Potrebbe non essere legittimo il licenziamento del dipendente di Bnaca fermato durante un blitz della Poliza con in possesso stanze stupefacenti

Per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. La previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice che deve sempre verificare, stante l'inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione di giusta causa e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Sentenza 26 aprile 2012, n. 6498



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere

Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere

Dott. MANCINO Rossana - Consigliere

Dott. TRICOMI Irene - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17305/2008 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 3 32/2007 della CORTE D'APPELLO SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 28/06/2007, r.g.n. 80/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/01/2012 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l'Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d'Appello di Cagliari, con la sentenza n. 332 del 28 giugno del 2007, pronunciando sull'impugnazione proposta da (OMISSIS) nei confronti della societa' (OMISSIS) spa, avverso la sentenza n. 277 del 2005 del Tribunale di Nuoro, la accoglieva.

Pertanto, in riforma della suddetta pronuncia:

dichiarava illegittimo il licenziamento intimato al (OMISSIS) il 19 marzo 1998 e lo annullava, ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro;

condannava la (OMISSIS) spa al risarcimento del danno nei confronti di (OMISSIS), che liquidava in misura corrispondente alla retribuzione globale di fatto, dal 19 marzo 1998 all'effettiva reintegra, detratto l'aliunde perceptum come risultante dagli atti di causa al fascicolo di ufficio del Tribunale di Nuoro, da maggiorare di interessi e rivalutazione ai sensi dell'articolo 429 c.p.c.;

condannava la (OMISSIS) alla regolarizzazione della posizione contributiva ed assistenziale per le medesime date su indicate;

condannava la (OMISSIS) al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio come liquidate.

2. Il Tribunale aveva respinto la domanda del lavoratore ritenendo legittimo il licenziamento dello stesso.

3. Ricorre per la cassazione della suddetta sentenza resa in grado di appello la societa' (OMISSIS) spa, formulando otto motivi di ricorso, alcuni dei quali articolati in piu' profili.

4. Resiste con controricorso il (OMISSIS).

5. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso e' dedotta violazione o falsa applicazione dell'articolo 2119 c.c., e della Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 1, nonche' degli articoli 122 e 124 del CCNL per il personale delle aree professionali dipendente dalle Banche del 19 dicembre 1994, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; contraddittoria ed illogica motivazione della sentenza, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in merito alla valutazione della lesione del vincolo fiduciario dovuta alla detenzione di sostanze stupefacenti da parte di un impiegato di un Istituto di credito.

Il giudice di secondo grado, del tutto illegittimamente, avrebbe trasferito nell'ambito giusvaloristico la valutazione della "maggiore gravita'" della condotta di spaccio rispetto a quella di mera detenzione di sostanze stupefacenti, ritenendo, di fatto, che l'uso di sostanze stupefacenti non possa in alcun modo rilevare ai fini della valutazione della lesione del vincolo fiduciario intercorrente tra una Banca ed un suo dipendente.

Nella valutazione della lesione del vincolo fiduciario che deve intercorrere tra una banca ed un suo impiegato di alto livello, il giudice dell'appello avrebbe violato o falsamente applicato l'articolo 2119 c.c., e la Legge 15 luglio 196, n. 604, articolo 1, che ne fa richiamo, nonche' gli articoli 122 e 124 del CCNL di settore del 1994, dal momento che anche i fatti extralavorativi possono incidere sulla irrimediabile lesione del vincolo fiduciario, in particolare qualora si tratti di dipendenti di Istituti di credito.

Non si comprende, ad avviso della ricorrente, come il giudice dell'appello possa non avere ritenuto irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario nei confronti di un dipendente di Banca, che, in una complessa operazione delle forze dell'ordine, e' stato trovato in possesso di rilevanti quantita' di diverse droghe.

Appare, poi, incongruo il "distinguo" tra il detentore e lo spacciatore, atteso che tale distinzione e' differenze sul piano penale, rispetto a quello giuslavoristico.

Il quesito di diritto e' stato formulato come segue: se violi l'articolo 2119 c.c., e la Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 1, nonche' gli articoli 122 e 124 del CCNL di settore del 19 dicembre 1994, la sentenza impugnata nella parte in cui qualifica come fatto non costituente giusta causa di licenziamento la condotta di un dipendente di un Istituto di credito, inquadrato nella 3A area professionale, che sia stato trovato, da parte delle forze dell'ordine, in possesso di ingenti quantitativi di droga a prescindere dalla rilevanza penale dei fatti.

