Sui presupposti dell'intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro

In conformità alla ratio legis di protezione dei lavoratori da forme di sfruttamento conseguenti alla dissociazione tra la titolarità formale del rapporto e la sua effettiva destinazione, cioè fra l'autore dell'assunzione e l'effettivo beneficiario delle prestazioni lavorative, il divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro di cui all'articolo 1 della legge 1369/1960 (non eliminato dalla disciplina, di cui alla legge 196/1997 istitutiva del lavoro interinale, e venuto meno soltanto con il Dlgs 276/2003 il cui comma 1 dell'articolo 85, lettere c) e f), ha espressamente abrogato la legge 1369/1960), operava oggettivamente, prescindendo dall'intento fraudolento o simulatorio delle parti e anche in un momento successivo alla costituzione del rapporto, potendo, inoltre, la sua violazione essere commessa anche da soggetti titolari di una propria organizzazione autonoma, che professionalmente avessero assunto appalti regolari di opere e servizi, qualora in concreto avessero posto in essere un contratto di fornitura di manodopera, di modo che la situazione effettiva della prestazione di lavoro a favore e sotto il potere direttivo dell'interponente era sufficiente a realizzare la fattispecie legale della violazione del divieto e a giustificare la conseguenza che i lavoratori fossero considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze del soggetto che ne aveva effettivamente utilizzato le prestazioni lavorative. (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 13 novembre 2007, n. 23569)



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Torino FE.Gi. conveniva in giudizio la s.p.a. L'. SA. e la s.r.l. CE., chiedendo dichiararsi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la prima societa' a decorrere dal 1 gennaio 1991, con inquadramento in categoria E 1 del ccnl chimici e con condanna della societa' al pagamento di euro 13.323,59, oltre a quanto maturato dal maggio 2001. In subordine chiedeva la condanna di entrambe le societa', in solido, al pagamento della stessa somma;

Chiedeva inoltre dichiararsi il suo diritto a percepire i buoni pasto per ogni giorno di presenza al lavoro dal gennaio 1996.

Esponeva che, sebbene formalmente dipendente prima della ditta Ar., poi della Ca. Tr. di Ar. An. ed infine della Ce. s.r.l., ditte che avevano acquisito servizi in appalto da svolgersi presso la sede L'., aveva sempre lavorato sotto le direttive di personale L'., dapprima come magazziniere e commesso presso lo spaccio, poi come addetto allo smistamento interno della posta.

Invocava quindi della Legge n. 1369 del 1960 articolo 1 o, in subordine, l'articolo 3.

Le societa' convenute, costituitesi, contestavano le domande.

Disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti della Ca. Tr., si costituiva Ar. Fr., chiedendo anch'egli la reiezione del ricorso.

Al termine dell'istruttoria il Tribunale condannava le societa' convenute, in solido, al pagamento dei buoni pasto dal 1 gennaio 1996 alla data della sentenza, oltre rivalutazione ed interessi.

Il Tribunale riteneva che effettivamente vi fosse stata interposizione fittizia di manodopera nel periodo dell'appalto con la Ca. Tr.;

Che, con il subentro della Ce. e la stipulazione di un nuovo contratto di lavoro con tale ditta in data 1.1.1996, vi fosse stata novazione rispetto alla situazione giuridica preesistente, con una diversa organizzazione del lavoro e la presenza di un responsabile della ditta appaltatrice all'interno della ditta L'.. Accertava che, a seguito di accordo sindacale del 5 aprile 1996, il ricorrente fruiva del trattamento economico corrispondente a quello del livello F del ccnl chimici applicato da L'..

L'appello del lavoratore - che: a) lamentava che il primo giudice, pur avendo ritenuto la sussistenza della intermediazione di cui della Legge n. 1369 del 1960 articolo 1 per il primo periodo, aveva omesso di dichiararla in dispositivo;

b) negava la novazione veniva accolto dalla Corte di Appello di Torino con sentenza dell'11 / 16 marzo 2005.

I giudici di secondo grado, rilevato che l'abrogazione della Legge n. 1369 del 1960 ad opera del Decreto Legislativo n. 276 del 2003 non incideva sulla fattispecie in esame, svoltasi sotto il vigore della vecchia legge, condividevano il giudizio del primo giudice circa la sussistenza di un appalto di manodopera quando il lavoratore era formalmente alle dipendenze della Ca..

Da cio' facevano derivare, a norma della Legge 1369 del 1969, articolo 1, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con L'..

