Licenziamento - periodo di comporto

In base alle regole dettate dall'art. 2 della legge n. 604 del 1966 (modificato dall'art. 2 della legge n. 108 del 1990) sulla forma dell'atto e la comunicazione dei motivi del recesso, qualora l'atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore - il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l'esigenza di poter opporre propri specifici rilievi - ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, con la conseguenza che nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, il licenziamento deve considerarsi illegittimo. (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, sentenza del 5 novembre 2007, n. 23070)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente

Dott. MONACI Stefano - Consigliere

Dott. STILE Paolo - rel. Consigliere

Dott. DE MATTEIS Aldo - Consigliere

Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

LI. GU., elettivamente domiciliato in ROMA VIA AUGUSTO AUBRY 3, presso lo studio dell'avvocato BOCCADAMO GIORGIO, rappresentato e difeso dall'avv. BARBATO Vincenzo, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

DA. S.R.L., in persona dell'amministratore unico Ma. Va., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA BALDUINA 66, presso lo studio dell'avvocato SPAGNUOLO GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1264/04 della Corte d'Appello di SALERNO, depositata il 16/11/04 r.g.n. 713/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/10/07 dal Consigliere Dott. Paolo STILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 31 luglio 1997 Li.Gu. impugnava il licenziamento intimatogli dalla societa' datrice di lavoro datore di lavoro, Da. s.r.l., in data 28 gennaio 1997 per superamento del periodo di comporto e chiedeva al Pretore di Nocera Inferiore la declaratoria di nullita', con tutte le conseguenze di legge, compreso la reintegrazione e la ricostruzione economica. La societa' convenuta si costituiva eccependo la infondatezza della domanda, ribadendo che la risoluzione del rapporto di lavoro era intervenuta a seguito di superamento del periodo di comporto per sommatoria, il cui totale delle assenze aveva raggiunto negli ultimi 4 anni (1993-97) la media del 42,76%, con punte negli ultimi 2 anni (1995-96) del 51,58%, e il numero delle assenze era risultato nell'ultimo quinquennio (1993-97) di gg. 411, pari a mesi 13 di gg. 30 ciascuno, di gran lunga superiore ai 180 giorni o ai 6 mesi previsti dal periodo di comporto secco, di cui al C.C.N.L. applicabile alla fattispecie.

L'adito Pretore, all'esito della espletata istruttoria, rigettava la domanda con sentenza n. 555 del 21 marzo 2001, aderendo alla tesi della societa', escludendo al contempo che alla base del recesso sussistessero motivi punitivi, ritorsivi o discriminatori cosi' come pur prospettato dal lavoratore.

Avverso tale decisione con ricorso del 29 giugno 2002 proponeva appello il Li., censurando la sentenza per violazione del principio di specificita', per mancato superamento del periodo di comporto, per omessa valutazione della prova di causalita' delle malattie, per violazione dell'articolo 7 S.L., per omesso preventivo avvertimento della scadenza del periodo di comporto, per omessa valutazione dei motivi illeciti posti a base del recesso.

Con sentenza n. 1264 del 16 novembre 2004 l'adita Corte d'appello di Salerno ricettava l'impugnazione, escludendo, peraltro, che nella specie dovessero trovare applicazione le garanzie di cui alla Legge n. 300 del 1970 articolo 7; che vi fosse un obbligo di informativa della societa' nei confronti del dipendente circa l'approssimarsi della scadenza del periodo di comporto; che vi fosse stata una violazione dei principi di correttezza e buona fede la societa' fosse obbligata; che il licenziamento fosse avvenuto per motivi di ritorsione.

Per la Cassazione di tale pronuncia ricorre Li.Gu. con due motivi.

Resiste la soc. r.l. DA. con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il Li., denunciando violazione della norma della Legge n. 604 del 1966 articolo 2 nonche' omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5), si duole che la datrice di lavoro sia nella lettera di contestazione (ex Legge n. 300 del 1970 articolo 7) del 17 gennaio 1997 sia nella lettera sia nella lettera di licenziamento del 28 gennaio successivo non aveva mai specificato quali erano stati i giorni di assenza asseritamente effettuati come sommatoria interna rispetto al periodo esterno preso in esame al fine di stabilire il superato periodo di conservazione del posto di lavoro.

