Nelle aziende ai lavoratori autonomi, spettano le stesse garanzie previste per i dipendenti su informazione, protezioni, controlli e direttive dei superiori

In caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento per comportamento imprudente, quando questo sia da ricondursi anche alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento. Per l'accertamento dei regimi giuridici applicabili e delle responsabilità penali è irrilevante il nomen iuris del contratto dovendo considerare come in effetti il rapporto di lavoro ha avuto svolgimento.
Nel caso di specie, infatti, la dimostrata natura subordinata del rapporto, comporta il rispetto dei principi di tutela della sicurezza previsti per tale forma di lavoro.
(Corte di Cassazione Sezione 4 Penale, Sentenza del 6 maggio 2009, n. 18998)



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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. LICARI Carlo - Consigliere

Dott. VISCONTI Sergio - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) TR. CE. , N. IL (OMESSO) (imputato);

2) SOC. VA. S.R.L. (resp. civile);

avverso SENTENZA del 06/07/2005 CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. LICARI CARLO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DI POPOLO Angelo, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio limitatamente alla contravvenzione con eliminazione della relativa pena. Nel resto, per il rigetto dei ricorsi;

Udito, per la parte civile, l'Avv. MORIATTI Antonio, il quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi, con vittoria di spese di lite.

Udito il difensore Avv. VALENTINO Giovanni il quale, intervenendo nell'interesse dell'imputato e del responsabile civile, ha concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi proposti nei rispettivi ricorsi.

OSSERVA

Con sentenza del 6/7/2005, la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza di condanna emessa il 30/4/2004 dal Tribunale di Voghera nei confronti di Tr. Ce. , riconosciuto colpevole della contravvenzione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articoli 70 e 77 per non avere, quale direttore e delegato alla sicurezza dello stabilimento " Va. " di (OMESSO), predisposto o fatto predisporre idonei sottopalchi di protezione o elementi di ripartizione del carico sui lucernai del tetto di detto stabilimento, al fine di evitare cadute dall'alto degli operai che ivi si recassero per lavori di manutenzione dei canali di gronda (capo B), nonche' del delitto di omicidio colposo perche', nella spiegata qualita', per colpa e violazione delle suddette norme antinfortunistiche, affidando al lavoratore Mu. Ma. lavori di manutenzione dei canali di scolo e delle gronde sul tetto di un capannone, cagionava al predetto, a seguito della caduta dall'altezza di otto metri, avvenuta il (OMESSO) per il cedimento sotto il suo peso di un lucernaio in vetroresina, lesioni personali gravissime, cui conseguiva il decesso (capo A).

Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione, per mezzo del comune difensore, sia l'imputato, sia, nella qualita' di responsabile civile, la societa' " Va. s.r.l.", quest'ultima in difesa dei suoi interessi civilistici, ritenuti compromessi dalla condanna, in solido con il Tr. , al risarcimento dei danni ed al pagamento immediato della provvisionale in favore delle parti civili costituite.

Entrambi i ricorrenti, sostanzialmente ripropongono le stesse argomentazioni difensive dedotte in sede di appello, ma disattese dai giudici di secondo grado, sicche' e' d'uopo qui richiamarne il contenuto essenziale, al fine di dare ad esse una risposta pertinente, ovviamente contenuta entro i limiti del sindacato di legittimita'.

Le deduzioni difensive si possono, per comodita' di sintesi, raggruppare essenzialmente in due punti: il primo contiene la critica alla ritenuta sussistenza dell'ordine impartito dal direttore al Mu. di salire sul tetto per eseguire lavori di pulitura dei canali di scolo, ritenuti causa delle infiltrazioni di acqua nel capannone dello stabilimento, sul rilievo che al Mu. , in quanto operaio meccanico, competesse solo l'esecuzione della manutenzione dei macchinari in base ad un contratto di appalto stipulato con la societa' " Va. ", con la conseguenza che il Tr. , in quanto committente, aveva solo il dovere di segnalare all'appaltatore gli eventuali rischi connessi al lavoro appaltato, ma non anche l'obbligo di fornirgli le attrezzature tecniche per garantirgli la sicurezza, che compete invece al lavoratore autonomo, com'era il Mu. , la cui iniziativa di salire sul tetto doveva, quindi, ritenersi avulsa dagli obblighi del contratto di appalto e, comunque, non pilotata dal direttore; il secondo punto riguarda la mancata presa in considerazione della tesi difensiva secondo la quale, nei casi di urgenza o di interventi di scarso rilievo, per prassi erano i capiturno che commissionavano al Mu. le manutenzioni meccaniche, onde, stante l'assenza dallo stabilimento del direttore al momento del fatto, poteva ricercarsi in altra persona, tra i capiturno, la paternita' dell'ordine al medesimo operaio di portarsi sul tetto del capannone con secchio e raspino per effettuare la pulizia dei canali di scolo e delle grondaie.