Affermavano che tale rapporto non era mai stato interrotto e che la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato tra l'appellante e la Ce. con decorrenza dal 1 gennaio 1996 non aveva effetti novativi rispetto al rapporto di lavoro costituito ex lege, sia perche' la societa' L'. non aveva partecipato al negozio giuridico (il contratto tra Fe. e Ce.) per mezzo del quale si sarebbe realizzata la novazione, sia perche' non risultava un animus novandi, vale a dire la volonta' di estinguere l'obbligazione precedente, mancando ogni pattuizione fra le parti del rapporto originario (Fe. e L'.).

Aggiungevano che anche se il lavoratore non era stato consapevole di essere giuridicamente un dipendente L'., tale situazione soggettiva non era sufficiente a sanare la violazione delle disposizioni inderogabili Legge n. 1369 del 1960 articolo 1 che operano oggettivamente.

Anche la diversa organizzazione del lavoro introdotta dalla Ce., peraltro solo alcuni mesi dopo il subentro nell'appalto, attraverso la presenza di un proprio responsabile all'interno della sede della committente, non aveva, ad avviso della Corte di Torino, efficacia novativa;

Anzi era stato accertato, attraverso le testimonianze F. e ME., che anche all'inizio dell'appalto Ce. la situazione rientrava nell'ambito della intermediazione (con la conseguenza che una successiva diversa situazione non poteva ugualmente sanare una pregressa situazione illecita).

I giudici di appello condannavano quindi la societa' L'. Sa. a pagare a Fe.Gi. la somma di euro 13.323,59, oltre rivalutazione ed interessi, ed oltre alle differenze successive al maggio 2001; assolveva Ce. dalla domanda relativa ai buoni pasto.

Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando quattro motivi di censura, la s.p.a. L'. SA.. Fe.Gi. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato, articolato in due motivi.

La Ce. e Ar.Fr. non si sono costituiti.

La societa' ricorrente ha depositato memoria, con la quale, fra l'altro, invoca un precedente di questa Corte, la sentenza n. 21818 del 2006, resa nel giudizio fra essa societa' e Be. Mo. su una vicenda che definisce del tutto analoga.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Ricorso principale e ricorso incidentale vanno preliminarmente riuniti (articolo 335 c.p.c.).

Va respinta la eccezione di irrituale notifica del ricorso principale, avanzata dal resistente.

Il ricorso principale e' stato notificato il 4 luglio 2005 a Fe.Gi. presso l'avv. ASSIRELLI (che lo aveva rappresentato e difeso in appello), in via Ponza 3;

E' stato ricevuto da un collega dell'avvocato Assirelli.

Parte resistente sostiene che il ricorso doveva essere notificato al sig. FE. personalmente, per essersi l'avvocato AS. cancellato dall'albo degli avvocati per pensionamento, e per essere tale circostanza nota alla societa' per essere stato dichiarata in altri processi ove la stessa e' parte.

L'eccezione non e' fondata, atteso che nel giudizio di secondo grado di questa controversia, conclusosi con la sentenza qui impugnata, non risulta che l'avv. Assirelli abbia dichiarato la cancellazione dall'albo, ne' che la questione sia stata sollevata dai contro interessati;

Mentre le dichiarazioni effettuate in altri processi non hanno rilevanza in questo.

E comunque la costituzione del sig. FE., con il deposito del controricorso con ricorso incidentale, ha sanato ogni eventuale nullita' (articolo 156 c.p.c., u.c.).

2. Ricorso principale.

La difesa della societa' ricorrente denuncia:

a) erronea applicazione della legge civile sostanziale, con particolare riferimento all'istituto della novazione;

b) erronea applicazione dei principi di diritto regolanti la formazione dei negozi giuridici bilaterali, con particolare riferimento alla manifestazione della volonta', al recepimento della stessa e alla causa dei negozi;

c) erronea applicazione dei principi stabiliti dalla legge in materia di ricostruzione della volonta' delle parti;

d) erronea applicazione della legge processuale per omessa o illogica delibazione in ordine al sopravvenuto Decreto Legislativo n. 276 del 2003 e alle ragioni richiamate alle lettera b e c.

Deduce che, "ammesso e non concesso che un qualche rapporto fosse sorto fra il PE. e la conchiudente" nel periodo precedente l'appalto con Ce., tale rapporto doveva intendersi risolto con le tacite dimissioni del lavoratore, che aveva stipulato un nuovo contratto di lavoro con Ce..