La motivazione dei Giudici di merito sarebbe affetta anche da vizio di illogicita' e contraddittorieta'.

Ai fini della valutazione della condotta del lavoratore il giudice di secondo grado ha individuato il maggiore disvalore giuridico e sociale di una condotta di spaccio rispetto a quella di mera detenzione sull'assunto in base al quale solo lo spacciatore frequenterebbe "gente diversa" e sarebbe inserito "in un ambiente ben piu' pericoloso" che, di certo, "puo' costituire una giusta causa del venir meno del rapporto fiduciario, anche tenuto conto della qualita' di istituto di credito del datore di lavoro".

La motivazione della sentenza d'appello e' viziata e risulta palesemente illogica e contraddittoria nella parte in cui esclude che anche il detentore di sostanze stupefacenti frequenti ambienti "pericolosi" o "gente" poco raccomandabile, proprio perche' e' il detentore, appunto, che si deve -necessariamente - rivolgere allo spacciatore per potersi procurare la droga, frequentando, quindi, gli stessi ambienti ed essendo parte del medesimo "gruppo" sociale.

La frequentazione degli stessi ambienti sociale e della stessa "gente" determina necessariamente una lesione del vincolo fiduciario intercorrente tra il datore di lavoro e il prestatore soprattutto nell'ipotesi, come quella del caso di specie, in cui il lavoratore e' dipendente di un Istituto di credito, rapporto di lavoro che necessita l'adozione di condotte assolutamente trasparenti e che e' inconciliabile ed incompatibile con i comportamenti posti in essere dal lavoratore.

2. Con il secondo motivo d'impugnazione e' prospettata violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, dell'articolo 115 c.p.c., e dell'articolo 2697 c.c., ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte d'appello ha fatto ampio ed erroneo riferimento alla figura della nozione dei fatti di comune esperienza.

Il giudice di secondo grado avrebbe, infatti, fondato la propria decisione sulla valutazione (basata su un fatto "notorio") che l'uso di hashish e di marijuana non comporterebbe assuefazione, non determinerebbe la modificazione della personalita' e avrebbe un costo modesto. Cio' comporterebbe l'inesistenza di alcun pericolo per l'Istituto di credito, anche dal punto di vista della salvaguardia della immagine.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se violi l'articolo 115 c.p.c., comma 2, e l'articolo 2697 c.c., la sentenza impugnata nella parte in cui qualifichi come fatto notorio:

l'insussistenza di alcuna dipendenza derivante dall'uso di sostanze stupefacenti quali l'hashish e la marijuana;

che l'utilizzo di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) non modifichi la personalita' dell'individuo;

che l'hashish e la marijuana hanno un costo di molto inferiore a quello di altre droghe;

che l'uso di hashish e di marijuana determinerebbe un disvalore sociale minore rispetto all'uso di altre droghe, anche con riferimento al danno all'immagine per la Banca.

3. Con il terzo motivo di ricorso e' dedotta violazione o falsa applicazione dell'articolo 2119 c.c., e della Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 1, nonche' degli articoli 122 e 124 del CCNL di settore del 19 dicembre 1994, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omessa, insufficiente e/o contraddittoria ed illogica motivazione della sentenza, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in merito alla valutazione della Corte d'Appello relativa alla mancata modificazione della personalita' dell'individuo in caso di utilizzo di sostanze stupefacenti quali l'hashish e la marijuana e sul mancato danno all'immagine in capo alla Banca in caso di utilizzo da parte di un suo dipendente di droghe c.d. leggere.

Il quesito di diritto ha il seguente contenuto: se violi l'articolo 2119 c.c., e la Legge 15 luglio 196, n. 604, articolo 1, nonche' gli articoli 122 e 124 del CCNL di settore del 1994, la sentenza impugnata nella parte in cui qualifica come fatto non costituente la giusta causa di licenziamento la condotta di un dipendente di un Istituto di credito che utilizzi sostanze stupefanti "leggere", specie allorche' di tale uso venga data pubblicita' attraverso gli organi di stampa, determinando un grave danno, quantomeno d'immagine, per la Banca.

