Non può concorrere a dimostrare la sussistenza del giustificato motivo l'indisponibilita' della lavoratrice a ridurre il proprio impegno orario

Non può concorrere a dimostrare la sussistenza del giustificato motivo l'indisponibilita' della lavoratrice a ridurre il proprio impegno orario, considerato che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 5, comma 1 - abrogato, come l'intera legge, dalla citata Legge, del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, articolo 55, comma 1, lettera a), a decorrere dal 25 giugno 2015 - il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in parziale, o viceversa, "non costituisce giustificato motivo di licenziamento". La norma nazionale, interpretata alla luce di quella comunitaria, impone di ritenere che il datore di lavoro che licenzi il lavoratore che rifiuta la riduzione di orario ha l'onere di dimostrare che sussistono effettive esigenze economico-organizzative in base alle quali la prestazione non puo' essere mantenuta a tempo pieno, ma solo con l'orario ridotto, nonche' il nesso causale tra queste e il licenziamento (v. Cass. civ. Sez. lavoro, 06-06-2013, n. 14319). La Direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997 recepisce l'Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES, che alla Clausola 5.2. prevede che "Il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilita' di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessita' di funzionamento dello stabilimento considerato". Come chiarito della Corte Costituzionale nella sent. n. 224 del 2013 (scrutinando la compatibilita' costituzionale della possibilita' di "revisione" del part-time riconosciuta alle pubbliche amministrazioni dalla Legge n. 183 del 2010, articolo 16), tale Direttiva, accanto alla protezione del lavoratore dalla trasformazione unilaterale del proprio rapporto ad iniziativa del datore di lavoro, prende pure in considerazione le esigenze organizzative di quest'ultimo, purche' l'iniziativa datoriale sia sorretta da serie ragioni organizzative e gestionali e sia attuata nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede.

Corte di Cassazione, Sezione L civile, Sentenza 27 ottobre 2015, n. 21875



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STILE Paolo - Presidente

Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere

Dott. BERRINO Umberto - Consigliere

Dott. GHINOY Paola - rel. Consigliere

Dott. TRICOMI Irene - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
 

SENTENZA

sul ricorso 28555-2014 proposto da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;

- ricorrente -

(OMISSIS) S.A.S. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 2184/2014 della CORTE D'APPELLO di LECCE, depositata il 06/10/2014 R.G. N. 1245/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/07/2015 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l'Avvocato (OMISSIS); udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fuzio Riccardo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) impugnava ai sensi della Legge n. 92 del 2012, articolo 1, comma 48 il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole con nota del 21.1.2014 dal (OMISSIS) s.a.s..

Sosteneva che il recesso fosse sorretto da un motivo illecito con carattere ritorsivo, in quanto conseguente al rifiuto di acconsentire alla riduzione a 20 ore settimanali dell'orario di lavoro, fosse discriminatorio ai sensi della Legge n. 108 del 1990, articolo 3 in ragione del sesso, fosse rassegnato in violazione del Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 5 e pertanto nullo perche' determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 c.c. e comunque fosse illegittimo per insussistenza dell'addotto giustificato motivo oggettivo.

Il Tribunale, sia con l'ordinanza resa all'esito della fase sommaria che con la successiva sentenza resa a seguito dell'opposizione, rigettava il ricorso e la Corte d'appello di Lecce, con la sentenza n. 2184 del 2014, confermava il rigetto. La Corte riteneva che il licenziamento fosse giustificato da motivi economici dimostrati e da scelte organizzative insindacabili, e che esso non avesse carattere ritorsivo, ne' discriminatorio. Argomentava che, come rilevato dal primo giudice, era stata documentata la necessita' della societa' di sopperire al deterioramento della situazione finanziaria dovuto alla scadenza al 31.12.2013 della convenzione con la A.s.l. di Lecce per il servizio PET-TAC, attraverso una riorganizzazione economico-aziendale, con riduzione dei costi del personale dipendente.

Non poteva ad avviso della Corte essere sindacata la scelta datoriale di utilizzare due direttori sanitari, ovvero, oltre alla dottoressa (OMISSIS), anche il dottor (OMISSIS), che era stato assunto dapprima a tempo determinato per sostituire la (OMISSIS) nel periodo della sua assenza per maternita' e trattenuto in servizio a tempo indeterminato a far data dal 1.5.2013, in quanto tale scelta era giustificata dalle ricerche scientifiche del (OMISSIS). La necessita' di riduzione dei costi aveva poi indotto la societa' a proporre ai due direttori sanitari, con l'evidente intento di mantenerli entrambi in servizio, il dimezzamento dell'orario lavorativo e della retribuzione, ma, mentre il (OMISSIS) aveva accettato, la (OMISSIS) aveva formulato una controproposta non accettata dalla societa', il che aveva determinato il suo licenziamento.

Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso il (OMISSIS) s.n.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Come primo motivo, (OMISSIS) lamenta vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione della Legge n. 92 del 2012, articolo 1.59, Testo Unico n. 445 del 2000, articolo 20 e articolo 2719 c.c..

Lamenta che la Corte territoriale non abbia acquisito e valutato la Delib. del Direttore sanitario della A.s.l. di Lecce 18 aprile 2014, n. 634, che finanziava l'acquisto per l'anno 2014 di n. 1500 esami PET-TAC dal (OMISSIS) per euro 1.297.500,00 somma superiore a quella oggetto della convenzione per l'anno 2013. Riferisce di avere chiesto in sede di reclamo l'acquisizione del CD contenente tale Delib., istanza cui la controparte si era opposta per il divieto di produrre nuovi documenti in sede di reclamo previsto dalla Legge n. 92 del 2012, articolo 59.

Nel caso, tuttavia, la produzione era ammissibile, considerato che la Delib. era stata emessa 4 giorni dopo il deposito del ricorso in opposizione davanti al Tribunale. Aggiunge che il documento era certamente indispensabile al fine della decisione, considerato che il suo contenuto era tale da smentire la sussistenza delle condizioni economiche sfavorevoli della societa' per l'anno 2014.

2. Come secondo motivo, deduce violazione della Legge n. 604 del 1966, articolo 3, Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, comma 1 bis, Legge n. 108 del 1990, articolo 3 e articolo 1366 c.c. e sostiene che la Corte erroneamente ed immotivatamente avrebbe escluso il disegno datoriale di licenziarla per giustificato motivo oggettivo, mentre la societa', in contrasto con la denunciata crisi aziendale, aveva duplicato la figura del direttore sanitario, rendendo cosi' una delle due posizioni soprannumeraria.

3. Come terzo motivo, lamenta che licenziamento sia stato intimato senza tenere conto dell'anzianita' e del carico familiare della ricorrente e quindi in violazione degli articoli 1175 e 1375 c.c. e Legge n. 223 del 1991, articolo 5.

4. Come quarto motivo, lamenta che il licenziamento sia stato intimato in violazione del Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 5, del precetto di cui al punto 5.2. e dell'accordo quadro 6/7/97 allegato alla Direttiva 97/81/CE.

Sostiene che, se e' vero che il divieto di licenziamento del lavoratore che non abbia aderito alla richiesta di trasformazione del contratto a tempo pieno a tempo parziale non e' assoluto, perche' trova un limite delle esigenze organizzative, tecniche produttive che tale trasformazione impongano, tuttavia quando le esigenze addotte siano simulate e frutto di scelte illecite il rifiuto del lavoratore sarebbe legittimo e la manifesta violazione del Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 5 integrerebbe il motivo illecito nonche' il carattere esclusivamente ritorsivo e come tale discriminatorio del licenziamento.

5. Come quinto motivo, lamenta che licenziamento sia stato intimato in violazione del divieto di discriminazione di genere, in violazione del Decreto Legislativo n. 198 del 2006, articolo 25, comma 1.

6. Il primo motivo e' fondato.

La Corte territoriale, come riferito in narrativa, ha configurato il giustificato motivo oggettivo di licenziamento nella necessita' della societa' di sopperire al deterioramento della situazione finanziaria dovuto alla scadenza della convenzione con l'A.s.l. di Lecce per il servizio Pet-Tac, che aveva cessato di produrre i suoi effetti dal 31.12.2013. Ha ritenuto che tale deterioramento imponesse la riduzione dei costi del personale, ottenuta anche mediante la riduzione dell'orario di lavoro dei due direttori sanitari, e che pertanto la scelta come dipendente da licenziare della (OMISSIS), che tale riduzione aveva rifiutato, fosse legittima. Cio' facendo, non ha tenuto conto della Delib. Direttore Sanitario della A.s.l. di Lecce del 18 aprile 2012, n. 634, di tre mesi successiva al licenziamento della (OMISSIS) e sopravvenuta nel corso del giudizio di opposizione, che finanziava l'acquisto di 1.500,00 esami Pet-Tac per euro 1.297.500,00 dal (OMISSIS), e quindi per un importo superiore a quello dell'anno precedente, senza nulla motivare in proposito.