Richiama l'incontro delle volonta' dei contraenti Ce. e FE., affermando che la prima era tenuta all'assunzione del ricorrente anche in ragione di precise disposizioni contrattuali. Richiama, inoltre l'accordo intervenuto tra il Fe., ed altri suoi colleghi, e la Ce. il 5 aprile 1996.

Invoca l'affidamento, come fiducia del destinatario della dichiarazione nella volonta' del dichiarante, l'interpretazione del contenuto della dichiarazione, il comportamento successivo del lavoratore, che ha lavorato per oltre cinque anni alle dipendenze della Ce. prima di introdurre questa causa.

Assume che l'accordo sindacale in discussione era "indirizzato a dare spessore ad un rapporto di lavoro connotato da un'avvenuta novazione soggettiva (quale conseguente all'immutazione del datore di lavoro: dalla CA. alla CE.), ed in parte oggettiva (quale afferente a mansioni, inquadramento e compensi) implicitamente (ma non equivocamente) rinunziando ad ogni eventuale eccezione pregressa in altre parole, guanto meno alla (ri) costituzione del rapporto di lavoro con la Societa' qui conchiudente."

Lamenta che i giudici di appello non hanno adeguatamente considerato tali elementi.

Aggiunge che la domanda del sig. Fe. non poteva essere qualificata come nascente da un'obbligazione ex delictu, atteso che la fattispecie, anche di rilevanza penale, di cui alla Legge n. 1369 del 1960 e' stata eliminata con la abrogazione di questa legge da parte del Decreto Legislativo n. 276 del 2003.

3. Ricorso incidentale condizionato.

La difesa Fe. denuncia, in caso di accoglimento del ricorso principale:

a) omessa delibazione degli ulteriori motivi di appello, dichiarati assorbiti dalla Corte di Torino, e diretti a dimostrare che anche nel periodo Ce. il FE. aveva operato come dipendente L'., con mansioni estranee ai servizi appaltati;

b) omessa delibazione di ulteriori motivi di appello, con i quali si invocava, in subordine, la ricorrenza della fattispecie di cui Legge n. 1369 del 1960 articolo 3.

4. Il ricorso principale non e' fondato.

Va preliminarmente ribadito che l'accertamento e la valutazione delle circostanze di fatto, cosi' come l'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, sono riservati al giudice di merito e censurabili in sede di legittimita' solo per vizi di motivazione e, per quanto concerne l'interpretazione di atti negoziali, anche per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale.

Sicche', attesi i limiti del sindacato della Cassazione in materia, non costituisce precedente in senso tecnico la sentenza che abbia accolto o rigettato un ricorso per la cassazione di una decisione di merito che abbia adottato una determinata valutazione di analoghi o anche identici elementi di fatto, o una certa interpretazione di norme contrattuali collettive di diritto comune; e non puo' parlarsi di contrasto di giurisprudenza quando due opposte valutazioni o interpretazioni siano entrambe convalidate o censurate in sede di legittimita', a seconda del superamento o meno del suddetto limitato controllo (Cass. 11 luglio 1996 n. 6327; 23 maggio 2001 n. 7039; 5 giugno 2003 n. 9024; 12 maggio 2006 n. 11037).

La sentenza n. 21818 del 2 maggio/12 ottobre 2006 non costituisce quindi un precedente in senso tecnico; tanto piu' se, come risulta dalla sua lettura, le valutazioni censurate con il relativo ricorso non erano coincidenti con quelle risultanti dalla sentenza qui impugnata.

Tanto chiarito, osserva il Collegio che i giudici di appello hanno condiviso la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza di una ipotesi di intermediazione di manodopera vietata durante la gestione CA. e la costituzione, ai sensi della Legge 23 ottobre 1960, n. 1369 articolo 1 di un rapporto di lavoro con la committente L'..

Il punto non e' stato oggetto di appello incidentale da parte della societa' qui ricorrente, ne' viene messo in discussione (ancorche' tardivamente) in questa sede. Su di esso sussiste quindi il giudicato.

La difesa della societa' si limita a criticare la sentenza nella parte in cui ha negato effetti novativi al rapporto di lavoro instaurato con la Ce. dal 1 gennaio 1996, non considerando le clausole dell'accordo stipulato il 5 aprile 1996 fra la Ce. ed i lavoratori, fra i quali il FE..

Osserva il Collegio che l'accordo del 5 aprile 1996 - peraltro successivo al passaggio del lavoratore dalla Ca. Tr., formale datrice di lavoro, alla Ce., passaggio avvenuto il 1 gennaio 1996 - non e' stato riportato nel testo del ricorso (con violazione del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione) e che neppure sono state indicate specifiche violazioni delle norme di ermeneutica contrattuale (articolo 1362 c.c., e segg.).