Piu' in particolare - prosegue il ricorrente -, la datrice di lavoro non aveva mai precisato, neppure dopo formale richiesta, i giorni di assenza per malattia presi in esame, sulla base dei quali ne aveva stabilito il periodo di comporto per sommatoria (c.d. termine interno) e l'arco temporale preso in esame (c.d. termine esterno) entro cui sarebbe stato superato il numero massimo delle assenze per malattia; tanto piu' che in entrambe le richiamate comunicazioni si faceva riferimento al licenziamento sia "per comporto per sommatoria" sia per "giustificato motivo oggettivo ..." sia "per giustificato motivo soggettivo ...", impedendo una adeguata difesa. Il motivo e' infondato. Deve premettersi che - come sostenuto dal ricorrente - in base alle regole dettate dalla Legge n. 604 del 1966 articolo 2 (modificato dalla Legge n. 108 del 1990 articolo 2) sulla forma dell'atto e la comunicazione dei motivi del recesso, qualora l'atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore - il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l'esigenza di poter opporre propri specifici rilievi - ha la facolta' di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, con la conseguenza che nel caso di non ottemperanza con le modalita' di legge a tale richiesta, il licenziamento deve considerarsi illegittimo (Cass. 3 agosto 2004 n. 14873).

Nel caso in esame, tuttavia, la Corte di Salerno - come puntualizzato nella impugnata decisione - ha ritenuto, con valutazione di merito adeguatamente motivata, che la contestazione doveva considerarsi specifica, idonea fin dall'inizio a consentire al Li. le proprie difese come era desumibile dalla lettera di giustificazioni del 24.1.97 inviata dal Li. in risposta alla contestazione del 17.1.97, contenente la precisazione delle ragioni (grave patologia) delle reiterate, ed incontestate assenze dal lavoro nel numero e nella percentuale indicata dalla societa' e la medesima ricostruzione dei fatti poi esplicitata e riportata in ricorso e nell'atto di appello.

A sostegno di tale assunto la Corte territoriale ha chiarito che la societa' appellata aveva prodotto in primo grado tabulato Rilevazioni INPS per gli anni 93, 94, 95 e 96 con la specifica ed analitica indicazione dei vari periodi e giorni di assenza, allegato - a dire della stessa societa' - alla lettera di contestazione del 17.1.97. Ha soggiunto che tale documento non era mai stato contestato da parte appellante, che solo all'udienza di discussione aveva negato di aver ricevuto il citato tabulato unitamente alla lettera di contestazione, assumendo, erroneamente, che non era stato prodotto in primo grado e che la circostanza non era stata rappresentata nella memoria difensiva di primo grado, laddove, invece, oltre la riproduzione dei dati del tabulato, si precisava che la lettera del 17.1.97 conteneva "l'elenco delle giornate di assenza". D'altra parte - ha tenuto ancora a rimarcare il Giudice a quo -, l'appellante, con la lettera del 3.2.97 di impugnativa del licenziamento, si era limitato a chiedere solo "..di avere specifica contezza delle motivazioni afferenti l'inflitto provvedimento espulsivo", e non una specificazione delle assenze. In tale contesto, coerentemente la Corte di Salerno ha tratto il convincimento che la societa' aveva gia' sufficientemente rappresentato il motivo del licenziamento (per comporto per sommatoria) richiamando la precedente lettera di contestazione del 17.1.97 con la quale si contestava la rilevante percentuale (42,76 % con punta massima del 51,58 %) ed il numero delle assenze (114 giornate su 221 lavorative), ed alla quale, come detto, era allegato il tabulato INPS; sicche' alcuna ulteriore specificazione, la societa' doveva fornire in relazione ai motivi dell'intimato licenziamento.

Devesi, in proposito, rammentare, costituendo specifico motivo di gravame, unitamente a quello ricondotto al vizio di violazione di legge, che la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per Cassazione (ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 5) non conferisce al giudice di legittimita' il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi' soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, le argomentazioni - svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento - con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere - secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. S.U. n. 13045/97) - dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e puo' ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti. La gia' rilevata coerenza e logicita' del ragionamento del Giudice d'appello esclude la ricorrenza del vizio in parola.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della Legge n. 300 del 1970 articolo 7 nonche' violazione e falsa applicazione dell'articolo 1362 c.c., e segg., con riferimento all'articolo 1324 c.c., ed, ancora, omessa contraddittoria e insufficiente motivazione con riferimento alla mancata indicazione delle prove (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5), sostiene che il licenziamento sarebbe, altresi', nullo poiche' irrogato in violazione della procedura prevista alla Legge n. 300 del 1970 articolo 7 trattandosi nel caso in esame di vero e proprio licenziamento disciplinare per come irrogato dalla stessa datrice di lavoro in fase di contestazione degli addebiti, mossi al ricorrente Li. con lettera datata 17.1.97.

