Sulla responsabilità disciplinare del giornalista

Il direttore di giornale deve garantire la correttezza e la qualità dell'informazione; a questo fine è tenuto a verificare se la pubblicità sia chiaramente riconoscibile come tale, distinguendosi da ogni altra forma di comunicazione al pubblico mediante modalità grafiche facilmente riconoscibili; in tale verifica non rileva il grado di cultura dei lettori, essendo a tutti accordata tutela; ove la verifica conduca a risultati negativi, deve impedire la pubblicazione del testo contenente la pubblicità, incorrendo altrimenti nelle sanzioni comminate dalla legge 69/1963. (Corte di Cassazione Sezione 3 Civile, Sentenza del 20 ottobre 2006, n. 22535)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Roberto PREDEN - Presidente

Dott. Luigi Francesco DI NANNI - Consigliere

Dott. Bruno DURANTE - Consigliere Relatore

Dott. Mario FINOCCHIARO - Consigliere

Dott. Alberto TALEVI - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

In.El., elettivamente domiciliata in Ro. via Or. (...), presso lo studio dell'avvocato Ma.Ca., che la difende, giusta delega in atti;

ricorrente

contro

Consigli Nazionale Ordine Giornalisti;

e sul 2° ricorso n° 08428/06 proposto da:

Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giormnalisti, in persona del Pr. dott. Lo.De.Bo., elettivamente domiciliato in Ro. via Pa. (...) - presso lo studio dell'avvocato Ro.Gu., che lo difende unitamente all'avvocato Ga.Gi. giusta delega in atti;

ricorrente incidentale

nonché

contro

In.El.;

intimata

avverso la sentenza n. 52/05 della Corte d'Appello di Milano, prima sezione civile, emessa il 23/11/05, depositata il 17/12/05, R.G. 448/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/09/06 dal Consigliere Dott. Bruno DURANTE;

udito l'Avvocato Gu.Ro.;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario Giovanni RUSSO, che ha concluso per l'inammissibilità o rigetto del ricorso principale, accoglimento del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti ha inflitto ad Is.In., direttrice del settimanale "Be.", la sanzione della censura per avere violato gli artt. 2 e 48 legge professionale, 44 C.C.N.L. giornalisti, realizzando illegittima commistione fra pubblicità ed informazione in undici numeri del. settimanale.

Il tribunale di Milano ha rigettato il gravame della giornalista e compensato le spese; la corte di appello di Milano ha confermato la decisione senza nulla disporre in: ordine alle spese, considerando quanto segue.

La confusione fra informazione e messaggi pubblicitari è nella specie indubitabile e non è neppure contestata con specifiche argomentazioni; essa è realizzata con modalità tali da non potere essere percepita con immediatezza dai lettori del settimanale che appartengono alla categoria di persone ingenue e di scarsa cultura che la norma mira precipuamente a tutelare; in particolare nessuno dei mezzi pubblicitari è segnalato come tale, ma sono tutti mescolati ad articoli di informazione senza alcuna altra ragione che quella di reclamizzare prodotti o imprese produttrici; il numero e la gravità degli episodi rendono impossibile accogliere l'istanza di sostituzione della sanzione della censura con quella dell'avvertimento.

La In. ha proposto ricorso per cassazione sulla base dì due motivi; il consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con un motivo, depositando memoria; il P.M. ha chiesto il rigetto del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi sono proposti contro la medesima sentenza ed a norma dell'art. 335 c.p.c. vanno riuniti.

2. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione "degli artt. 2 e 48 L. 69/1963, 44 C.C.N.L. giornalisti, 1 e 4 D.Lgs. 74/1992"; mancanza di motivazione; il consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti e quello regionale non hanno proceduto a rituale contestazione, essendosi entrambi limitati a recepire gli esposti del comitato di redazione del giornale; ad ogni modo, il fatto centrale dell'addebito è di avere "posto a corredo di articoli di contenuto incontestato foto distribuite da case produttrici dì "cosmetici e capi di abbigliamento", sicché all'In. può tutt'al più attribuirsi di non avere adoperato foto scattate appositamente; tale comportamento non è riconducibile all'ipotesi delineata negli articoli sopra citati consistente nella "diffusione di notizie che, pur di servizio, costituiscano sponsorizzazione subliminale di un prodotto commerciale"; esso non è stato neppure assunto autonomamente, ma è stato necessitato da particolari situazioni di natura economica e soprattutto dalla drastica riduzione dei costi imposta dall'editore; ben vero che il direttore del giornale ha il potere - dovere di. garantire la "correttezza e la qualità dell'informazione anche per quanto riguarda il rapporto fra testo e pubblicità", evitando la presenza di pubblicità mascherata; nella specie, tuttavia, non risulta contestata la violazione del menzionato potere - dovere, bensì l'avere utilizzato foto ricevute dagli "uffici stampa" e, come già detto, tanto non concreta l'illecito disciplinare ravvisato; la motivazione della sentenza impugnata è apparente, risolvendosi nell'affermazione che le foto utilizzate negli articoli dì stampa provengono dagli archivi di case produttrici di cosmetici o di abbigliamento senza alcuna valutazione del Le tesi difensive, e si presenta. inoltre contraddittoria.

