La separazione personale dei coniugi

Il codice civile disciplina analiticamente esclusivamente la separazione legale, sia essa giudiziale o consensuale tra i coniugi.

La separazione personale dei coniugi non è idonea ad intaccare la validità dell’atto matrimoniale, incidendo solo sugli effetti di esso. Tale istituto, infatti, non ha come scopo quello di invalidare il vincolo del matrimonio, né di scioglierlo, posto che detto effetto sarà prodotto, se del caso, dalla pronuncia di divorzio, bensì è volto a determinare la sospensione degli effetti personali del matrimonio (es. diritto dovere di fedeltà, di coabitazione, di assistenza morale), in attesa della riconciliazione o del divorzio stesso, a meno che i coniugi non intendano mantenere lo status di separati.

Il codice civile disciplina analiticamente esclusivamente la separazione legale, sia essa giudiziale o consensuale, ai sensi dell’art. 150 comma 1 c. c., a seconda che manchi ovvero sussista un accordo tra marito e moglie in ordine alla separazione in sé ed alle sue modalità, soprattutto relativamente all’affidamento dei figli ed alla misura dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole, qualora vi sia, e della prole. In ogni caso la separazione deve essere sottoposta al vaglio dell’autorità giudiziaria, vuoi per l’emissione di una sentenza che si imponga alla difforme volontà delle parti circa le condizioni della separazione stessa, vuoi per la pronuncia di un decreto che omologhi e dunque approvi e renda esecutivi i patti raggiunti dai coniugi.

Gli sposi devono comunque affrontare la decisione di separarsi in maniera libera e consapevole, essendo inficiato da nullità qualsiasi accordo preliminare con cui una o entrambe le parti si siano obbligate a separarsi o, viceversa, ogni atto di rinuncia o transazione che impediscano di separarsi, mentre si discute in dottrina ed in giurisprudenza della validità di eventuali accordi preliminari di contenuto patrimoniale, in cui le parti regolino i loro reciproci rapporti economici. Alcune sentenze, tuttavia, sembrano ritenere che tale tipologia di patti sia giuridicamente irrilevante nel senso della produzione degli effetti propri della separazione, ma sia invece da considerare lecita, in quanto espressione dell’autonomia contrattuale dei privati, ex art. 1322 c. c. (si veda, tra le altre, Cass. sent. n. 7470 del 1992).

Il nostro ordinamento non provvede invece a regolare la c. d. separazione di fatto, che viene a realizzarsi a seguito dell’iniziativa di un coniuge, dichiarata all’altro, di abbandonare la residenza familiare, ovvero in forza di un accordo in tal senso intervenuto tra i coniugi stessi. A seguito di essa marito e moglie cominciano semplicemente a non vivere più sotto lo stesso tetto e, talvolta, l’uno eroga all’altra o viceversa un assegno determinato di comune accordo nel suo ammontare. Per il resto, va detto che la rilevanza giuridica di tale forma di separazione si riduce a quella ad essa attribuita da specifiche disposizioni di legge, dal momento che la separazione di fatto non può certamente produrre gli effetti della separazione legale, essendo del tutto svincolata da un controllo giudiziale. Tuttavia, essa si configura come impedimento all’adozione ed è presa in considerazione in tema di successione nel contratto di locazione.

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