Deve escludersi il diritto all'assegnazione della casa coniugale al coniuge convivente con un figlio minore che non sia figlio anche dell'altro coniuge

In materia di separazione e divorzio, l'assegnazione della casa coniugale postula che i soggetti, alla cui tutela è preordinata, siano figli di entrambi i coniugi, a prescindere dal titolo di proprietà dell'abitazione; ne consegue che deve escludersi il diritto all'assegnazione al coniuge convivente con un figlio minore che non sia figlio anche dell'altro coniuge. (Corte di Cassazione, Sezione 1 Civile,
Sentenza del 2 ottobre 2007, n. 20688)



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza di divorzio pronunciata tra i coniugi IN. CA. e TA. LU., il Tribunale di Bergamo disponeva l'affidamento del figlio Ma., di sedici anni, alla madre e l'assegnazione alla stessa della casa familiare (di proprieta' comune), nonche' l'obbligo del padre di corrispondere per il ragazzo un assegno mensile di lire 500.000. A causa dei contrasti esistenti tra il figlio Ma. e il nuovo compagno della madre, dalla cui unione era nato un altro figlio, il primo lasciava la casa materna, trasferendosi a casa del padre. A seguito della mutata situazione, l' IN. chiedeva al Tribunale di Bergamo l'affidamento del figlio e conseguentemente l'assegnazione della casa coniugale, nonche' la corresponsione da parte della TA. di un assegno mensile di euro 500,00 per il mantenimento del figlio.

Il Tribunale di Bergamo, con decreto depositato l'11 aprile 2005, disponeva l'affidamento del figlio Ma. al padre, assegnandogli la casa familiare e disponendo a carico della TA. un assegno di mantenimento di euro 200,00 mensili.

Avverso tale provvedimento proponevano reclamo sia l' IN. che la TA., chiedendo, il primo, l'aumento dell'assegno e la seconda la riduzione dell'assegno stesso, nonche' la modifica del provvedimento concernente l'assegnazione della casa familiare.

La Corte d'appello di Brescia, con decreto depositato il 22 luglio 2005, rigettava entrambi i reclami. Quanto alla questione dell'assegnazione della casa familiare, la Corte rilevava che la Legge n. 898 del 1970 articolo 6 comma 6, della consente, in deroga al regime ordinario dettato dalle norme in materia di proprieta' e nell'esclusivo interesse della prole minore o non autosufficiente, comune ad entrambi i coniugi, l'assegnazione dell'ex casa coniugale al genitore affidatario, dovendosi escludere che la norma possa trovare applicazione nel caso in cui il minore sia figlio di uno solo dei coniugi divorziati. La Ta., pertanto, non poteva invocare detta norma per pretendere l'assegnazione della casa coniugale adducendo la propria convivenza con il figlio minore nato da persona diversa dall'ex coniuge, ne' la giurisprudenza in tema di diritti dei figli naturali, trattandosi di affermazioni di principio riferibili a figli comunque nati dai medesimi genitori. Ed anzi, nel caso di specie, la norma doveva trovare applicazione in favore dell'IN., in quanto coniuge affidatario del figlio comune Ma..

Quanto all'entita' dell'assegno, la Corte rilevava che la somma posta a carico della TA. dal Tribunale per il mantenimento del figlio Ma. era congrua e proporzionata alle attuali capacita' economiche della TA..

Per la Cassazione di questo provvedimento, ricorre TA. LU., sulla base di due motivi; resiste, con controricorso, IN. CA., il quale propone altresi' ricorso incidentale affidato ad un motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve preliminarmente essere disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, in quanto proposti avverso il medesimo provvedimento (articolo 335 c.p.c.).

