Nei contratti di collaborazione il patto di non concorrenza decorre dalla cessazione del rapporto

Per i contratti di collaborazione, quale quello di lavoro parasubordinato, nella durata massima dell'eventuale patto accessorio di non concorrenza non può essere compreso il tempo di svolgimento della collaborazione, ragion per cui la stessa durata non inizia prima della cessazione del contratto. Infatti, durante lo svolgimento di questo, l'obbligo di astenersi dalla concorrenza, connaturale ad ogni rapporto di collaborazione economica, renderebbe inutile ossia privo di causa il patto accessorio. (Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 6 maggio 2009, n. 10403)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele - Presidente

Dott. CUOCO Pietro - Consigliere

Dott. MONACI Stefano - rel. Consigliere

Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere

Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 6013-2006 proposto da:

MA. MA. , domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato BONDI LUIGI giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

ID. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato VANNUCCI VITO giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1329/2005 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/10/2005 R.G.N. 619/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/02/2009 dal Consigliere Dott. STEFANO MONACI;

udito l'Avvocato BONDI LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RIELLO Luigi che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La societa' Id. s.r.l. ha convenuto in giudizio l'ingegner Ma.Ma. chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 206.582,76 a titolo di risarcimento del danno per violazione di un patto di non concorrenza contenuto in un precedente accordo di collaborazione coordinata e continuativa.

A sostegno della domanda la societa' esponeva: di essere una delle tre aziende esistenti in Italia che svolgevano attivita' di progettazione, realizzazione e vendita di macchine generatrici di idrogeno, ossigeno ed azoto per uso industriale;

di avere stipulato nel (OMESSO) un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con l'ingegner Ma. , in forza del quale quest'ultimo era divenuto il responsabile tecnico della progettazione, nonche' il responsabile della produzione ed il coordinatore dell'attivita' di installazione e manutenzione dei prodotti Id. ;

che nel contratto era previsto un patto di non concorrenza che impegnava il collaboratore a non esercitar attivita' assimilabili a quelle svolte presso l'azienda per il periodo di tre anni successivi alla cessazione del rapporto;

che in forza di questo patto il Ma. aveva percepito la somma di lire 45.000.000 annue;

che nel 2000 il convenuto aveva comunicato l'intenzione di recedere dal rapporto trascorso il termine di preavviso;

che peraltro, successivamente alla cessazione della collaborazione, l'interessato aveva prestato la propria attivita' per conto della Er. s.r.l., societa' concorrente di Id. .

L'ingegner Ma. si costituiva in giudizio opponendosi alla domanda.

Negava, in particolare, di avere svolto attivita' che comportassero violazione del patto, e sosteneva comunque la nullita' di esso.

Chiedeva anche, subordinatamente, la riduzione della penale.

Il giudice di primo grado riteneva che il patto di non concorrenza fosse pienamente efficace e che fosse stato violato dal Ma. , e respingeva anche la richiesta di riduzione della penale.

Con sentenza n. 1329/2005, in data 30 settembre-14 ottobre 2005, la Corte d'Appello di Firenze rigettava l'impugnazione del Ma. , anche sul punto della riduzione della penale.

Avverso questa sentenza, che non risulta notificata, l'ingegner Ma. ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 19 gennaio 2006.

Resiste la societa' Id. con controricorso notificato, in termine, il 28 febbraio 2006.

Entrambe le parti hanno depositato proprie memorie difensive.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo di impugnazione il ricorrente denunzia l'omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia rappresentato dalla difformita', prospettata dal ricorrente, del contenuto del patto di non concorrenza rispetto alla disciplina di cui all'articolo 2596 c.c..

Lamenta che la Corte d'Appello abbia ritenuto che il patto di non concorrenza con la Id. fosse pienamente legittimo, e osserva a questo proposito che, mentre il giudice di primo grado aveva ritenuto che il Ma. e la Id. avessero posto in essere un contratto atipico scegliendo di posticipare gli effetti del patto rispetto al momento della stipula di esso, la Corte d'Appello di Firenze aveva semplicemente osservato che la norma dell'articolo 2596 c.c. era stata rispettata dalle parti in ordine ai requisiti di durata, di zona e di contenuto. Secondo il ricorrente, il punto centrale della controversia riguardava la possibilita' che il collaboratore coordinato e continuativo (cui, a suo parere, si applicava l'articolo 2125 c.c.) ed il datore di lavoro potessero stipulare un patto di non concorrenza che, come quello in questione, postergasse la decorrenza degli effetti dell'accordo ad un momento successivo rispetto alla stipulazione del patto stesso.

Sempre secondo il ricorrente, un simile patto era da ritenersi nullo perche' contrario alla disciplina dell'articolo 2596 c.c. in forza del quale non vi era ragione per distinguere il periodo di vigenza del rapporto ed il periodo successivo alla sua estinzione.

2. Nel secondo motivo l'ing. Ma. deduce la violazione di legge con riferimento all'articolo 2596 c.c. in relazione alla durata del patto di non concorrenza.

La Corte di Appello di Firenze aveva ritenuto che la durata del patto di non concorrenza riguardasse il periodo di non collaborazione ed i tre anni successivi alla cessazione del rapporto.

In questo modo, pero', veniva ampiamente superato il termine massimo quinquennale previsto dall'articolo 2596 c.c. perche' la collaborazione coordinata e continuativa cui ineriva il patto era iniziata nell'(OMESSO), e terminata nel (OMESSO), e, in forza di quella interpretazione, il Ma. sarebbe rimasto impegnato fino al (OMESSO), per una durata totale di quasi sette anni.

