tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale è sufficiente la comunicazione degli esuberi per aree funzionali

In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla Legge n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all'articolo 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicche', nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l'organico dell'intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l'imprenditore puo' limitarsi all'indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso alla stregua della classificazione per aree funzionali - ciascuna caratterizzata dall'idoneita' professionale allo svolgimento di una pluralita' di mansioni -, tanto piu' se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all'esito della procedura, che, nell'ambito delle misure idonee ridurre l'impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 11 marzo 2011, n. 5884



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente

Dott. STILE Paolo - rel. Consigliere

Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere

Dott. BERRINO Umberto - Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13633/2009 proposto da:

PO. IT. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell'avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

OR. GI. , elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DELLE MEDAGLIE D'ORO 7, presso lo studio dell'avvocato SILVESTRI FILIPPO LINO JACOPO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati DE STEFANIS CLAUDIO, COLAIACOMO GRAZIELLA, giusta delega in atti;

- controricorrente incidentale -

contro

PO. IT. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell'avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente all'incidentale -

avverso la sentenza n. 6724/2 007 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 04/06/2008 R.G.N. 1289/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/02/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l'Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Roma Or.Gi. , premesso di avere lavorato alle dipendenze della soc. Po. It. con inquadramento in area operativa, profilo professionale "operativo di gestione", impugnava il licenziamento comunicatogli con nota del 19.11.2001 (con effetti dal 31.12.01) all'esito della procedura di cui alla Legge n. 223 del 1991, articoli 4 e 24.

In particolare, lamentava il ricorrente l'illegittimita' dell'impugnato licenziamento per violazione delle norme procedurali poste a base della procedura di mobilita', illegittimita' dei criteri di scelta, omessa previsione di soluzioni alternative al licenziamento, mantenimento in servizio di personale licenziabile.

La societa' Po. It. contestava la fondatezza della domanda, deducendo, in punto di fatto, che nel maggio 2001 erano state rilevate n. 9.000 unita' lavorative eccedenti su tutto il territorio nazionale e, persistendo un deficit ancora pari a 759 mld a fine esercizio 2000 e stante il fallimento delle procedure di mobilita' territoriale interna, era stata costretta, con lettera del 25.6.01, inviata alla RSU, alle segreterie nazionali dei sindacati firmatari del CCNL e al Ministero del Lavoro, ad avviare le procedure di cui alla Legge n. 223 del 1991, articoli 4 e 24; che nel settembre 2001 era stato trasmesso alle OO.SS. un dettagliato prospetto nel quale, per ogni regione italiana, erano state indicate le "eccedenze/esuberi" rilevati all'agosto 2001, ripartiti per settori operativi, regione per regione; che all'esito del confronto, in data 17.10.01, era stato raggiunto l'accordo con il quale si era stabilito che "il rapporto del personale che alla data rispettivamente del 31 dicembre 2001 e del 31 marzo 2002 risulti in possesso dei requisiti per il diritto alla pensione di anzianita' o di vecchiaia; si risolvera' secondo i criteri, modalita' e termini di cui all'allegato n. 1 al presente accordo". In punto di diritto, deduceva che sussistevano le condizioni legittimanti il ricorso alla procedura di licenziamento collettivo e che, comunque, la Legge n. 223 del 1991, devolvendo il controllo di tali condizioni ex ante alle OO.SS., andava intesa nel senso che solo la violazione delle norme procedurali potesse essere oggetto del controllo giudiziale, con esclusione delle indagini di merito circa l'effettivita' dello stato di crisi aziendale e le ragioni economico - produttive sottese all'apertura della procedura. Deduceva altresi' la completezza della comunicazione di avvio della procedura e la legittimita' del criterio di scelta individuato nell'accordo del 17.10.01.

L'adito Tribunale respingeva il ricorso, osservando, in particolare, che era stata rispettata la ratio della normativa di cui alla Legge 223 del 1991, vale a dire quella di porre la controparte (che non e' il singolo lavoratore bensi' le organizzazioni sindacali) nelle condizioni di poter controllare la procedura stessa, intervenire con richieste di chiarimenti, formulare proposte ecc, per addivenire ad accordi volti a determinare le soluzioni possibili. Riguardo, poi, alla legittimita' del criterio di scelta, richiamava, condividendola, la giurisprudenza di legittimita' che lo aveva ritenuto razionalmente giustificato, in quanto tra i meno onerosi per i lavoratori ed altresi' del tutto obiettivo e non discriminatorio.