Con specifico motivo, il responsabile civile, infine, sostiene che la conferma, da parte della Corte territoriale, della condanna al pagamento solidale della provvisionale, sarebbe illogica, dal momento che la societa' Va. avrebbe gia' adempiuto a pagare alle parti civili delle somme di denaro, ampiamente satisfattive dei danni morali dalle predette patite.

Entrambi i ricorsi sono destinati alla declaratoria di inammissibilita'.

Invero, le doglianze si pongono in stridente dissonanza con le corrette e coerenti argomentazioni offerte in motivazione dalla Corte di Appello di Milano, la quale non e' stata omissiva nell'esame dei motivi attinenti al tema della responsabilita' dell'imputato, perche' le circostanze, di cui gli odierni ricorrenti ora lamentano la mancata presa in considerazione, non sono passate sotto silenzio, ma risultano essere state specificamente valutate.

La Corte di merito, infatti, si e' convinta - e di tale convincimento ne ha persuasivamente spiegato le ragioni - che il Tr. , quale direttore e delegato alla sicurezza dello stabilimento Va. s.r.l., dovesse rispondere penalmente del delitto e della contravvenzione ascrittigli, in quanto l'accertata causa della morte dell'operaio Mu. era da collegare eziologicamente alla sua condotta omissiva colposa, tenuto conto che la posizione di garanzia nei confronti dell'operaio lo obbligava, ai sensi delle disposizioni antinfortunistiche di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articoli 70 e 77, ad avvertirlo specificamente dei rischi di caduta dall'alto connessi all'attivita' di pulitura dei canali di scolo e delle grondaie del tetto del capannone, ed a fornirgli, in ogni caso, le misure di protezione idonee ad evitare tali rischi.

Trattisi di rischi connessi ad attivita' di natura diversa che il Mu. svolgeva quotidianamente dalle ore 8 alle 12 e dalle 13,30 alle 17,30 nel luogo di lavoro, anche al di fuori del contratto di appalto per la manutenzione dei macchinari della societa', in quanto e' stato accertato, tramite plurime e conformi testimonianze, che la vittima, oltre al lavoro di meccanico, per il quale era obbligato per effetto del contratto di appalto, ivi svolgeva qualsiasi altro lavoro gli venisse richiesto, per arrotondare le sue entrate, tenuto conto che all'epoca era l'unico percettore di reddito in famiglia.

In relazione alla specifica doglianza sulla paternita' dell'ordine di eseguire il lavoro sul tetto del capannone, va rilevato che i giudici di secondo grado hanno spiegato in modo convincente che l'infortunio mortale non sarebbe avvenuto, se fossero state approntate le opere idonee ad evitare le cadute dall'alto, le quali erano doverosamente imposte dalla legge anche al direttore responsabile della sicurezza di uno stabilimento, nel caso in cui, come quello di specie, si fosse avvalso, come quotidianamente avveniva da circa un anno prima dell'incidente, dell'opera di un lavoratore autonomo, per svolgere attivita' lavorativa retribuita mensilmente, per conto e alle dipendenze della societa', di natura anche diversa da quella specificamente prevista nel contratto di appalto di manutenzione dei macchinali dell'azienda.

E' stata ricondotta al Tr. la paternita' dell'ordine al Mu. di salire sul tetto del capannone, sulla scorta dalla valutazione complessiva delle testimonianze rese dai compagni di lavoro della vittima sulla ordinaria prassi che le disposizioni di lavoro per il Mu. venivano date dal Tr. , e dando particolare rilievo al fatto che proprio la stessa mattina, in cui avvenne l'incidente, il Tr. si era incontrato con il nominato operaio ed avevano discusso di un lavoro che costui si era impegnato a finire in giornata: quel lavoro, secondo i giudici di merito, era la pulizia del tetto e non altro, essendo certo che nessun altro e diverso ordine scritto e' stato trovato e che, anche quel giorno, il Mu. aveva regolarmente lavorato presso lo stabilimento della societa' Va. .

In riferimento alla subordinata censura, che si richiama alla condotta imprudente dei lavoratori, vittime dell'incidente, al fine di sostenere l'interruzione del nesso eziologico tra colpa dei datori di lavoro ed eventi infortunistici, reputa il Collegio che, nel confutarla, sia stata fatta dai giudici di merito corretta applicazione del principio generale secondo cui la colpa altrui non elide la propria.

