Un'offesa episodica non può fondare il licenziamento per giusta causa.

Un comportamento, per quanto grave, se avente carattere episodico e se riconducibile ad un dipendente che mai aveva dato luogo a censure comportamentali, non puo' dar luogo ad un giudizio di "particolare gravita'". Per tale ragione un'offesa episodica non può fondare il licenziamento per giusta causa. E' quanto stabilito dalla sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza 8 febbraio 2011, n. 3042. La S.C. ha confermato la decisione con cui i giudici di merito avevano disposto la reintegrazione sul posto di lavoro di una donna che era stata licenziata per asserita "giusta causa" per aver, episodicamente, pronunciato frasi offensive nei confronti del superiore gerarchico

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 8 febbraio 2011, n. 3042



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido - Presidente

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere

Dott. MAMMONE Giovanni - rel. Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere

Dott. BERRINO Umberto - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4009/2007 proposto da:

VI. S. AN. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Crescenzio n. 9, presso lo studio dell'avv. CALDARERA MARIO, che la rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

PR. AU. , elettivamente domiciliata in Roma, via Del Pozzetto n. 117, presso lo studio dell'avv. Mimmo Manfredi, rappresentata e difesa dall'avv. MIGLIACCIO ALESSANDRO per procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 31/2006 della Corte d'appello di Catanzaro, depositata in data 16/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 23.11.2010 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

udito l'avvocato Caldarera;

udito il P.M in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con ricorso al giudice del lavoro di Catanzaro, Pr. Au. chiedeva che fosse dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare irrogatole dalla casa di cura Vi. S. An. s.p.a. in data (OMESSO).

Accolta la domanda e disposta dal giudice la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre risarcimento del danno e regolarizzazione della posizione contributiva, proponeva appello la Casa di cura ribadendo l'esistenza della giusta causa di licenziamento.

2.- La Corte d'appello di Catanzaro con sentenza depositata il 16.1.06 rigettava l'impugnazione.

Premetteva il giudice che gli addebiti contestati andavano individuati nella nota di contestazione del (OMESSO) e non anche in quella recante la data del (OMESSO), la quale era pervenuta alla lavoratrice dopo la data del licenziamento.

Gli addebiti ivi contestati (rientro in servizio non autorizzato in periodo di congedo, pronunzia di espressioni offensive nei confronti di un superiore e ricostruzione non veritiera dei fatti in sede di audizione e di deduzioni scritte) non avrebbero potuto legittimare il licenziamento, essendo essi riconducibili a comportamenti per i quali il contratto collettivo di categoria (articolo 33, lettera f-g) prevedeva l'irrogazione di una sanzione conservativa. Neppure riteneva sussistente la "particolare gravita'" degli addebiti in questione, che pure avrebbe consentito l'irrogazione del licenziamento in base all'articolo 33, lettera A), del contratto, atteso che per l'episodicita' dei comportamenti non poteva riscontrarsi tale connotazione.

In ogni caso riteneva che il datore, prima di irrogare il licenziamento, avrebbe dovuto prendere in considerazione la condotta professionale e lavorativa della dipendente, che mai aveva posto in essere comportamenti analoghi e che, quindi, sarebbe stata penalizzata in maniera irreparabile per un comportamento del tutto episodico.

3.- La s.p.a. Vi. S. An. contro questa sentenza proponeva ricorso per cassazione, cui rispondeva con controricorso la Pr. .

La societa' ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. - 1 motivi di ricorso possono essere cosi' riassunti.

4.1. - Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione dell'articolo 2119 c.c., della Legge n. 604 del 1966, articolo 5, dell'articolo 33 del contratto collettivo di categoria e degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche' carenza di motivazione.

Contesta parte ricorrente che la Corte d'appello avrebbe ricostruito i fatti oggetto di causa e gli addebiti mossi alla dipendente sulla base della superficiale lettura dei documenti prodotti, senza espletare alcun ulteriore atto istruttorio e, in particolare, senza ammettere la prova per testi richiesta dal datore. Ne sarebbe derivata una ricostruzione riduttiva dei fatti, tesa a minimizzare i pur gravi comportamenti posti in atto. Una volta espletata la prova sarebbe, invece, emersa con tutta evidenza la gravita' dei comportamenti posti in essere e la esistenza della giusta causa.

4.2. - Con il secondo motivo e' dedotta violazione dell'articolo 2119 c.c., della Legge n. 604 del 1966, articolo 5, e dell'articolo 33 del contratto collettivo di categoria, non e' carenza di motivazione sotto profilo diverso da quello sub 4.1.

Parte ricorrente ritiene incongruo il giudizio di non gravita' dei comportamenti sulla base della pretesa loro episodicita', che di per se' non puo' escludere la "particolare gravita'" richiesta dal contratto collettivo. In particolare il giudice di merito non avrebbe considerato che la somma dei comportamenti posti in essere integra una condotta che a pieno titolo avrebbe potuto essere ricompresa nella previsione dell'articolo 33, lettera A) del contratto, che consente il licenziamento in presenza di particolare gravita' delle infrazioni.

