risarcimento degli ulteriori danni.

Nella resistenza del Consorzio, il giudice adito accoglieva parzialmente la domanda, ritenendo ingiustificato il licenziamento e liquidando soltanto l'indennità supplementare nella misura massima di diciotto mensilità (pari a complessivi Euro 137.443,40).

La sentenza era confermata dalla Corte di appello della stessa sede, con pronuncia depositata il 7 febbraio 2005.

Nel rigettare l'impugnazione del V. , la Corte territoriale escludeva che nel comportamento del Consorzio, il quale aveva consentito all'appellante, anche in epoca successiva al licenziamento del 16 novembre 1999, di accedere all'ufficio per prestare servizio, potesse ravvisarsi una revoca per fatti concludenti del recesso. Rilevava in proposito il giudice del gravame che a fronte delle reiterate manifestazioni di volontà del Consorzio intese a risolvere il rapporto di lavoro con il V. , la presenza di costui sul posto di lavoro nell'assunto di svolgere le pregresse mansioni, non integrava una condotta dell'ente inequivocabilmente diretta a porre nel nulla il precedente recesso, tanto più che il lasso di tempo, in cui tale situazione si era procrastinata, era limitato a quindici giorni, e nel corso di questo periodo il Consorzio aveva manifestato l'opposizione ai tentativi del V. di continuare nell'attività lavorativa.

Evidenziava inoltre la Corte di merito che la mancanza di una tempestiva reazione del Consorzio, diretta ad impedire il protrarsi della riferita situazione, trovava la sua spiegazione nell'avvicendamento verificatosi in quel periodo al vertice aziendali, con la sostituzione del presidente.

Per la cassazione della sentenza il V. ha proposto ricorso, formulando un solo motivo. L'intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.

Motivi della decisione

L'unico mezzo di annullamento denuncia violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione. Critica la sentenza impugnata per non avere considerato le deposizioni dei testimoni S. e C. , assolutamente contrastanti con l'unica deposizione presa in esame, e per avere ritenuto che il comportamento del Consorzio non fosse idoneo a desumere una revoca del licenziamento, malgrado il precedente recesso fosse stato posto nel nulla dal datore di lavoro e malgrado la protrazione del rapporto di lavoro per quindici giorni, in cui il dipendente aveva svolto la normale attività ed iniziato nuovi progetti da realizzare nel tempo.

Il motivo è infondato.

Riguardo alla omessa valutazione delle deposizioni dei due testimoni innanzi indicati, che ad avviso del ricorrente varrebbero a dimostrare la prosecuzione della sua attività lavorativa nel Consorzio, si deve rilevare che questa circostanza non è stata considerata priva di dimostrazione né pretermessa dalla sentenza impugnata, ma è stata ritenuta insufficiente al fine di affermare la sussistenza di una revoca del recesso da parte del predetto Consorzio.

Nella sentenza qui impugnata, infatti, si evidenzia (v. pag. 5) che "il mero dato rappresentato dal fatto che nei giorni successivi al licenziamento anzidetto l'appellante poté continuare ad essere presente presso il posto di lavoro e a svolgervi attività corrispondenti alle pregresse mansioni assegnategli non pare sufficiente a integrare una condotta di detto ente inequivocabilmente intesa a porre nel nulla il precedente atto di recesso ", e questa statuizione è giustificata con deduzioni - ripetizione della intimazione del licenziamento, breve durata della prosecuzione dell'attività lavorativa del V. , opposizione del consorzio e del superiore gerarchico del lavoratore a che costui continuasse a svolgere le mansioni - le quali non sono adeguatamente censurate, essendosi l'odierno ricorrente limitato a sostenere che la continuazione dell'attività lavorativa nel lasso di tempo intercorso, quindici giorni, tra la rinnovata intimazione del licenziamento (con lettera del 16 novembre 1999) e la inibizione all'accesso nell'ufficio (3 dicembre 1999), doveva far concludere per l'annullamento del recesso da parte del Consorzio.

Relativamente al profilo di censura concernente la revoca del licenziamento, senza dubbio questa non richiede la forma scritta, che va osservata per la intimazione del licenziamento, in considerazione del principio, più volte sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte, in base al quale "i negozi risolutori degli effetti di atti richiedenti - come il licenziamento - la forma scritta non sono assoggettati ad identici requisiti formali in ragione dell'autonomia negoziale, di cui la libertà di forma costituisce, in mancanza di diversa prescrizione legale, significativa espressione" (cfr. Cass. 5 agosto 2004 n. 15129), e può anche intervenire, come ha avuto occasione di affermare la giurisprudenza, per fatti concludenti, dai quali possa desumersi l'intento del datore di lavoro di porre nel nulla il licenziamento intimato e di eliminarne gli effetti.

Ma è questa una valutazione di fatto come tale riservata al giudice di merito, che qui ha escluso una volontà del datore di lavoro diretta a revocare il licenziamento, supportandola con adeguate ragioni.

Del resto, a parte la reiterazione della intimazione del licenziamento, la quale, come osservato dal giudice del merito, di per sé denota una persistenza della determinazione di risolvere il rapporto di lavoro, la modifica dello statuto del Consorzio, con la "impossibilità di conservare nel proprio organico due figure dirigenziali ricoperte da persone estranee alle aziende partecipanti" (v. secondo la esposizione del ricorso per cassazione), addotta a motivo di risoluzione del rapporto di lavoro nelle due lettere di licenziamento inviate a distanza di pochi giorni l'una dall'altra, non avrebbe potuto consentire agli organi esecutivi del Consorzio di assumere una volontà diretta a revocare il recesso intimato.

Né infine per stabilire se il comportamento del Consorzio fosse stato diretto a porre nel nulla il precedente recesso, il giudice avrebbe dovuto tenere conto, così come sostiene il ricorrente, della valutazione che di quella condotta avrebbe fatto il lavoratore, in quanto nella interpretazione dei negozi unilaterali, fra i quali rientra la revoca, sono applicabili i canoni di ermeneutica contrattuale previsti dagli artt. 1362 e ss. nei limiti di compatibilità con la natura e la struttura della medesima categoria di negozi, per cui si deve fare riferimento esclusivamente all'intento che ha posto in essere il negozio giuridico, e non anche a quello del soggetto nei confronti del quale il medesimo negozio può produrre effetti (v. fra le altre Cass. 22 aprile 2002 n. 5835).

Alla stregua delle suesposte considerazioni ed assorbito ogni altro rilievo, il ricorso deve essere rigettato.

Non si deve provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, non avendo il Consorzio espletato alcuna attività difensiva in questa fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.

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