E' evidente, infatti, che la prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente del lavoratore, non rileva allorche' chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo, che e' conseguito, nella specie, dall'avere la vittima operato nella zona di lavoro, senza essere specificamente informato delle condizioni di pericolo esistenti nella zona circostante e senza essere stato protetto dalle opere provvisionali idonee ad evitare cadute dal tetto.

Tanto meno la causa esimente e' invocabile, se la si pone, come nel caso di specie, alla base del proprio errore di valutazione, assumendo che il sinistro si e' verificato non perche' si sia tenuto un comportamento antigiuridico, ma sol perche' vi sarebbe stata, dalla parte della vittima, l'anomala ed inopinata iniziativa di gironzolare sul tetto anche in corrispondenza di pericolosi lucernai.

Il rilievo difensivo, comunque, non serve a scagionare l'imputato, in quanto chi e' responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilita' tale da rendersi interprete, in via di prevedibilita', del comportamento altrui.

In altri termini, l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte dei lavoratori non e' invocabile, non solo per la illiceita' della propria condotta omissiva, ma anche per la mancata attivita' diretta ad evitare l'evento, imputabile a colpa altrui, quando si e', come nel caso "de quo", nella possibilita' in concreto di impedirlo.

E' il cosiddetto "doppio aspetto della colpa", secondo cui si risponde sia per colpa diretta sia per colpa indiretta, una volta che l'incidente dipende dal comportamento dell'agente, che invoca a sua discriminante la responsabilita' altrui.

A tali principi la Corte territoriale si e' attenuta nel definire il ruolo avuto dal Tr. nella vicenda, ritenendo costui non esente da colpa.

E' da osservare, peraltro, che la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumita' del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalita', ma anche da quelli che possono scaturire dalla sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purche' connesse allo svolgimento dell'attivita' lavorativa.

Sussistendo questa ipotesi, e' affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio giuridico che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneita' delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva puo' essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondursi anche alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento.

Alla stregua di tale principio, la doglianza difensiva in esame non ha ragion d'essere, non potendosi l'eventuale imprudenza, profilabile nella condotta della vittima, considerarsi imprevedibile e tale da interrompere il rapporto di causalita' con l'evento infortunistico, essendo questo nella specie riconducibile, anche e comunque, all'omissione, da parte dell'imputato, della condotta doverosa di impedire, per mezzo di informazione specifica e di predisposizione di apposite misure di protezione, che il Mu. alle sue dipendenze operasse sul tetto del capannone, per lavori di pulizia ordinatigli specificamente, in condizioni di pericolo di caduta dall'alto.

In riferimento, poi, al motivo specifico proposto in ricorso dalla societa' Va. quale responsabile civile, e' sufficiente a dimostrane la manifesta infondatezza la considerazione che la pronuncia circa l'assegnazione di una provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell'ammontare della stessa e' rimessa alla discrezionalita' del giudice del merito, che non e' tenuto a dare una motivazione specifica sul punto.

Ne consegue che il relativo provvedimento, ed ovviamente anche la statuizione implicita nella conferma, in sede di appello, dell'integrale sentenza di condanna di primo grado, non e' impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato, e' destinato ad essere travolto, per il suo carattere di provvisorieta' e per la sua natura meramente delibativa, dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento del danno. Precisato che la declaratoria di inammissibilita' di entrambi i ricorsi trae origine da una causa originaria (la aspecificita' e la manifesta infondatezza dei motivi) che ha impedito il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, inibisce in questa sede (come statuiscono in conformita' le Sez. Unite con sentenza 22/11/2000, ric. De Luca) la possibilita' di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita' a norma dell'articolo 129 c.p.p. e, nel caso di specie, la prescrizione del reato contravvenzionale, maturatasi in data 19/7/2005, successiva alla sentenza impugnata, devesi, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., condannare i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno di essi, inoltre, al versamento in favore della cassa delle ammende della sanzione pecuniaria, ritenuta congrua nella misura indicata in dispositivo, in ragione dei profili e dell'entita' della colpa riconoscibili nella rispettiva condotta processuale, inosservante dei limiti del giudizio di legittimita'.

Gli stessi ricorrenti devono, inoltre, essere condannati in solido a rifondere le spese di lite sostenute nel grado dalla parte civile vittoriosa, Da. Ch. Cl. , in proprio e nella qualita' di genitore esercente la potesta' genitoriale, spese che si liquidano nella complessiva somma di euro 2.517,00 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno di essi, inoltre, al versamento della somma di 1000,00 euro in favore della cassa delle ammende, nonche' alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla parte civile, Da. Ch. Cl. , in proprio e nella qualita' di genitore esercente la potesta' genitoriale, spese che liquida in euro 2.517,00 oltre accessori come per legge.

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