2.1. Il motivo non può ricevere accoglimento.

2.2. Bisogna riconoscere che, come sostenuto dal P.M., l'irritualità della contestazione dell'addebito disciplinare viene denunciata per la prima volta in questa sede; tanto comporta inammissibilità della denuncia, che è, peraltro, infondata in quanto non viene lamentata alcuna concreta lesione del diritto di difesa.

Senza dire che, come questa Corte ha avuto occasione di affermare (ex plurimis Cass. 6.2.2004, n. 2296), la contestazione dell'addebito disciplinare è completa quando, pur non contenendo minuta e particolareggiata esposizione dei fatti, consenta all'incolpato di svolgere ogni opportuna difesa, come è avvenuto nella specie.

2.3. L'obbligo del direttore del giornale di garantire la correttezza e la qualità dell'informazione anche per quanto concerne il rapporto fra testo e pubblicità deriva dagli artt. 4 4 C.C.N.L. giornalisti e 4 D.Lgs. 74/1992.

Il contenuto dell'obbligo è di rendere la pubblicità chiaramente riconoscibile come tale mediante l'adozione di modalità grafiche di evidente percezione.

Lo scopo è di tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali.

La fascia dei soggetti tutelati si estende a tutti i lettori senza alcuna distinzione in base al grado di cultura.

Può, in sostanza, affermarsi che il direttore, di giornale deve garantire la correttezza e la qualità dell'informazione; a questo fine è tenuto a verificare se la pubblicità sia chiaramente riconoscibile come tale, distinguendosi da ogni altra forma di comunicazione al pubblico mediante modalità grafiche facilmente riconoscibili; in tale verifica non rileva il grado di cultura dei lettori, essendo a tutti accordata tutela; ove la verifica conduca a risultati negativi, deve impedire la pubblicazione del testo contenente la pubblicità, incorrendo altrimenti nelle sanzioni comminate dalla L. 69/1963.

2.4. Nella specie la corte di merito ha ritenuto che in articoli e servizi contenuti nei numeri 16, 17, 19, 20 e 21 dell'anno 1999 della rivista "Be." vi è confusione fra informazione e messaggi pubblicitari, non essendo i messaggi segnalati come tali ed essendo, al contrario, "mischiati ad articoli di informazione, molte volte senza alcun nesso con gli stessi e sempre senza alcuna ragione che non sia quella, subdolamente attuata, di reclamizzare prodotti o imprese produttrici"; ha per questo modo espresso un giudizio di fatto che si sottrae per completezza e correttezza di motivazione ad ogni censura.

2.5. La corte di merito ha affermato a chiare lettere che l'illecito disciplinare in ordine al quale si è concretamente sviluppato il contraddittorio è quello di cui al combinato disposto degli artt. 2 e 48 L. 69/1963, 44 C.C.N.L. giornalisti, 1 e 4 D.Lgs. 74/1992.

Contro questa affermazione, che trae origine dall'esame delle decisioni del consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti e del tribunale di Milano, a nulla vale sostenere immotivatamente, come si fa nel motivo, all'esame, che l'illecito disciplinare si sostanzia, invece, nelle modalità con le quali sono state reperite le foto utilizzate negli articoli pubblicati sul settimanale.

Rimangono, perciò, superate le questioni se tali modalità valessero a concretare alcun illecito disciplinare e particolarmente quello ravvisato e se potessero ritenersi giustificate in considerazione della riduzione dei costì imposta dall'editore.

3. Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia difetto di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di sostituzione della sanzione della censura con quella meno affittiva dell'ammonizione, lamentandosi che la corte di merito abbia apoditticamente affermato che le ragioni addotte dalla parte non valgono ad attenuare la responsabilità e non ha valutato che la situazione, nella quale è venuta a trovarsi la parte stessa, è tale da ridurre, se non elidere, i poteri del direttore del giornale.

3.1. Neppure questo motivo può essere accolto.

3.2. Non pare dubbio che il giudice abbia, l'obbligo di indicare le ragioni per le quali irroga una sanzione anziché un'altra, specialmente in presenza di richiesta tendente ad ottenere l'irrogazione della sanzione meno grave.

La corte di merito ha, peraltro, assolto questo obbligo, avendo spiegato di avere confermato la sanzione della censura m considerazione della pluralità e gravità degli episodi ed avendo aggiunto che i motivi, addotti per ottenere la sostituzione della sanzione non sono idonei allo scopo.

4. In conclusione, il ricorso principale è rigettato.

5. Con l'unico motivo del ricorso incidentale si censura la corte dì merito per non avere pronunciato sulle spese del grado.

5.1. Il motivo è fondato e va accolto, non contenendo la sentenza impugnata alcuna pronuncia in ordine alle spese.

5.2. Pertanto, la detta sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Milano affinché pronunci sulle spese del giudizio di secondo grado.

6. Le spese del giudizio di cassazione vanno poste a carico della ricorrente in applicazione del principio della soccombenza.

P.Q.M.

la Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; accoglie quello incidentale; cassa in relazione e rinvia alla corte di appello di Milano, altra sezione; condanna la In. alle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 1.100, di cui Euro 1.000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

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