Non può essere licenziato il dipendente che si allontana senza autorizzazione dal posto di lavoro se lo stesso non ha mai subito sanzioni disciplinari in tutta la sua carriera

In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza.
Dunque, non può essere licenziato il dipendente che si allontana senza autorizzazione dal posto di lavoro se lo stesso non ha mai subito sanzioni disciplinari in tutta la sua carriera. (Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 22.06.2009 n° 14586)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 22 giugno 2009, n. 14586

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 13/18.4.2007 la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza del Tribunale di Biella dell' 8.6.2006, impugnata dalle ****, rigettava la domanda proposta da **** per l'annullamento del licenziamento intimatogli il 13.7.2005.

Osservava in sintesi la corte territoriale che, ai fini della legittimità del licenziamento, rilevava che la condotta del lavoratore aveva determinato il blocco, pur solo delle macchine e l'abbandono del posto di lavoro di cui lo stesso aveva la responsabilità, e che ciò era ancor più grave se si considera che il fatto era notturno, ove presumibilmente minori erano i controlli dei superiori, senza che potesse avere rilievo la lunga carriera lavorativa del dipendente, l’assenza di precedenti sanzioni, la mancanza di alcun danno alla produzione o la lieve sanzione da parte del contratto collettivo, trattandosi di elencazione meramente esemplificativa e rilevando nella fattispecie la posizione di responsabile del reparto del dipendente.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso **** con quattro motivi.

Resiste con controricorso la **** illustrato in memoria.

Con il primo motivo, proposto ai sensi dell'art. 360 n. 3 cpc, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 2119 cc e dell'art. 1 della legge n. 604 del 1966 in relazione agli artt. 72 e 74 del CCNL del settore tessile.

In particolare osserva che la corte piemontese, omettendo una lettura sistematica delle indicate disposizioni contrattuali, non ha considerato che, sulla base delle stesse, l’estrema sanzione del licenziamento è prevista come adeguata solo rispetto alla ipotesi di abbandono del posto di lavoro, che determini pregiudizio all'incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti: circostanze nella specie non sussistenti, essendosi trattalo dei momentaneo allontanamento dalla posizione lavorativa, con permanenza del lavoratore negli stessi locali aziendali, a breve distanza dalla prima e senza alcun danno per la attività produttiva.

Con il secondo motivo, svolto ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 cpc in relazione agli arti. 1455, 2106, 2119, 2697 cc e agli arti 1 e 5 della l. n. 604 dei 1966, il ricorrente si duole che la corte territoriale ha adottato la massima sanzione senza alcuna effettiva indagine circa la posizione di responsabilità dei dipendente, fatta derivare da documenti inutilizzabili (in quanto relativi a procedimenti disciplinari archiviati) e senza accertare la sua riconducibilità al piano tecnico, più che a quello gerarchico.

Con il terzo motivo, il ricorrente prospetta, ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 cpc in relazione agli artt. 1455, 2106, 2119, 2697, 2727 cc e agli artt. 1 e 5 della legge n. 604 del 1966, che la corte di merito ha connotato di particolare gravità il comportamento contestato tenendo conto dell'orario in cui l'episodio si è verificalo senza, tuttavia, accertare l'effettiva assenza di controlli e l'assoluta occasionalità della presenza del direttore nello stabilimento in orario serale.

Con l'ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 cpc, violazione e falsa applicazione degli artt. 1455, 2106, 2119 cc e 116 cpc, nonché vizio dì motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio osservando che la sentenza impugnala, omettendo una valutazione concreta e complessiva dei fatti, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, ha mancato di vagliare la lunga durata del rapporto di lavoro, l'assenza di recidiva e il comportamento successivo stesso del datore di lavoro, il quale si era interessato a reperire al dipendente una nuova occupazione.

I motivi, per la connessione delle argomentazioni e delle problematiche, vanno esaminati congiuntamente e risultano meritevoli dì accoglimento nei limiti che saranno oltre specificati.

Deve premettersi, con riferimento al principio di necessaria proporzionalità fra fatto addebitato e recesso (che costituisce il tema controverso essenziale della presente controversia), come la giurisprudenza di questa Suprema Corte abbia da tempo individuato l'inadempimento idoneo a giustificare il licenziamento in ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione dei rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali (cfr. per tutte Cass. n. 14551/2000; Cass. n. 16260/2004), sicché quel che è veramente decisivo, ai fini della valutazione della proporzionalità fra addebito e sanzione, è l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità che per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza.