Tale punto della sentenza sarebbe, altresi', affetto da vizio di omessa, insufficiente e/o contraddittoria oltre che illogica motivazione, con riferimento all'affermazione secondo cui l'uso di droghe c.d. leggere non determinerebbe una modificazione dello stato sensoriale dell'individuo, e nella parte in cui rileva che l'utilizzo di tali sostanze stupefacenti non avrebbe provocato alcun danno alla Banca datrice di lavoro.

4. Con la quarta censura e' prospettata omessa, illogica e contraddittoria motivazione della sentenza sul punto relativo alla valutazione di abitualita' del consumo di droghe e di tossicodipendenza del resistente (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La motivazione del Giudice d' Appello sarebbe viziata e risulterebbe omissiva, insufficiente e/o contraddittoria ed illogica nella parte in cui afferma che "presuntivamente" il lavoratore non doveva essere ritenuto un abituale consumatore di sostanze stupefacenti leggere e/o pesanti.

5. Con il quinto motivo di ricorso e' dedotta violazione o falsa applicazione dell'articolo 2119 c.c., e della Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 1, nonche' degli articoli 122 e 124 del CCNL di settore del 1994, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; contraddittoria ed illogica motivazione della sentenza ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in merito alla comparazione tra il consumo di sostanze stupefacenti e l'uso di alcool.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se violi l'articolo 2119 c.c., la Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 1, e gli articoli 122 e 124 del richiamato CCNL del 19 dicembre 1994, la sentenza impugnata nella parte in cui qualifica come fatto non costituente giusta causa di licenziamento la condotta di un dipendente di un Istituto di credito che sia stato trovato da parte delle forze dell'ordine in possesso di ingenti quantitativi di droga, erroneamente equiparandola, sotto il profilo della gravita', alla condotta del dipendente che abbia acquistato un ingente quantitativo di sostanze alcoliche.

Sul punto, la sentenza d'appello e' affetta anche da un ulteriore vizio di contraddittorieta' della motivazione.

La motivazione dei Giudici di Appello sarebbe viziata e contraddittoria nella parte in cui parifica la condotta del dipendente di un Istituto di credito che si "ubriachi" a quella di un lavoratore di una banca che faccia uso di sostanze stupefacenti quali hashish e marijuana, ritenendo, di conseguenza, essa condotta insufficiente a rappresentare giusta causa di licenziamento.

6. Con il sesto motivo d'impugnazione e' rilevata contraddittorieta' e illogicita' della motivazione della sentenza sul punto relativo al convincimento giudiziale che la condotta del lavoratore sarebbe stata legittimante il licenziamento solo se lo stesso dipendente avesse svolto attivita' lavorativa di cassiere o di addetto ai rapporti con la clientela, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In ogni caso, la motivazione e' illogica e contraddittoria in quanto, nell'esprimere tale convincimento, il giudice di secondo grado ha ritenuto che il lavoratore non potesse svolgere le mansioni suddette (rapporti con clienti e/o maneggio denaro) per il livello inquadramentale di appartenenza, mentre, proprio per in ragione di detto livello (3A area professionale, 1 livello), lo stesso aveva (o poteva avere) rapporti con la clientela e gestire direttamente denari.

7. Con il settimo motivo di impugnazione si prospetta violazione o falsa applicazione dell'articolo 2119 c.c., e della Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 1, nonche' degli articoli 122 e 124 del CCNL di settore del 1994; nonche' violazione o falsa applicazione della Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 7, dell'articolo 2103 c.c., degli articoli 110 e 122 del suddetto CCNL, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contraddittorieta' e illogicita' della motivazione della sentenza, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in merito al giudizio di proporzionalita' tra condotta e sanzione irrogata, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il quesito di diritto ha il seguente oggetto: se violi l'articolo 2119 c.c., e la Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 1, nonche' gli articoli 122 e 124 dell'indicato CCNL, e ancora se violi la Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 7, l'articolo 2103 c.c., gli articoli 110 e 122 del medesimo CCNL, la sentenza impugnata nella parte in cui qualifica come non proporzionato il licenziamento irrogato nei confronti di un dipendente di un Istituto di credito che sia stato trovato in possesso di rilevati quantitativi di droghe, ritenendo, fra l'altro, e decisivamente, non realizzatosi un danno all'immagine per la Banca ricorrente, ed affermando che tale danno sarebbe stato comunque ovviabile per mezzo del trasferimento del dipendente.

