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L'addebito della separazione giudiziale
I comportamenti che attribuiscono il diritto a chiedere la separazione con addebito.
In base all'articolo 151 codice civile, il Giudice, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, stabilisce a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione per violazione dei doveri che derivano dal matrimonio. La pronuncia di addebito presuppone una valutazione discrezionale ad opera del giudice, con riferimento alla violazione dei doveri matrimoniali da parte di uno o di entrambi i coniugi: detta valutazione, prescindendo dalla considerazione delle vecchie ipotesi tassative di colpa, deve comprendere il complessivo comportamento dei coniugi nello svolgimento del rapporto coniugale.
I comportamenti che attribuiscono il diritto a chiedere la separazione con addebito sono:
a) Violazioni di diritti costituzionali e di diritti della personalità del coniuge.
Dal principio costituzionale dell'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29 Cost.), attuato pienamente dalla riforma del diritto di famiglia (art. 143), deriva la sanzionabilità con l'addebito dei comportamenti di un coniuge che ostacolino l'altro coniuge nello svolgimento della sua personalità e nell'esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti: tali comportamenti integrano una violazione del dovere di collaborazione e di assistenza morale.La giurisprudenza ha applicato tale principio soprattutto in relazione al diritto di libertà religiosa (art. 19 Cost.), da un lato sottolineando il pieno diritto di ciascuno di mutare la propria fede (C. 1401/1995), nel rispetto dei doveri familiari (C. 15241/2004; T. Milano 11.1.1996), dall'altro affermando l'addebitabilità della separazione al coniuge che abbia imposto all'altro coniuge o ai figli i dettami della propria religione in modo oppressivo ( C. 8013/1990; C. 4920/1990; si veda anche T. Bologna 5.2.1997), oppure abbia manifestato intolleranza nei confronti delle convinzioni religiose dell'altro (T. Patti 10.12.1980). Una recente decisione di merito ha negato l'addebitabilità della separazione alla moglie che, contro la volontà del marito, abbia interrotto la gravidanza, posto che la previsione dell'art. 5, L. 22.5.1978, n. 194 non consente di considerare tale comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio (T. Monza 26.1.2006). I principi relativi alla libertà religiosa sono applicabili anche con riferimento all'esercizio delle altre libertà costituzionalmente garantite (circolazione, lavoro, manifestazione del pensiero, informazione, corrispondenza).
b) Violazione dell'obbligo di fedeltà.
Mentre in passato si riteneva che l'unica violazione dell'obbligo di fedeltà fosse costituita dall'adulterio, dopo la riforma del diritto di famiglia si è ampliata la sfera dei comportamenti "infedeli", giacché la fedeltà viene considerata un impegno globale che presuppone la comunione materiale e spirituale dei coniugi. Ne consegue che sono sanzionabili con l'addebito tutti quei comportamenti, sessuali e non, che comportino una lesione del reciproco dovere di devozione dei coniugi e quindi della comunione materiale e spirituale. La valutazione di tali comportamenti non è tuttavia automatica, ma è rimessa all'apprezzamento del giudice il quale può addebitare la separazione al coniuge infedele solo «ove ne ricorrano le circostanze»: si ritiene quindi che un singolo episodio di adulterio non rilevi di per sé ai fini dell'addebito . Secondo la giurisprudenza, il dovere di fedeltà - la cui inosservanza costituisce una violazione particolarmente grave (C. 25618/2007) - consiste appunto nell'impegno, sussistente in capo a ciascun coniuge, di non tradire la fiducia dell'altro ovvero il rapporto di dedizione fisica e spirituale, sicché da un lato si potrà avere violazione del suddetto dovere e addebito della separazione anche in assenza di relazioni sessuali extraconiugali, essendo sufficiente l'esternazione di comportamenti tali da ledere la sensibilità e la dignità del coniuge ( C. 15557/2008; C. 6834/1998; C. 9287/1997; v. anche C. 7156/1983; A. Roma 15.10.2004 e T. Genova 17.3.2008, in tema di «infedeltà apparente», e A. Perugia 28.9.1994, per un caso di «relazione platonica»; nonché C. 8862/2012; C. 9472/1999, che ha ritenuto rilevante il mero «tentativo di adulterio», ancorché non comportante addebito nel caso di specie), l'adulterio non può giustificare, da solo, la pronuncia di addebito, occorrendo a tal fine una valutazione globale dei comportamenti reciproci dei coniugi (C. 9472/1999; C. 961/1992): il giudice deve infatti considerare in che misura la violazione abbia inciso sulla vita familiare (C. 12489/1998), tenendo conto delle modalità e della frequenza dei fatti, del tipo di ambiente in cui sono accaduti e della sensibilità morale dei soggetti interessati (C. 2494/1982); neppure una stabile relazione extra-coniugale giustifica l'addebito, qualora non sia accertata l'esistenza del nesso causale fra tradimento e crisi coniugale (C. 4290/2005; v. anche C. 5090/2004; C. 13747/2003; sull'indispensabilità della prova del nesso causale, da ultimo, cfr. C. 13431/2008); si è esclusa l'addebitabilità a carico della moglie che, dopo la separazione, si sia dedicata all'esercizio del meretricio (C. 20256/2006). Per alcune ipotesi di addebito conseguente a violazioni del dovere di fedeltà si vedano: C. 7859/2000; C. 8868/1998; C. 4623/1997; C. 10977/1996. Sull’onere della prova, v. C. 2059/2012.) In ordine al nesso causale, pare rovesciare il principio consolidato una recente decisione di merito, secondo la quale l'infedeltà «deve ritenersi, di regola, circostanza idonea a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non venga accertata la mancanza di nesso causale tra l'infedeltà e la crisi coniugale»; in tale prospettiva, detta sentenza ha ritenuto legittima la pronuncia di addebito in mancanza di prove, addotte dal coniuge infedele, volte ad individuare un'altra causa della crisi coniugale, diversa ed antecedente rispetto alla sua relazione affettiva con altra persona, apertamente instaurata in costanza di convivenza matrimoniale (A. Roma, 8.9.2010; cfr. anche C. 16873/2010). Si è ritenuta poi addebitabile la separazione al marito che abbia taciuto alla moglie, prima delle nozze, un'anomalia fisica tale da renderlo sicuramente incapace alla procreazione, pur se non del tutto incapace ai rapporti sessuali (T. Monza 4.3.1988).