Ne deriva che la proporzionalità della sanzione non può essere valutata solo in conformità alla funzione dissuasiva che la stessa sia destinata ad esercitare sul comportamento degli altri dipendenti, dal momento che il principio di proporzionalità implica un giudizio di adeguatezza eminentemente soggettivo, e cioè calibrato sulla gravità della colpa e sull'intensità della violazione della buona fede contrattuale che esprimano i falli contestati, alla luce di ogni circostanza utile (in termini soggettivi ed oggettivi) ad apprezzarne l'effettivo disvalore ai fini della prosecuzione del rapporto contrattuale.

Solo a queste condizioni, del resto, il principio di proporzionalità risulta in grado di influire sui comportamento degli altri dipendenti senza assumere un valore dì "esemplarità" disgiunto dalla misura della responsabilità dei dipendente e dalla conseguente realizzazione dell'interesse aziendale in termini proporzionati alla portata della prima, garantendo in tal modo, per come si è detto, la reale eticità del rapporto.

Sulla base di tale configurazione, spetta, pertanto, al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitatola tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della, sua gravità rispetto ad un utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzi tutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione dei rapporto (ed in specie alla sua durata e all'assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia.

In particolare merita di essere ribadito che, se la nozione di giusta causa è nozione legale ed il giudice non è vincolato alle previsioni contrattuali configuranti detenni nate condotte quali giusta causa di recesso, tuttavia ciò non gli impedisce di far riferimento alle valutazioni che le parti sociali abbiano fatto della gravità di determinate condotte come espressive di criteri di normalità (cfr. Cass. n. 2906/2005), con la conseguenza che il datore di lavoro non potrà in linea di principio (e cioè, in assenza dì puntuali controindicazioni in punto di proporzionalità) irrogare un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione (cfr. Cass. n. S9053/2005).

La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati. In particolare, la corte piemontese, non operando una valutazione coordinala e unitaria dei dati legalmente rilevanti ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione, ha assegnato esclusivo ed autosufficiente rilievo alla posizione (peraltro non formalizzata) di responsabilità del dipendente, senza considerare, nell'ambito di un apprezzamento che doveva essere necessariamente globale e non parcellizzato, innanzi tutto le difformi previsioni della contrattazione collettiva,che, enucleate al fine di "'garantire un rapporto quanto più definito tra sanzione e mancanza", hanno tipizzato espressamente il fatto contestato prevedendo, con riferimento allo stesso, le minori sanzioni della sospensione o della multa; previsioni dalle quali la corte di merito non poteva prescindere, specie in un contesto professionale (sicuramente rilevante ai firn della prognosi circa la correttezza del futuro adempimento) caratterizzato da una durata ultraventennale del rapporto e dall'assenza di precedenti sanzioni.

A ciò si aggiunga che, nella ricostruzione dei fatti (sulla quale pure è pesato il rilievo assorbente ed autosufficiente riconosciuto alla posizione dì responsabilità del dipendente), i giudici di appello hanno omesso di valutare, anche alla luce delle previsioni contrattuali, se si trattò di vero e proprio abbandono del posto di lavoro, ovvero di momentaneo allontanamento dalla postazione lavorativa, con trasferimento per un assai breve arco di tempo in locali attigui a quelli ove erano siti gli impianti (e quindi, dì sospensione del lavoro), così come si è trascurato di considerare il carattere non preordinato della riunione e l'assoluta assenza di danno per la produzione sospesa per non più di dieci minuti).

Il che implica che la corte di merito ha operato una valutazione sostanzialmente astratta della vicenda processuale, incapace di cogliere, attraverso la rilevazione degli elementi sintomatici essenziali della sua gravità, l'effettivo disvalore del comportamento addebitato.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa rimessa ad altra corte territoriale, la quale, decidendo anche in ordine alle spese , provvedere a nuovo esame da compiersi alla luce del seguente principio di diritto :

“In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia dei datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l'influenza che sui rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza”.

Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitatola tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e alice risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un" utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia !a contrattazione collettiva, ma pure all’intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dai dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed in specie alla sua durata e all'assenza di precedenti sanzioni) , alla sua particolare natura e

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Genova.

Così deciso in Roma il 6.5.2009.

Depositata in cancelleria il 22.6.2009.

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