Avverso tale sentenza proponeva appello l'originario ricorrente, il quale lamentava che la soluzione interpretativa seguita dal primo Giudice ometteva di considerare che il presupposto inderogabile del licenziamento collettivo era costituito dalla "trasformazione o riduzione di attivita' di lavoro", tale da rendere i posti di lavoro esuberanti, non potendosi identificare nel semplice "svecchiamento" del personale, teso alla sostituzione, in tutto o in parte, di personale anziano con personale piu' giovane e meno costoso.

Reiterava le deduzioni e le allegazioni di primo grado, insistendo nelle vantate pretese.

La societa' appellata, costituitasi, contestava la fondatezza dell'appello, del quale chiedeva il rigetto.

Con sentenza del 15 ottobre 2007 - 4 giugno 2008, l'adita Corte d'appello di Roma, in riforma della pronuncia impugnata ed in accoglimento della domanda originaria, dichiarava illegittimo il licenziamento dell' Or. e condannava la spa Po. It. a reintegrarlo nel posto di lavoro nonche' a risarcirgli il danno per tale illegittimo licenziamento, quantificato in misura pari alle retribuzioni globali di fatto perduta dalla data di risoluzione del rapporto sino all'effettiva reintegrazione, oltre contributi previdenziali ed assistenziali.

A sostegno della decisione osservava che la lettera di avvio della procedura di mobilita' doveva ritenersi carente con riferimento all'obbligo, previsto dalla Legge 223 cit., articolo 4, comma 3, della indicazione della collocazione aziendale e dei profili professionali coinvolti nella procedura. Tale carenza finiva col ripercuotersi sulla concreta applicazione del criterio della vicinanza al pensionamento, astrattamente razionale e non di per se' discriminatorio, in quanto il criterio concordato si limitava ad individuare una categoria di personale eccedentario, indipendentemente dalla preventiva definizione della collocazione aziendale degli esuberi; cio' comportava la riferibilita' della applicazione del criterio alla totalita' del personale, coinvolgendo, quindi, nella programmata riduzione del personale, in contraddizione con le cause dichiarate della procedura, anche posizioni di lavoro per settori in cui non si registravano esuberi di dipendenti.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la spa Po. It. con tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria.

Resiste Or.Gi. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e dell'incidentale (articolo 335 c.p.c.).

1. Con il primo motivo di ricorso Po. It. S.p.A., denunciando violazione e falsa applicazione della Legge n. 223 del 1991, articolo 4, comma 3, si sarebbe attenuto ad una concezione estremamente formalistica del precetto legale, trascurando il carattere atecnico e quindi generico dell'espressione "profilo professionale" e che l'adeguatezza della comunicazione si sarebbe dovuta valutare in relazione alle finalita' che il legislatore le assegna.

2. Con il secondo e terzo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione della Legge n. 223 del 1991, articolo 5, e vizio della motivazione, con riguardo alla determinazione dell'ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilita' ed alla individuazione dei settori aziendali interessati alla procedura di cui alla Legge n. 223 del 1991, articolo 4.

3. La Corte, esaminati unitariamente i motivi di ricorso per la connessione tra le diverse censure, li giudica fondati nei sensi e nei limiti delle considerazioni seguenti.