Le censure relative a detto accordo sono pertanto inammissibili.

I giudici di appello hanno escluso che il contratto di lavoro posto in essere da Fe.Gi. con la Ce. possa aver privato il lavoratore della facolta' di far valere, nei limiti della prescrizione, i diritti maturati nei confronti della committente L'. a causa della violazione della norma di cui all'articolo 1 della legge n. 1369 del 1960.

E cio' sia per la mancata partecipazione al contratto della societa' L'., sia per la mancanza di ogni manifestazione di volonta' in senso novativo.

Hanno aggiunto e il punto non e' stato oggetto di censura che il vecchio modello organizzativo della Ca. (modello nel quale erano stati ravvisati gli estremi della intermediazione vietata) non era stato immediatamente sostituito dal nuovo appaltatore (la Ce.), subentrato nel gennaio 1996, ma, secondo le testimonianze F. e ME., cio' era avvenuto solo alcuni mesi dopo;

"il che porta a concludere che, anche all'inizio del nuovo appalto, la situazione rientrasse nell'ambito della intermediazione (con la conseguenza che una successiva diversa situazione non poteva ugualmente sanare una pregressa situazione illecita) ."

(pag. 20 della sentenza).

La motivazione e' corretta e rispettosa del disposto degli articoli 1230 e 1235 c.c., nonche' in linea con quanto gia' chiarito da questa Corte in materia di permanenza, fino all'abrogazione disposta con il Decreto Legislativo n. 276 del 2003 della disciplina di cui alla Legge n. 1369 del 1960:

"In conformita' alla "ratio legis" di protezione dei lavoratori da forme di sfruttamento conseguenti alla dissociazione tra la titolarita' formale del rapporto e la sua effettiva destinazione, cioe' fra l'autore dell'assunzione e l'effettivo beneficiario delle prestazioni lavorative, il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro di cui della Legge n. 1369 del 1960 articolo 1 non eliminato dalla disciplina, di cui alla legge n. 196 del 1997 istitutiva del lavoro interinale, e venuto meno soltanto con il Decreto Legislativo n. 276 del 2003 il cui articolo 85, comma 1, lettera c) ed f), ha espressamente abrogato la Legge n. 1369 del 1960 operava oggettivamente, prescindendo dall'intento fraudolento o simulatorio della parti ed anche in un momento successivo alla costituzione del rapporto, potendo, inoltre, la sua violazione essere commessa anche da soggetti titolari di una propria organizzazione autonoma, che professionalmente avessero assunto appalti regolari di opere e servizi, qualora in concreto avessero posto in essere un contratto di fornitura di manodopera, di modo che la situazione effettiva della prestazione di lavoro a favore e sotto il potere direttivo dell'interponente era sufficiente a realizzare la fattispecie legale della violazione del divieto ed a giustificare la conseguenza che i lavoratori fossero considerati - a tutti gli effetti - alle dipendenze del soggetto che ne aveva effettivamente utilizzato le prestazioni lavorative." (Cass. 18 agosto 2004 n. 16146).

Nella fattispecie in esame e' corretta l'affermazione dei giudici di appello: la mancata partecipazione della societa' L'. al contratto tra il FE. e Ce. esclude che la societa' ricorrente, divenuta titolare del rapporto di lavoro per effetto della Legge 23 ottobre 1960, n. 1369 articolo 1 u.c., possa avere validamente sostituito un altro soggetto a se stessa.

E cio' a prescindere dalla inammissibilita' delle censure avverso l'accordo collettivo non trascritto.

Ed ancora congruamente motivato, in relazione alle testimonianze richiamate, e neppure censurato, e' l'altro apprezzamento di fatto dei giudici di appello, sulla permanenza, nei primi mesi del 1996, allorquando formale datrice di lavoro era divenuta Ce., della stessa situazione illecita di intermediazione nei primi mesi del 1996: apprezzamento che risulta anch'esso decisivo.

Per tutto quanto esposto il ricorso principale va rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Le spese di giudizio vanno poste a carico della soccombente (articoli 91 e 385 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta quello principale e dichiara assorbito l'incidentale condizionato; Condanna la societa' L'. al rimborso, in favore del resistente Fe.Gi., delle spese di giudizio, in euro 37,00, spese ed euro 2.000,00, per onorario di avvocato, oltre spese generali, IVA e contributo previdenziale.

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