Il motivo e' infondato.

Invero, l'argomentazione del Li. appena esposto ha trovato adeguata risposta nella sentenza impugnata laddove, interpretando la contestazione posta a base del licenziamento in parola, ha ritenuto che nella fattispecie era configurabile una tipica ipotesi di recesso per superamento del periodo di comporto c.d. "per sommatoria", estraneo ad ogni addebito di natura disciplinare con conseguente sua sottrazione alla operativita' della Legge n. 300 del 1970 articolo 7. Ne' appare sufficiente replicare a tale accertamento che l'interpretazione del contenuto delle richiamate missive andava effettuata alla luce dei principi espressi dall'articolo 1362 c.c., e segg., direttamente applicabili, ex articolo 1324 c.c., anche agli atti unilaterali, nonche' in virtu' dei principi generali regolanti i rapporti in materia di lavoro, ed in particolare in virtu' del principio di cui all'articolo 1366 c.c. che sancisce la interpretazione secondo buona fede.

E' principio ripetutamente affermato da questa Corte che l'interpretazione del contratto - individuale o collettivo di diritto comune - e' riservata al giudice del merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimita', a un sindacato che e' limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo di una motivazione coerente e logica.

Nell'interpretazione dei contratti, ivi inclusi i contratti collettivi di diritto comune, i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia in forza del quale i canoni strettamente interpretativi - tra i quali risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole - prevalgono su quelli interpretativi-integrativi; l'indagine sulla corretta applicazione di essi compete al giudice di merito e non e' sindacabile in sede di legittimita' se correttamente motivata (Cass. 25 ottobre 2005 n. 20660).

Va soggiunto che la denuncia, poi, di un vizio di motivazione in fatto - (compresa quella) che sorregge l'interpretazione di un contratto - nella sentenza, impugnata con ricorso per Cassazione (ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 5), non conferisce al giudice di legittimita' il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi' soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni- svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento - con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere - secondo l'orientamento (ora) consolidato della giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, le sentenze n. 13045/97 delle sezioni unite e n. 16213, 11936, 11918, 7635, 6753, 5595/2003, 3161/2002, 4667/2001, 14858, 9716, 4916/2000, 8383/99 delle sezioni semplici) - dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e puo' ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti, ne', comunque, una diversa valutazione dei medesimi fatti. Pertanto, al giudice di legittimita' non compete il potere di adottare una propria motivazione in fatto (arg. ex articolo 384 c.p.c., comma 2), ne', quindi, di scegliere la motivazione piu' convincente - tra quelle astrattamente configurabili e, segnatamente, tra la motivazione della sentenza impugnata e quella prospettata dal ricorrente - ma deve limitarsi a verificare se - nella motivazione in fatto della sentenza impugnata, appunto - siano stati dal ricorrente denunciati specificamente - ed esistano effettivamente - vizi che per quanto si e' detto, siano deducibili in sede di legittimita'.

Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza impugnata non merita censure che le vengono mosse dal ricorrente, poiche' - come correttamente ritenuto dal Giudice a qua ancorche' in maniera implicita, ma non per questo poco chiara- non puo' desumersi dalla lettera di licenziamento - anche alla luce degli stralci riportati nel ricorso in esame - che essa contenga la volonta' di recedere dal contratto di lavoro con esclusione dell'ipotesi di cui all'articolo 2110 c.c., ovvero per aver il lavoratore superato con le sue assenze il periodo di comporto per malattia, ne' vi sono ragioni per ritenere violati, sul piano ermeneutico, principi di correttezza e buona fede.

Non essendo, peraltro, contestata, in questa sede, l'argomentazione del Giudice d'appello in ordine alla circostanza del venir meno del diritto del Li. alla conservazione del posto, per aver superato, complessivamente sei mesi di assenza nell'arco dei tre anni precedenti la data del licenziamento, secondo un criterio di equita', ricavabile dalla norma pattizia (articolo 98 C.C.N.L.) concernente il solo c.d. comporto secco e non anche il c.d. comporto per sommatoria ricorrente nella specie, il ricorso va rigettato.

La spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in euro 18,00 oltre euro 2.000,00 per onorari ed oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..


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