4. Devono essere, in primo luogo, richiamati i principi enunciati dalla giurisprudenza nella Corte nell'interpretazione della Legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni (Legge emanata sullo schema della direttiva Cee 1975/129, cosi' come modificata dalla piu' recente direttiva 1992/56): a) come precisato da Cass. 12 ottobre 1999, n. 11455 e dalle conformi decisioni successive (v. piu' di recente Cass. n. 84/2009; Cass. n.4653/2009, la fattispecie del licenziamento collettivo per riduzione di personale ricorre in presenza dell'operazione imprenditoriale di "riduzione o trasformazione di attivita' o di lavoro" (articolo 24), operazione che, da una parte, esclude dal suo ambito i licenziamenti dovuti a ragioni inerenti alla persona del lavoratore, per l'altra parte esclude anche i licenziamenti individuali per le stesse ragioni oggettive, ancorche' plurimi, qualora non sia siano presenti i requisiti di rilevanza sociale collegati agli indici previsti dalla legge (il numero dei licenziamenti ai sensi dell'articolo 24, comma 1; oppure, indipendentemente dal numero, dalla circostanza che a licenziare sia un'impresa che ha ottenuto l'intervento pubblico della cassa integrazione guadagni, secondo la previsione dell'articolo 4, comma 1);

b) la fattispecie di riduzione del personale regolata dalla Legge n. 223 del 1991, non presuppone necessariamente una crisi aziendale, e neppure un ridimensionamento strutturale dell'attivita' produttiva, potendo il requisito della riduzione o trasformazione di attivita' o di lavoro ravvisarsi nella decisione di modificare l'organizzazione produttiva anche soltanto con la contrazione della forza lavoro, con incidenza effettiva e non temporanea sul solo elemento personale dell'azienda (Cass. 27 aprile 1992, n. 5010; 5 maggio 1995, n. 4874; 21 ottobre 1999, n. 117940);

c) nel disegno legislativo, la fattispecie di licenziamento collettivo per riduzione di personale e' assoggettato a forme di controllo ex ante della decisione imprenditoriale, controllo di tipo sindacale e pubblico, ritenute maggiormente adeguate alla rilevanza sociale del fenomeno rispetto alle tecniche di controllo giudiziale ex post ed a dimensione individuale, restando escluso che la legittimita' del recesso possa dipendere dai motivi della riduzione di personale, non sindacabili, infatti, dal giudice (tanto e' vero che la riduzione di personale "ingiustificata" non e' prevista dalla legge tra i motivi di annullamento dei singolo licenziamento);

d) la qualificazione del licenziamento in base al progetto di riduzione del personale con effetti sociali rilevanti comporta, in attuazione dell'articolo 41 Cost., commi 2 e 3, che l'imprenditore sia vincolato non nell'an della decisione ma soltanto nel quomodo, essendo obbligato allo svolgimento della procedura di cui all'articolo 4, che realizza cosi' lo scopo di procedimentalizzare il potere di recesso, il cui titolare e' tenuto non piu' a mere consultazioni, ma a svolgere una vera e propria trattativa con i sindacati secondo il canone della buona fede; l'operazione imprenditoriale diretta a ridimensionare l'organico si scompone, infine, nei singoli licenziamenti, ciascuno giustificato dal rispetto dei criteri di scelta, legali o stabiliti da accordi sindacali, ma entro una cerchia di soggetti delimitati dal "nesso di causalita'", ossia dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative poste a base della scelta imprenditoriale (arg. ex articolo 5, comma 1, primo periodo);

e) ai due livelli descritti, l'uno collettivo - procedurale, l'altro individuale - causale, corrisponde l'ambito del controllo giudiziale, cui e' estraneo, come detto, la verifica dell'effettivita' e ragionevolezza dei motivi che giustificano, nelle enunciazioni dell'imprenditore, la riduzione di personale (cfr. ex plurimis, Cass. 4970/1999; 11455/1999; 2463/2000; 9045/2000; 6385/03; 13182/2003; 9134/2004; 10590/2005; 528/2008), ed il sistema sanzionatorio di cui all'articolo 5, cosicche' il lavoratore licenziato e' abilitato a far valere l'inesistenza del potere di recesso per violazione delle regole della procedura (inefficacia del negozio risolutivo), ovvero la lesione del diritto ad un scelta imparziale per violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dall'accordo sindacale (annullamento del licenziamento).

5, La sentenza impugnata motiva la decisione con esclusivo riferimento al disposto della Legge n. 223 del 1991, articolo 4, comma 3, nella parte in cui prescrive che la comunicazione preventiva per iscritto ai sindacati deve contenere, oltre all'indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza e l'impossibilita' di altre soluzioni, la precisazione del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonche' del personale abitualmente impiegato, nonche' delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma di messa in mobilita'.