L'erroneita' della valutazione compiuta dalla Corte d'Appello in merito all'assenza di un danno a carico della Banca, per l'asserita mancanza di pubblicita' negativa derivante dalla condotta posta in essere dal lavoratore, come l'incongruita' e illegittimita' della "soluzione" proposta dalla Corte medesima (trasferimento disciplinare), viziano altresi' la motivazione della sentenza, che risulta altresi' illogica e contraddittoria su un punto decisivo, rappresentato dalla proporzionalita' (o meno) del licenziamento.

8. Con l'ultimo motivo di ricorso e' dedotta violazione o falsa applicazione dell'articolo 1227 c.c., ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il quesito di diritto e' cosi' articolato: se violi l'articolo 1227 c.c., la sentenza impugnata nella parte in cui ritiene non rilevante, ai fini della quantificazione del danno conseguente ad un illegittimo licenziamento, il fatto che il dipendente abbia atteso, dalla data del recesso datoriale, un lasso di tempo di circa cinque anni per avviare la tutela giudiziaria.

9. I suddetti motivi di impugnazione devono essere trattati congiuntamente, in quanto gli stessi sono connessi poiche', tutte le pur varie censure, con gli stessi prospettate, vertono sulla motivazione in base alla quale il giudice di appello ha ritenuto il licenziamento intimato illegittimo, per non essere commisurata detta sanzione alla condotta del lavoratore. I motivi di ricorso sono fondati.

10. Va rilevato anzitutto che, in ordine ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la sussistenza o meno di una giusta causa di licenziamento, la giurisprudenza e' pervenuta a risultati sostanzialmente univoci affermando ripetutamente (come ripercorso in Cass., n. 5095 del 2011) che per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravita' dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensita' dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalita' fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. Anche nell'ipotesi in cui la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento quale giusta causa di licenziamento, il giudice investito della legittimita' di tale recesso deve comunque valutare alla stregua dei parametri di cui all'articolo 2119 c.c., l'effettiva gravita' del comportamento stesso alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, con l'ulteriore precisazione secondo cui la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice, dato che questi deve sempre verificare, stante l'inderogabilita' della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione di giusta causa, di cui all'articolo 2119 c.c., e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalita', il fatto addebitato sia di entita' tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell'elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore (Cass., n. 16260 del 2004, Cass., n. 5103 del 1998).

E' stato altresi' precisato (Cass., n. 25743 del 2007) che il giudizio di proporzionalita' o adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso - istituzionalmente rimesso al giudice di merito - si sostanzia nella valutazione della gravita' dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la

circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" di cui all'articolo 1455 c.c., sicche' l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (Legge n. 604 del 1966, articolo 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (articolo 2119 c.c.).

10.1. Tale giudizio e' rimesso al giudice di merito la cui valutazione e' insindacabile in sede di legittimita' se sorretta da adeguata motivazione, dovendo ritenersi (Cass. n. 21965 del 2007) al riguardo che spetta al giudice di merito procedere alla valutazione della proporzionalita' della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non e' rinnovabile in sede di legittimita', bensi' censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (cfr., altresi', ex plurimis, Cass. n. 6823 del 2004).

10.2. In tema di ambito dell'apprezzamento riservato al giudice del merito, e' stato condivisibilmente affermato (cfr. fra le altre, Cass. n. 8254 del 2004) che la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto, e' una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realta' da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.

Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione e' quindi deducibile in sede di legittimita' come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici.

A sua volta, Cass. n. 9266 del 2005 ha ulteriormente precisato che l'attivita' di integrazione del precetto normativo di cui all'articolo 2119 c.c., (norma c.d. elastica) compiuta dal giudice di merito - ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento - mediante riferimento alla "coscienza generale", e' sindacabile in cassazione a condizione, pero', che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli "standards", conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realta' sociale.

