I presupposti della separazione giudiziale

La separazione può essere chiesta quando, indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi, si verifichino fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole.

In mancanza di un accordo raggiunto tra i coniugi, la separazione può essere chiesta quando, indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi, si verifichino fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole, a norma dell’art. 151 comma 1 c. c., nel testo vigente a seguito delle modifiche apportate dalla Legge n. 151 del 1975, meglio nota come riforma del diritto di famiglia.

Il nostro sistema giuridico, pertanto, prevede una separazione senza colpa, fondata su un’intollerabilità della convivenza che risulti secondo un parametro obiettivo, dovendosi tuttavia tenere conto anche della condizione soggettiva delle parti. Ciò significa che il giudice, nel compiere tale valutazione, deve considerare che il vincolo matrimoniale poggia sul consenso anche nel momento di sua massima crisi, cosicché il suo venir meno coincide con l’intollerabilità della convivenza stessa.

Alla luce di questo, si comprende la giurisprudenza della Suprema Corte che, al fine di accertare una situazione di intollerabilità della convivenza oggettivamente apprezzabile, non ha ritenuto necessaria una conflittualità determinata da entrambi i coniugi, “ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e di distacco spirituale di una sola delle parti” (Cass. sent. n. 7148 del 1992).

In tal caso peraltro non può ritenersi idoneo ad escludere la suddetta intollerabilità l’atteggiamento di accettazione e disponibilità manifestato dall’altro coniuge, che si riveli dunque eccezionalmente tollerante rispetto ad una situazione ormai priva dei contenuti minimi di affetto reciproco che devono costituire una componente essenziale del rapporto matrimoniale (in tal senso, tra le più recenti, Cass. sent. n. 6970 del 2003).

In ogni caso l’indagine sull’intollerabilità della convivenza non può basarsi sull’analisi di singoli episodi critici, ma deve derivare dalla valutazione globale dei reciproci comportamenti dei coniugi, come emergono nel corso del procedimento giudiziale.

Una recente pronuncia della Suprema Corte, nel sottolineare che ciascuno dei coniugi ha un «diritto costituzionalmente fondato di ottenere la separazione personale e interrompere la convivenza, ove tale convivenza sia divenuta intollerabile», ha rilevato che il concetto di intollerabilità «si presta a una interpretazione aperta a valorizzare anche elementi di carattere soggettivo, costituendo un fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno alla vita dei coniugi» (C. 21099/2007).

Inoltre, si è ritenuto che l'intollerabilità della convivenza sia in re ipsa quando le parti concordano nella volontà di separarsi (ancorché non sulle condizioni della separazione) e che vi sia intollerabilità addirittura quando il ricorrente chiede la separazione e insiste nella domanda nonostante il tentativo di conciliazione .Si è affermato di recente che, il fallimento del tentativo di conciliazione rimesso al Presidente, la natura delle doglianze esposte dalle parti con istanze reciproche di addebito, e la elevata conflittualità tra di esse costituiscono elementi idonei a rivelare la presenza di una situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale; ne consegue che possono essere ritenuti sussistenti tutti i presupposti richiesti dalla norma di cui all'art. 151, co. 1 per la richiesta pronuncia di separazione personale tra i coniugi (T. Milano, 24.1.2012).

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