In apparenza, dunque, esercita il controllo giudiziale nell'ambito che la legge gli assegna in ordine al momento procedurale - collettivo; in realta', lo estende indebitamente ai motivi determinanti la scelta imprenditoriale. La Corte distrettuale, infatti, dopo aver premesso, in linea con gli orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimita', che le violazioni della procedura (consistenti, in particolare, nell'insufficienza delle informazioni date alle organizzazioni sindacali) hanno effetti lesivi (anche) dei diritti individuali, con la conseguente irrilevanza, su questo piano, degli accordi sindacali comunque raggiunti (cfr. Cass. S.U. n. 302 e n. 419 del 2000; Cass. n. 15377/2004), ha ritenuto che non fosse stato adempiuto l'onere di indicare la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedente nel presupposto, necessariamente implicito del ragionamento, che non fosse ammissibile ridurre il personale per le causali indicate dall'imprenditore. La decisione, quindi, proprio sulla base degli accertamenti di fatto compiuti dallo stesso giudice di merito e pacifici nella controversia, non e' conforme, prima che al disposto della Legge n. 223 del 1991, articolo 4, comma 3, ai principi sopra riassunti e desumibili dagli articoli 1 e 24 della stessa Legge.

Per questa ragione non e' possibile dare continuita' al precedente costituito da Cass. 11 luglio 2007, n. 15479, che, decidendo su controversia analoga, ha rigettato il ricorso di Po. It. SpA essenzialmente sul rilievo che il giudice del merito aveva correttamente assolto il compito istituzionale di accertare il fatto della insufficienza della comunicazione preventiva di avvio della procedura. Peraltro, va anche ricordato che il diverso segno del rigetto del ricorso dei lavoratori, nella vicenda dei licenziamenti derivati dalla stessa riduzione di personale, e' presente in altre decisioni della Corte (Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541; 14 giugno 2007, n. 13876, non massimata).

6. L'azienda po. aveva avviato la procedura di mobilita' motivandola con l'esigenza di ridurre i costi mediante l'attuazione di una riduzione complessiva di personale; aveva precisato che il ridimensionamento concerneva in varia misura tutti i settori produttivi, tutte le professionalita' impiegate e l'intero territorio nazionale, facendo altresi' presente che le denunciate eccedenze avrebbero potuto avere un impatto sociale minimo nel caso di adozione del criterio di scelta del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione, posseduto da molti dipendenti. Si preannunciava altresi', dopo i licenziamenti, una riorganizzazione del lavoro soprattutto mediante mobilita' geografica del personale. La comunicazione alle organizzazioni sindacali precisava, quindi, il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti suddivisi tra le quattro aree funzionali di inquadramento (area di base, area operativa, area quadri di secondo livello e area quadri di primo livello) e per regione geografica. La sentenza impugnata giudica, sotto questo specifico profilo, insufficiente il contenuto della comunicazione preventiva perche' il necessario nesso causale tra le "esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale" e i licenziamenti progettati non risultava in alcun modo precisato, non essendo idoneo a colmare la lacuna il criterio di scelta poi concordato con i sindacati (possesso dei requisiti per la pensione), criterio che presupponeva il nesso indicato e avrebbe giustificato i singoli licenziamenti fino a concorrenza del numero complessivo determinato dalle esigenze tecnico produttive ed organizzative.

Specificamente, l'insufficienza dei contenuti della comunicazione e' ravvisata nella mancanza di indicazioni "in ordine alla specifica collocazione nei diversi uffici locali e profili professionali", o "concrete posizioni lavorative", del personale ritenuto eccedente, lacuna non colmata dal riferimento generico alle quattro aree contrattuali di inquadramento, ciascuna comprendente "professionalita' estremamente varie ed eterogenee" (visto che vi erano state raggruppate le qualifiche funzionali e i numerosi profili professionali del precedente ordinamento pubblicistico) senza precisare quali, tra le posizioni professionali all'interno di ciascuna area, fossero da ritenere eccedenti. In definitiva, secondo la valutazione del giudice del merito, Po. it. aveva l'onere di specificare l'eccedenza ufficio per ufficio, con riguardo al settore di attivita' e alla dislocazione territoriale, indicando gli addetti alle mansioni concrete ritenute non piu' utili per l'organizzazione.