4.3. - Con il terzo motivo si lamenta omessa pronunzia sulla riconvenzionale proposta dal datore per ottenere dalla Pr. il risarcimento dei danni, per l'esame della quale, in conseguenza dell'accoglimento dei primi due motivi, si chiede il rinvio al giudice di merito.

4.4. - Con il quarto motivo la ricorrente richiede ogni consequenziale pronunzia in punto di spese dei precedenti gradi.

5. - I primi due motivi, che debbono essere esaminati in unico contesto per l'evidente collegamento tra loro esistente, non sono fondati.

5.1. - Parte ricorrente contesta il passaggio della sentenza con cui il giudice di merito sintetizza gli addebiti rivolti alla Pr. come segue: "a) rientro in servizio il giorno (OMESSO) (rectius (OMESSO)), nonostante l'ammissione a periodo di congedo; b) pronuncia di frasi offensive nei confronti di un superiore gerarchico; c) ricostruzione dei fatti - nell'audizione del 26 settembre e nelle giustificazioni - in modo diverso da quanto riferito dall'azienda". Oggetto specifico della censura e la riduttiva ricostruzione del comportamento della dipendente, di cui non sarebbero rilevate alcune significative circostanze (presenza di terze persone al momento del diverbio tra la dipendente e la sorvegliante generale Ar. , contenuto degli epiteti rivolti verso quest'ultima, descrizione dell'atteggiamento tenuto dalla dipendente in sede di risposta alla contestazione) che, ove considerate, avrebbero dovuto essere prese in considerazione ai fini della valutazione della gravita' del comportamento stesso.

La ricostruzione del comportamento della dipendente effettuata dal giudice di merito e' tuttavia piu' ampia di quella riferita nel passaggio motivazionale sopra riportato, in quanto il giudice stesso fa riferimento testuale anche alle contestazioni scritte del datore di lavoro, ove vengono richiamati la presenza dei testimoni, il grave contenuto offensivo per la dignita' dell' Ar. delle parole pronunziate, la mendacita' delle dichiarazioni orali e scritte. Tali circostanze di fatto sono date, inoltre, per effettivamente realizzate, il che giustifica la ritenuta superfluita' dell'espletamento dei mezzi istruttori.

5.2. - Se non puo', dunque, affermarsi che il giudice abbia ricostruito la condotta della lavoratrice in termini riduttivi, neppure puo' sostenersi che, nel rapportarne il comportamento alle fattispecie contrattuali di mancanze che consentono l'irrogazione della sanzione conservativa, il giudice non ne abbia considerata la gravita' ai sensi della norma contrattuale. Sul punto, infatti, la sentenza e' particolarmente diffusa per escludere che quei fatti, in via generale punibili con sanzione conservativa, ricoprissero quel "carattere di particolare gravita'" che per il contratto collettivo di categoria (articolo 33, lettera A) giustificherebbe il licenziamento.

Tale giudizio e' motivato dalla Corte di appello con la considerazione che un comportamento, per quanto grave, se avente carattere episodico e se riconducibile ad un dipendente che mai aveva dato luogo a censure comportamentali, non puo' dar luogo ad un giudizio di "particolare gravita'". Si tratta di una valutazione di merito che, in quanto congruamente motivata e logicamente articolata, non e' censurabile in sede di legittimita'.

5.3. - Per quel che riguarda specificamente la disapplicazione dell'articolo 2119 c.c., dedotta nel secondo motivo quale conseguenza della carente esegesi dell'articolo 33, lettera A) suddetto per l'omessa considerazione che la somma dei comportamenti ascritti (riconducibili alle lettere f-g dello stesso articolo 33) avrebbe potuto di per se' essere fonte di "particolare gravita'", tra le parti e' sorta questione circa la rilevanza della censura, sostenendo il contro ricorrente che l'articolo 33, lettera a) avrebbe un contenuto diverso da quello invocato da parte ricorrente, essendo riferito ad una fattispecie di comportamento non oggetto di contestazione.

Sul punto deve riscontrasi la carenza di autosufficienza del ricorso, in quanto, se fosse stato ivi puntualmente riportato il testo della norma contrattuale su cui e' fondata la censura, sarebbe stato evitato ogni equivoco. I chiarimenti forniti con la memoria conclusiva - ove si riporta il testo della norma e si precisa che il motivo faceva riferimento all'articolo 33, lettera A) (maiuscola), mentre il controricorso faceva riferimento all'articolo 33, lettera a) (minuscola) - sono da ritenere inidonei a sanare la rilevata carenza del motivo in questione (Cass. 7.4.05 n. 7260).

6. - In conclusione, i primi due motivi sono infondati e debbono essere rigettati. Consegue l'assorbimento dei motivi terzo e quarto ed il rigetto del ricorso nel suo complesso.

Le spese del giudizio di legittimita', come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in euro 23,00, per esborsi ed in euro 2.000 (duemila) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.
 

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