3. Il ricorso non e' fondato.

I due motivi, strettamente connessi tra di loro, debbono essere esaminati congiuntamente.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente all'interno del primo motivo di impugnazione, non e' esatto che si applichi l'articolo 2125 c.c. per disciplinare i limiti contrattuali della concorrenza nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

Dato che il collaboratore svolge un'attivita' autonoma, si applica, piuttosto, l'articolo 2596 c.c..

Come sottolineato da questa Corte, "l'articolo 2125 cod. civ. sul patto di non concorrenza del prestatore di lavoro non e' applicabile ai rapporti diversi da quello di lavoro subordinato ancorche' caratterizzati da parasubordinazione come il rapporto di agenzia, cui e' applicabile invece la disciplina dell'articolo 2596 cod. civ. sui limiti contrattuali della concorrenza." (Cass. civ., 6 novembre 2000, n. 14454; nello stesso senso, 24 agosto 1991, n. 9118; 23 novembre 1990, n. 11282).

4. Si applica percio' anche l'articolo 2596 c.c., comma 2 che fissa in cinque anni la durata massima dell'obbligo di non concorrenza.

Cio' non significa, pero', che la decorrenza di questa durata massima debba decorrere anche in questo caso dalla stipulazione del patto, e non invece dalla cessazione del rapporto di collaborazione.

In realta', questa medesima problematica e' gia' stata esaminata, in altra controversia connessa (tanto e' vero che se rinviene traccia negli atti difensivi di questo giudizio di cassazione), da questa Corte che e' giunta alla conclusione che "per i contratti di collaborazione, quale quello di lavoro parasubordinato, nella durata massima dell'eventuale patto accessorio di non concorrenza non puo' essere compreso il tempo di svolgimento della collaborazione, onde la stessa non inizia prima della cessazione del contratto. Durante lo svolgimento di questo, infatti, l'obbligo di astenersi dalla concorrenza, connaturale ad ogni rapporto di collaborazione economica, renderebbe inutile ossia privo di causa il patto accessorio, come risulta ad esempio dall'articolo 1743 c.c., articolo 1746 c.c., comma 1, articoli 2105, 2301 e 2318 cod. civ. ed in generale dall'articolo 1375 cod. civ." (Cass. civ., 23 luglio 2008, n. 20312, in causa Ruzzante c. Id. s.r.l.). Questa soluzione appare esatta, e deve essere condivisa.

5. Occorre partire, infatti, dall'esame della normativa, e ' dall'analisi della funzione specifica del patto di concorrenza nelle diverse fattispecie contrattuali.

Come rileva il precedente giurisprudenziale sopra ricordato, l'articolo 2596 c.c. concerne il patto di non concorrenza, valido non piu' di cinque armi, stipulato fra imprenditori o comunque non accessorio ad altro contratto di cooperazione, quale un contratto di lavoro, subordinato oppure autonomo ma continuativo e coordinato con attivita' committente.

L'articolo 2125 c.c. riguarda, invece, il patto di non concorrenza concluso dalle parti del rapporto di lavoro subordinato. La previsione di legge, che ne detta anche il limite temporale, di cinque anni per il dirigente e di tre anni negli altri casi, si riferisce esclusivamente al tempo successivo alla cessazione del contratto di lavoro, giacche' nel periodo di efficacia di questo contratto il patto sarebbe comunque nullo per mancanza di causa, vale a dire per l'obbligo di fedelta' che grava sul lavoratore ai sensi dell'articolo 2105 c.c..

Il caso qui in esame riguarda un rapporto di lavoro parasubordinato e non e' percio' riconducibile direttamente all'articolo 2125 c.c., il quale, tuttavia, e' applicabile per analogia quanto alla durata massima del patto di non concorrenza, che deve essere limitata al quinquennio, o al minore termine pattuito, e altresi' della non computabilita' del periodo di svolgimento del rapporto di lavoro.

Il dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto (articolo 1375 c.c.) vieta, infatti, alla parte di un rapporto di collaborazione di avvalersene per nuocere all'altra, cosi' come dimostrano, per il rapporto di agenzia, dal diritto di esclusiva i attribuito a tutte le parti dall'articolo 1743 c.c. e dal dovere di lealta' e buona fede imposto all'agente dal successivo articolo 1746 c.c., comma 1, nonche' dal divieto di concorrenza gravante sul socio della societa' in nome collettivo dall'articolo 2301 c.c., richiamato, per il socio accomandatario, dall'articolo 2318 c.c..

Nel lavoro parasubordinato pertanto il divieto di concorrenza vincola le parti salve le attenuazioni che esse ne concordino, con la conseguenza che il termine di durata non puo' decorrere prima della cessazione del rapporto.

Per i contratti di collaborazione, quale quello di lavoro parasubordinato, nella durata massima dell'eventuale patto accessorio di non concorrenza non puo' essere compreso il tempo di svolgimento della collaborazione, ragion per cui la stessa durata non inizia prima della cessazione del contratto. Infatti, durante lo svolgimento di questo l'obbligo di astenersi dalla concorrenza, connaturale ad ogni rapporto di collaborazione economica, renderebbe inutile, ossia privo di causa, il patto accessorio.

4. Il ricorso, pertanto, e' infondato e deve essere rigettato.

Le spese, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza in danno del ricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in euro 28,00 ad euro 4.000.00 (quattromila/00) per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA.

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