7. Cosi' decidendo e come gia' avvertito sopra, la sentenza impugnata ha violato le disposizioni dell'articolo 1 e, conseguentemente anche della Legge n. 223 del 1991, articolo 4, comma 3.

a) L'articolo 1 perche' ha negato, al di la' dei profili formali sui quali apparentemente si incentra la motivazione, la facolta' di Po. It. SpA, che svolge l'identica attivita' produttiva sull'intero territorio nazionale, di decidere il ridimensionamento dell'impresa con esclusivo riguardo alla consistenza complessiva del personale ed al fine di ridurre i costi di gestione, determinando le eccedenze in un certo numero di lavoratori regione per regione e per area di inquadramento professionale, cosi' sottoponendo a sindacato la scelta imprenditoriale e finendo, nella sostanza, per considerare ingiustificata una riduzione di personale in questi termini progettata dall'imprenditore, in violazione del complesso dei principi richiamati sub n. 7.

b) L'articolo 4, comma 3, perche' la sufficienza dei contenuti della comunicazione di avvio della procedura alle organizzazioni sindacali si deve necessariamente valutare con riferimento ai motivi, esternati nella stessa comunicazione, che determinano l'eccedenza e alle misure proposte dallo stesso imprenditore per attenuare l'impatto sociale dei licenziamenti.

8. Pertanto, in applicazione dei principi di diritto sopra precisati, il progetto di riduzione del personale complessivo dell'azienda po. imponeva di indicare soltanto la ripartizione delle eccedenze per categorie professionali, nonche' per le aree del territorio nazionale, anche in vista della conseguente necessita' di una nuova distribuzione geografica del personale e di una riorganizzazione del lavoro. In relazione a tale progetto, infatti, non sarebbe stato coerente l'indicazione di uffici o reparti con eccedenze, coincidendo la "collocazione" dei dipendenti da licenziare con l'intero complesso aziendale; ne' avrebbe avuto alcun senso la specificazione delle concrete posizioni lavorative che si intendevano eliminare, risultando tale profilo completamente estraneo alle ragioni della decisione imprenditoriale.

D'altra parte, - come chiarito da Cass. n. 84/2009; Cass. n. 4653/2009) il riferimento legislativo ai "profili professionali" va inteso si in termini di esclusione della prospettiva formale delle categorie (articoli 2095 e 2103 c.c.) al fine di privilegiare gli aspetti funzionali della categoria o qualifica di inquadramento, ma cio' non significa certo richiedere l'indicazione delle concrete posizioni lavorative, cioe' delle mansioni svolte, restandosi pur sempre sul piano astratto della classificazione del personale alla stregua della disciplina applicabile al rapporto di lavoro; ed allora, se il giudice di merito aveva accertato che la contrattazione collettiva recava un sistema di inquadramento del personale per "aree funzionali", ciascuna caratterizzata dall'idoneita' professionale allo svolgimento di una pluralita' di mansioni, non si comprende perche' l'indicazione dell'area di appartenenza non sarebbe indicazione dei "profili professionali" (di totale incongruenza si palesa, poi, il riferimento al superato sistema di classificazione del personale presso l'azienda autonoma statale, prima della privatizzazione dei rapporti di lavoro).

9. La sentenza, inoltre, si pone anche in contrasto con il principio di diritto secondo cui, in ragione del fine delle informative sulla procedura di mobilita', che e' quello di favorire la gestione contrattata della riduzione di personale, la circostanza che sia stato in concreto raggiunto tale fine, per essere stato stipulato un accordo con le organizzazioni sindacali, assume rilevanza nel giudizio di completezza della comunicazione di cui alla Legge n. 223 del 1991, articolo 4, comma 3, mentre le eventuali insufficienze o inadempienze informative possono, in ogni caso, essere fatte valere dalle organizzazioni sindacali e non dai singoli lavoratori, salvo che questi ultimi dimostrino l'idoneita' in concreto di siffatte informative a forviare o ledere l'esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali, con ricadute a essi lavoratori pregiudizievoli (Cass. n. 528/2008). Pur avendo accertato, infatti, che vi era stata effettivamente la gestione contrattata della riduzione di personale in tutti i profili, fino realizzare il risultato di un notevole ridimensionamento delle eccedenze inizialmente programmate, non ne ha tratto le conseguenze sul piano della sufficienza delle informazioni fornite nella fase di avvio della procedura.