11. Il giudice di appello ha affermato che "la detenzione di sostanze stupefacenti non va condivisa, socialmente puo' destare scalpore, ma, da un lato, va diversamente valutata la condotta di colui che la detiene per uso personale e colui che invece la detiene a funi di spaccio, possesso che evidentemente comporta frequentazioni di gente diversa, l'inserimento in un ambiente ben piu' pericoloso, che certo puo' costituire una giusta causa del venir meno del rapporto fiduciario, anche tenuto conto della qualita' di istituto di credito del datore di lavoro. Si tratta dunque di una condotta molto meno grave, il che non puo' non avere riflessi anche sulla valutazione disciplinare.

E che questa sia la esatta ricostruzione della vicenda, tenuto conto degli elementi emersi in sede penali nessun dubbio puo' esservi, la detenzione non era a fine di spaccio.

La natura della sostanza stupefacente detenuta pure ha un peso non irrilevante, sempre dal punto di vista della compromissione dell'elemento fiduciario. Difatti, diverso e' detenere eroina o crak, dal detenere mariuana e hascish, notoriamente diversi essendo gli effetti dell'uso dell'una e dell'altra, che nel fumo non danno assuefazione, ne' inducono modifiche della personalita', sostanze che hanno un costo modesto, che verosimilmente chiunque puo' permettersi di affrontare, senza percio', anche in questa ipotesi costituire pericolo per l'istituto di credito datore di lavoro e tenuto conto del disvalore sociale diverso, anche della sua immagine. Vero che un discorso diverso puo' esser fatto per la cocaina, ma la quantita' rinvenuta al possesso al (OMISSIS) non fa certo presumere che ne fosse un abituale consumatore, poiche' se tale fosse stato non si sarebbe accontentato di merce di qualita' cosi' infima e di una cosi' scarsa dose".

11.1. Il giudice di secondo grado ha affermato, altresi', "dunque si puo' affermare che l'episodio che ha visto coinvolto il (OMISSIS) attiene alla sua sfera rigorosamente privata, atteso che e' accaduto in piena estate, in zona di mare e la notte tra sabato e domenica, non e', nella sua materialita' molto piu' grave di quello del dipendente che viene trovato nella notte tra sabato e domenica, ubriaco, e abbia acquistato una massiccia dose di alcolici, non consente di affermare la qualita' di tossicodipendente dell'appellante, che e' comunque difficilmente ipotizzabile per sostanze come quelle detenute, ne' quella di spacciatore, e se e' pure astrattamente idoneo a fondare una sanzione disciplinare, non potendo essere condiviso, non certo quella espulsiva, ovvero la piu' grave", anche in ordine alla ritenuta pubblicita' negativa, che sarebbe stata risolvibile col trasferimento ad altra sede.

12. La sentenza della Corte d'Appello di Sassari si articola in una valutazione non adeguatamente motivata, ne' coerente sul piano logico, e non rispettosa dei principi giuridici in precedenza indicati.

Le considerazioni del giudice di secondo grado, in ordine agli effetti complessivi delle sostanze stupefacenti in questione, anche in relazione agli effetti delle sostanze alcoliche, alle condizioni di tempo e luogo, ai riflessi sociali, poste come presupposto della valutazione sulla gravita' della condotta del lavoratore, nel giudizio di proporzionalita', sono assertive, non fondate su prove, e non possono essere ricondotte ai canoni giuridici delle massime di esperienza, o dei fatti notori, come precisati dalla giurisprudenza di questa Corte, sicche' non risulta estrinsecato il complessivo percorso logico-motivazionale.

Delle massime o nozioni di comune esperienza il giudice e' tenuto ad avvalersi, ai sensi dell'articolo 115 c.p.c., come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove che l'argomentazione di tipo presuntivo, intese, tuttavia, come proposizioni di ordine generale tratte dalla reiterata osservazione dei fenomeni naturali o socioeconomici, (Cass., n. 22022 del 2010, n.20313 del 2011).

Si e' statuito, inoltre, che, allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni - le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito - rientra nei compiti di quest'ultimo il giudizio circa l'idoneita' degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell'"id quod plerumque accidit", essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimita' se sorretto da motivazione immune dal vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravita', della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento cosi' frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (Cass., n. 26022 del 2011).

L'attivita' di integrazione del precetto normativo di cui all'articolo 2119 c.c., compiuta nella specie dal giudice di merito, ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento, si avvale di una motivazione carente e non adeguata, che non fa corretta applicazione dei principi sopra richiamati.

13. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Cagliari in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Cagliari in diversa composizione.
 

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