Gli effetti patrimoniali della separazione personale nei rapporti tra coniugi

Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce in favore del coniuge, il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non disponga di adeguati redditi propri.

L’art. 156 c. c. prevede, al primo comma, che il giudice, pronunziando la separazione, stabilisca in favore del coniuge, cui non sia addebitabile la separazione stessa, il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non disponga di adeguati redditi propri. L’entità della somministrazione, continua il capoverso della disposizione, è determinata in relazione alle circostanze ed ai redditi dell’obbligato.

Al di là della sussistenza di tali presupposti e anche in caso di addebito della separazione, resta fermo l’obbligo di prestare gli alimenti, a norma degli artt. 433 e seguenti c. c., allorché uno dei coniugi risulti del tutto privo dei mezzi di sostentamento.

Quindi, le condizioni alle quali è sottoposto il diritto al mantenimento ed il suo concreto ammontare consistono semplicemente nella non addebitabilità della separazione al coniuge nel cui favore viene disposto il mantenimento, nella mancanza nel beneficiario di adeguati redditi propri e nella sussistenza di una disparità economica tra i due coniugi. Peraltro il legislatore, richiedendo che il coniuge avente diritto sia privo di adeguati redditi propri, intende riferirsi alla mancanza di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Qualora, invece, il coniuge dimostri di essere in grado di provvedere al mantenimento del precedente tenore di vita con i propri cespiti, ivi comprese, ha ritenuto la giurisprudenza della Suprema Corte, le elargizioni continuative e regolari da parte dei familiari (cfr. Cass. sent. n. 5762 del 1997 e n. 5916 del 1996), egli non avrà diritto ad alcun assegno a carico dell’altro. Inoltre la posizione del coniuge obbligato, in caso di versamento dell’assegno, non dovrebbe risultare tale da determinargli problemi di sopravvivenza.

Al fine di determinare l’an ed il quantum dell’assegno di mantenimento a seguito della separazione coniugale, ossia se esso spetti e, in caso di risposta affermativa, in quale misura, occorre innanzitutto ricostruire le rispettive situazioni patrimoniali complessive, per verificare un’eventuale disparità di potenzialità economiche dei due coniugi. Quindi, una volta stabilito che il coniuge più debole ha diritto all’erogazione di un assegno di mantenimento da parte dell’altro, al fine di indicarne l’entità, sarà necessario assumere come termine di riferimento il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Peraltro, a tale riguardo, la recente giurisprudenza della Cassazione ha ritenuto priva di rilievo la circostanza che, prima della separazione, il coniuge richiedente avesse eventualmente tollerato, subito o comunque accettato un tenore di vita più modesto rispetto a quello astrattamente possibile in base ai guadagni ed alle rendite di ciascuno (in tal senso, tra l’altro, Cass. sent. n. 3291 del 2001). Il tenore di vita a cui va rapportata la valutazione di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente l’assegno è dunque quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi, sicché dell’incremento di reddito di uno di essi occorre tener conto ai fini dell’imposizione dell’assegno, anche se verificatosi durante il giudizio di separazione o anche successivamente alla separazione medesima. Tali conclusioni sono suffragate dalla considerazione che la causa instaurata per la separazione personale non fa venir meno la solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio e che comporta la condivisione delle reciproche fortune nel corso della convivenza. Se è vero che la Suprema Corte negli ultimi anni (cfr. sentt. nn. 12136 del 2001 e 18327 del 2002) ha meglio chiarito il rilievo da attribuire a tali mutamenti della situazione reddituale dei coniugi, va osservato che già nel 1983 i giudici di legittimità, con la sentenza n. 4768, precisavano che, nel quantificare l’assegno dovuto al coniuge economicamente più debole, si deve tenere conto della situazione economica delle parti con riferimento al momento della decisione, non potendosi trascurare le evoluzioni della situazione stessa verificatesi nel corso del giudizio.

Per quel che riguarda poi la considerazione dei redditi dei due coniugi, va detto che essi non debbono essere intesi in senso stretto, bensì come comprensivi anche dei cespiti di cui essi abbiano il diretto godimento e di ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica, quale, ad esempio, il prezzo ricavato da una vendita immobiliare, in funzione dei diversi modi di investimento della somma. Occorre inoltre tenere in considerazione anche altri elementi suscettibili di incidenza sulla condizione delle parti, quali l’obbligo di mantenimento, in misura consona al proprio tenore di vita, dei figli nati da una nuova relazione, le ripercussioni sul piano reddituale della legittima scelta personale del coniuge obbligato al mantenimento di cessare l’attività professionale ed il vantaggio derivante al coniuge beneficiario dell’assegno dal godimento della casa coniugale.

Peraltro la Cassazione nel 1997 ha stabilito che il giudice della separazione ha facoltà di determinare l’assegno periodico di mantenimento sia in una somma di denaro unica sia in più voci di spesa, che, nel loro insieme, risultino idonee a soddisfare le esigenze del coniuge a favore del quale l’assegno è disposto, cosicché, a titolo esemplificativo, il marito può essere obbligato a corrispondere, oltre ad un assegno mensile dall’importo determinato, anche altre spese, come quelle relative al canone di locazione della casa familiare ed agli oneri condominiali.

Al fine di tutelare il diritto del coniuge di percepire l’assegno di mantenimento a carico dell’altro, occorre precisare che detto assegno, fissato in sede di separazione, decorre dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può rimanere pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio, senza che comunque ciò interferisca con eventuali adeguamenti apportati al contributo per effetto di mutamenti sopravvenuti delle condizioni economiche dei coniugi fino alla decisione. L’assegno in questione, inoltre, è dovuto non oltre il passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia il divorzio tra i coniugi, la quale, determinando lo scioglimento del vincolo matrimoniale, fa venir meno il presupposto del mantenimento.

Da ultimo, ci si intende soffermare sul disposto del sesto comma dell’art. 156 c. c., secondo il quale “in caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto”. Un siffatto provvedimento può essere adottato anche con la sentenza di separazione, quando già nel corso del giudizio siano emerse le condizioni di inadempienza o di ingiustificato ritardo cui esso è subordinato, per non avere il coniuge obbligato puntualmente adempiuto al pagamento dell’assegno anche provvisorio, qualora tale comportamento provochi fondati dubbi sulla tempestività dei futuri pagamenti (in tal senso, Cass. sent. n. 7303 del 1983). Peraltro, nonostante il tenore letterale della disposizione in commento, la giurisprudenza della Suprema Corte ha ritenuto che l’ordine al terzo di versare direttamente al coniuge avente diritto all’assegno di mantenimento parte delle somme di denaro che egli deve al coniuge onerato debba essere inteso nel senso che il giudice della separazione può anche disporre il pagamento diretto dell’intera somma dovuta dal terzo al coniuge obbligato, quando questa non ecceda, ma anzi realizzi pienamente, l’assetto economico determinato in sede di separazione (si veda, a tale riguardo, Cass. sent. n. 12204 del 1998 e sent. 19527 del 2003)

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