10. Peraltro, anche la prospettiva di ridurre l'impatto sociale dei licenziamenti mediante l'applicazione del criterio di scelta (necessitante di accordo sindacale) del possesso dei requisiti per la pensione, offriva elementi utili alla valutazione di sufficienza e coerenza dei contenuti della comunicazione preventiva. Il detto criterio, in linea con le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del 1994, e' ritenuto dalla giurisprudenza della Corte conforme al principio di ragionevolezza e non discriminazione, coerente soprattutto con le finalita' del controllo sociale affidato ai sindacati e agli organi pubblici (vedi Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; 24 aprile 2007, n. 9866) ed e' ora consacrato a livello legislativo dalla Legge 27 dicembre 1997, n. 449, articolo 59, comma 3.

Le condizioni favorevoli per un accordo sindacale sul detto criterio erano appunto costituite dalla riduzione di personale da operare sull'intero organico dell'azienda su base nazionale e in relazione a tutte le aeree di inquadramento del personale, senza distinzioni tra uffici e settori produttivi specifici.

Anche questo aspetto induce, quindi, a ritenere sufficienti i contenuti della comunicazione di avvio della procedura, procedura sfociata poi nell'auspicato accordo sindacale.

11. Il ricorso va accolto sulla base dei seguente principio di diritto: "In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla Legge n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all'articolo 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicche', nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l'organico dell'intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l'imprenditore puo' limitarsi all'indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso alla stregua della classificazione per aree funzionali - ciascuna caratterizzata dall'idoneita' professionale allo svolgimento di una pluralita' di mansioni -, tanto piu' se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all'esito della procedura, che, nell'ambito delle misure idonee ridurre l'impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l'accesso alla pensione".

12. La cassazione della sentenza impugnata comporta il rinvio - senza possibilita' di decidere nel merito- per il riesame alla stessa Corte d'appello di Roma in diversa composizione, che provvedera' anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

13. Va, in proposito, precisato che, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., nel testo novellato dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353, articolo 66, la cassazione sostitutiva, con giudizio nel merito, e' consentita nei soli casi in cui, dopo l'enunciazione del principio di diritto, la controversia debba essere decisa in base ai medesimi apprezzamenti di fatto che costituivano il presupposto del giudizio di diritto errato, in tal guisa postulandosi che il giudice del merito abbia avuto modo di esprimere siffatti apprezzamenti ai fini di una specifica decisione; essa non e' pertanto consentita nei casi in cui l'intervento caducatorio della decisione di legittimita' apra la via ad una pronuncia su questioni non esaminate nella pregressa fase di merito, atteso che la norma suddetta, nell'escludere la cassazione sostitutiva in presenza della necessita' di accertamenti "ulteriori", limita la possibilita' di tale provvedimento alla sola ipotesi in cui tutti gli accertamenti siano stati compiuti dal giudice competente e quindi impedisce che in sede di cassazione sostitutiva possano essere rese decisioni su questioni nel merito delle quali il giudice "a quo" non si sia pronunciato, decisioni che, pertanto, non essendo destinate a sostituire alcuna pronuncia precedente, si configurino a loro volta come ulteriori rispetto a quelle cassate (Cass. n. 17221/2002).

14. Deve, sotto questo profilo, dichiararsi inammissibile il riccio incidentale condizionato alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui e' inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa sollevi questioni che il giudice di appello non abbia deciso in senso ad essa sfavorevole avendole ritenute assorbite, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio (Cass. S.U. n. 14382/2002).

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile l'incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia anche, per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.
 

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