c) Violazione dell'obbligo di coabitazione.
Nella disciplina introdotta dalla riforma del 1975 la fissazione della residenza deve avvenire per accordo dei coniugi (art. 144); la violazione dell'obbligo di coabitazione - oltre alle conseguenze previste dalla norma che sanziona l'allontanamento dalla residenza familiare (art. 146) - può comportare l'addebito a carico del coniuge che non collabori per raggiungere l'accordo o non rispetti l'accordo conseguito sulla residenza familiare, o comunque si allontani dalla residenza comune senza una valida ragione oggettiva. La giurisprudenza, parimenti, ha sottolineato l'addebitabilità della separazione al coniuge che abbandona la residenza familiare, a meno che ciò sia dovuto a giusta causa (C. 7920/1996) o ad una situazione di tensione (C. 1202/2006; C. 10648/1997), ovvero qualora si sia già verificata l'intollerabilità della convivenza (C. 4540/2011; C. 10682/2000; T. Milano 2.3.2011), ed anche al coniuge che rifiuta in modo sistematico e ingiustificato di concordare la fissazione della residenza (C. 3168/1986). D'altra parte, non si può pronunciare l'addebito per violazione dell'obbligo di coabitazione qualora i coniugi non abbiano preventivamente fissato una stabile residenza familiare (C. 24574/2008). Sotto altro profilo, il giudice penale ha ritenuto giustificato l'abbandono della casa coniugale - e quindi non idoneo ad integrare la fattispecie criminosa di cui all'art. 570 c.p. - in presenza di ragioni di carattere interpersonale che non consentano la prosecuzione della vita in comune (C. pen., Sez. VI, 12.3.1999, n. 11064).
Si ritengono ammissibili gli accordi tra coniugi che comportino una deroga temporanea all'obbligo di coabitazione.
Recentemente la Suprema Corte ha ritenuto che costituisca una valida deroga all'obbligo di coabitazione l'accordo tra coniugi di vivere, per ragioni di lavoro, in città diverse, incontrandosi durante i fine settimana: conseguentemente, ha rigettato la domanda di addebito successivamente svolta da uno dei coniugi nel giudizio di separazione (C. 4558/2000).
Non si ritiene, invece, ammissibile l'allontanamento dalla casa coniugale determinato dalla scelta di appartenere ad una confessione religiosa, sì che in tal caso non si può ritenere che la rinuncia alla convivenza escluda l'addebitabilità della separazione (C. 15241/2004).
d) Violazione dell'obbligo di assistenza e di collaborazione.
Comportano addebitabilità della separazione non soltanto quei comportamenti che nel sistema previgente rientravano nella nozione di "eccessi", "sevizie", "minacce" e "ingiurie gravi", ma anche tutti gli atteggiamenti che comportino offesa della personalità del coniuge, imposizioni, mancanza di lealtà, mancato rispetto del riserbo sulle vicende coniugali e personali, intolleranza.
Secondo la giurisprudenza, in via esemplificativa, costituiscono motivo di addebito: l'impedimento all'esercizio dei rapporti di un coniuge con la propria famiglia di origine (T. Catania 31.12.1992); l'atteggiamento fortemente autoritario e impositivo di un coniuge (C. 25/1991); il rifiuto di assistere il coniuge infermo di mente (A. Perugia 23.9.1989); l'ingiustificato rifiuto di avere rapporti sessuali (T. Terni 22.11.1994); le aggressioni all'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge (C. 5397/1989); i comportamenti riconducibili al concetto di mobbing (A. Torino 21.2.2000); la reiterata divulgazione di notizie false, di carattere diffamatorio, sul conto del coniuge (T. Monza 28.5.2008).
e) Violazione dell'obbligo di contribuzione.
La violazione di tale dovere può dare luogo ad addebito, specialmente quando sia totale o si manifesti con un comportamento volontario atto a porre il coniuge in condizione di non potervi ottemperare.
La giurisprudenza ha tuttavia precisato che non costituisce motivo di addebito il comportamento di un coniuge che, contribuendo ai bisogni familiari, abbia - all'insaputa dell'altro coniuge - acquistato un immobile o mantenuto il regime di separazione dei beni (T. Genova 11.11.1980).
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