Al fine di valutare l'effettivita' della ragione addotta, detta Delib. non avrebbe potuto pero' essere ignorata. E difatti, benche' la sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento debba essere accertata sulla base degli elementi di fatto sussistenti alla data della comunicazione del recesso, devono essere valutate anche le emergenze processuali relative a circostanze sopravvenute, qualora esse valgano a chiarire la situazione complessiva che sussisteva in quel momento, nonche' quale ne fosse il presumibile sviluppo futuro. Per configurare un giustificato motivo oggettivo, il deterioramento della situazione finanziaria avrebbe infatti dovuto presentarsi nel momento dell'intimazione del licenziamento come dovuto ad eventi non temporanei e contingenti, ma prevedibilmente destinati a protrarsi nel tempo, circostanze in ordine alle quali nulla risulta nella motivazione della Corte territoriale. L'esame della Delib., quindi, benche' essa sia successiva di tre mesi al licenziamento, avrebbe potuto fornire elementi utili a comprendere la regolamentazione del servizio Pet-Tac e il relativo assetto dei rapporti tra la A.s.l. di Lecce ed il Centro, anche al fine di comprendere se la scadenza alla fine del 2013 fosse definitiva o se gia' all'epoca fosse ipotizzabile la possibilita' del rinnovo che di fatto vi e' stato, ed a quali condizioni, e da escludere che la situazione lamentata fosse dovuta solo ai tempi tecnici di rinnovo della convenzione.

6.1. Non poteva poi concorrere a dimostrare la sussistenza del giustificato motivo l'indisponibilita' della lavoratrice a ridurre il proprio impegno orario, considerato che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 5, comma 1 - abrogato, come l'intera legge, dalla citata Legge, del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, articolo 55, comma 1, lettera a), a decorrere dal 25 giugno 2015 - il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in parziale, o viceversa, "non costituisce giustificato motivo di licenziamento". La norma nazionale, interpretata alla luce di quella comunitaria, impone di ritenere che il datore di lavoro che licenzi il lavoratore che rifiuta la riduzione di orario ha l'onere di dimostrare che sussistono effettive esigenze economico-organizzative in base alle quali la prestazione non puo' essere mantenuta a tempo pieno, ma solo con l'orario ridotto, nonche' il nesso causale tra queste e il licenziamento (v. Cass. civ. Sez. lavoro, 06-06-2013, n. 14319). La Direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997 recepisce l'Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES, che alla Clausola 5.2. prevede che "Il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilita' di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle prassi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessita' di funzionamento dello stabilimento considerato". Come chiarito della Corte Costituzionale nella sent. n. 224 del 2013 (scrutinando la compatibilita' costituzionale della possibilita' di "revisione" del part-time riconosciuta alle pubbliche amministrazioni dalla Legge n. 183 del 2010, articolo 16), tale Direttiva, accanto alla protezione del lavoratore dalla trasformazione unilaterale del proprio rapporto ad iniziativa del datore di lavoro, prende pure in considerazione le esigenze organizzative di quest'ultimo, purche' l'iniziativa datoriale sia sorretta da serie ragioni organizzative e gestionali e sia attuata nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede.

In mancanza di tali presupposti, il dipendente puo' legittimamente rifiutare di passare al tempo pieno e, per cio' solo, non puo' mai essere licenziato. Nel caso che ne occupa, il vaglio operato dalla Corte territoriale, laddove ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato alla lavoratrice che aveva rifiutato il dimezzamento dell'orario di lavoro, non e' stato pero' adeguato, nel senso sopra prospettato, al fine di chiarire se effettivamente la situazione di crisi aziendale fosse tale da non tollerare il mantenimento della prestazione della (OMISSIS) a tempo pieno.

7. L'esito del nuovo esame che dovra' compiere il giudice del rinvio sulla questione sopra prospettata condiziona le ulteriori valutazioni imposte dagli altri motivi di ricorso, che si pongono in rapporto logicamente subordinato. E' evidente infatti che, qualora non sussistesse il giustificato motivo oggettivo a sostegno del licenziamento, esso sarebbe illegittimo e gli altri vizi denunciati rimarrebbero assorbiti, mentre la sua dimostrata sussistenza nei termini sopra prospettati ne determinerebbe la legittimita', escludendone ulteriori e diverse motivazioni.

8. Segue l'accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, ed il rinvio alla Corte d'appello di Bari, che dovra' pronunciarsi anche sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Bari.

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