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione degli articoli 261, 147 e 148 cod. civ, articolo 32 Cost., in relazione all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La censura si riferisce alle statuizioni relative all'assegnazione della casa coniugale. La ricorrente sostiene che la ratio della Legge n. 898 del 1970 articolo 6 dovrebbe operare anche con riferimento al coniuge che abbia vissuto nella casa coniugale coni un figlio minore nato da persona diversa dall'ex coniuge; in proposito, indica a sostegno del proprio assunto la sentenza della Corte costituzionale n. 166 del 1998, in tema di parita' di diritti tra figli naturali e figli legittimi; ne' potrebbe essere criterio utile quello di favorire il figlio comune dei coniugi divorziati perche' egli potrebbe assommare alla comproprieta' della madre anche quella del padre, circostanza che favorirebbe il figlio stesso a discapito dell'altro figlio minore di uno dei due coniugi.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione dell'articolo 148 c.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La censura si riferisce alle statuizioni del provvedimento impugnato in ordine alla misura dell'assegno, che sarebbe squilibrala e non rapportata, tenuto conto dei rispettivi redditi degli ex coniugi, alla misura dell'assegno posta a carico dell'IN. allorquando il figlio Ma. era stato affidato ad essa ricorrente. Ella, del resto, aveva dato la propria disponibilita' a concorrere nel limite massimo di euro 150,00 mensili, ma sul presupposto del permanere dell'assegnazione della casa coniugale; presupposto invece venuto meno con l'assegnazione della casa coniugale all'IN.. Erronea sarebbe poi la valutazione operata dalla Corte d'appello circa la sua scelta di optare per il part-time; tale scelta, nel provvedimento impugnato, non e' stata considerata come un elemento idoneo a giustificare la riduzione dell'assegno, ma solo a respingere la domanda dell'IN. di aumento dell'assegno stesso.

Con l'unico motivo di ricorso incidentale, IN. CA. deduce violazione dell'articolo 112 c.p.c. e dell'articolo 445 c.c..

Nel proprio reclamo, evidenzia il ricorrente incidentale, egli aveva lamentato che il giudice di primo grado, disponendo il contributo a carico della TA. per un importo mensile di euro 200,00, aveva fissato la decorrenza di tale assegno dalla data dell'emissione del decreto anziche' dalla data di proposizione della domanda ed aveva conseguentemente chiesto che la Corte stabilisse la correlata decorrenza di quell'assegno. E su tale domanda ritualmente proposta con il reclamo manca qualsiasi statuizione nel provvedimento impugnato.

Il primo motivo del ricorso principale e' manifestamente infondato.

Al riguardo, e' sufficiente osservare come la giurisprudenza di questa Corte (a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 11297 del 28 ottobre 1995, condivisa da Cass. 17 gennaio 2003, n. 661; Cass. 18 settembre 2003, n. 13736; Cass. 6 luglio 2004, n. 12309; Cass. 1 dicembre 2004, n. 22500) possa ormai dirsi consolidata nel senso che, anche sotto il vigore della Legge 6 marzo 1987, n. 74 il cui articolo 11 ha sostituito la Legge 1 dicembre 1970, n. 898 articolo 6 la disposizione contenuta nel comma 6 della norma appena richiamata consente il sacrificio della posizione del coniuge titolare di diritti reali o personali sull'immobile adibito ad abitazione familiare, mediante assegnazione di siffatta abitazione in sede di divorzio all'altro coniuge, solo alla condizione dell'affidamento a quest'ultimo di figli minori o della convivenza con esso di figli maggiorenni ma non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri, laddove, in assenza di tali condizioni, coerenti con la finalizzazione dell'istituto alla esclusiva tutela della prole e del relativo interesse alla permanenza nell'ambiente domestico in cui essa e' cresciuta, l'assegnazione medesima non puo' essere disposta in funzione integrativa o sostitutiva dell'assegno divorzile, ovvero allo scopo di sopperire alle esigenze di sostentamento del coniuge ritenuto economicamente piu' debole, a garanzia delle quali e' destinato unicamente l'assegno anzidetto, onde la concessione del beneficio in parola resta subordinata agli imprescindibili presupposti sopra indicati (Cass., n. 8221 del 2006).

Piu' di recente, questa Corte ha affermato che "il previgente articolo 155 c.c. ed il vigente articolo 155 quater c.c. in tema di separazione e l'articolo 6 della legge sul divorzio subordinano il provvedimento di assegnazione della casa coniugale alla presenza di figli, minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente conviventi con i coniugi; in assenza di tale presupposto, sia la casa in comproprieta' o appartenga a un solo coniuge, il giudice non potra' adottare, con la sentenza di separazione, un provvedimento di assegnazione della casa coniugale, non essendo la medesima neppure prevista dall'articolo 156 c.c., in sostituzione o quale componente dell'assegno di mantenimento. In mancanza di norme ad hoc, la casa familiare in comproprieta' resta soggetta alle norme sulla comunione, al cui regime dovra' farsi riferimento per l'uso e In divisione". (Cass., n. 6979 del 2007).

Se, dunque, alla luce di tali principi deve escludersi che possa darsi luogo ad assegnazione della casa coniugale al coniuge non affidatario dei figli minori o non convivente con figli maggiorenni non autosufficienti economicamente, la situazione non muta allorquando, come nella specie, con il coniuge divorziato che richieda detta assegnazione conviva un figlio minare che non sia anche figlio dell'altro coniuge, ma di una persona diversa. La disciplina dell'assegnazione della casa coniugale postula invero, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, che i soggetti alla cui tutela e' preordinata l'assegnazione siano figli di entrambi i coniugi ai quali sia riferibile la disponibilita', in via esclusiva o in comproprieta', della casa coniugale.

In tale prospettiva si rivela del tutto inconferente la sentenza n. 166 del 1998 della Corte costituzionale, richiamata dalla ricorrente, potendosi anzi da detta pronuncia desumere ulteriori argomenti nel senso che i figli alla cui tutela deve essere preordinata l'assegnazione della casa coniugale sono proprio quelli nati dai genitori della cui separazione si discute. Con tale pronuncia, infatti, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, con riferimento agli articoli 3 e 30 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 155 c.c., comma 4, nella parte in cui non prevede la possibilita' di assegnare in godimento la casa familiare al genitore naturale affidatario di un minore, o convivente con prole maggiorenne non economicamente autosufficiente, anche se lo stesso genitore affidatario non sia titolare di diritti reali o di godimento sull'immobile.

A tale conclusione la Corte e' giunta sulla base delle seguenti argomentazioni: la questione deve essere risolta ponendosi sul piano del rapporto di filiazione e delle norme ad esso relative; l' articolo 261 c.c. enuncia il fondamentale principio in forza del quale il riconoscimento del figlio naturale comporta, da parte del genitore, l'assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi; nello spirito della riforma del diritto di famiglia del 1975, il matrimonio non costituisce piu' elemento di discrimine nei rapporti tra genitori e figli (legittimi e naturali riconosciuti), identico essendo il contenuto dei doveri, oltreche' dei diritti, degli uni nel confronti degli altri, e la condizione giuridica dei genitori tra di loro, in relazione al vincolo coniugale, non puo' determinare una condizione deteriore per i figli, poiche' quell'insieme di regole, che costituiscono l'essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole, derivante dalla qualita' di genitore, trova fondamento nell'articolo 30 Cost., il quale richiama i genitori all'obbligo di responsabilita'; il valore costituzionale di tutela della filiazione trova concreta specificazione nelle disposizioni previste dagli articoli 147 e 148 c.c., che, in quanto complessivamente richiamate dal successivo articolo 261 c.c., devono essere riguardate nel loro contenuto effettivo, indipendentemente dalla menzione legislativa della "qualita" di coniuge, trattandosi dei medesimi doveri imposti ai genitori che abbiano compiuto il riconoscimento dei figli naturali; l'obbligo di mantenimento della prole, sancito dall'articolo 147 c.c., comprende in via primaria il soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse inscindibilmente alla prestazione dei mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico del figlio, e segnatamente, tra queste, la predisposizione e la conservazione dell'ambienta domestico, considerato quale centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita, che contribuisce in misura fondamentale alla formazione armonica della personalita' del figlio. L'interpretazione sistematica dell'articolo 30 Cost. in correlazione agli articoli 261, 146 e 148 c.c., ha osservato la Corte costituzionale, impone che l'assegnazione della casa famiglia nell'ipotesi di cessazione di un rapporto di convivenza more uxorio, allorche' vi siano figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, deve regolarsi mediante l'applicazione del principio di responsabilita' genitoriale, il quale postula che sia data tempestiva ed efficace soddisfazione alle esigenze di mantenimento del figlio, a prescindere dalla qualificazione dello status. Da tali principi, dunque, non solo non e' desumibile alcun argomento a favore dell'assunto della ricorrente, ma risulta confermato che anche nella situazione di fatto considerata da detta sentenza la responsabilita' genitoriale rispetto ai figli postula elite questi siano tali per entrambi i genitori.

Il secondo motivo del ricorso principale e' inammissibile. Esso si sostanzia, infatti, nonostante la deduzione di un vizio di violazione di legge, in una censura della motivazione del decreto della Corte d'appello in ordine alla determinazione dell'assegno posto a carico di essa ricorrente principale. E tali misure, trattandosi di ricorso ex articolo 111 Cost., non potendosi considerare la motivazione inesistente o meramente apparente, sono in quanto tali inammissibili.

E' invece manifestamente fondato l'unico motivo di ricorso incidentale, posto che dal reclamo proposto dall'IN. emerge che questi aveva censurato il decreto del Tribunale di Bergamo per la statuizione relativa alla decorrenza dell'assegno posto a carico della TA., decorrenza stabilita a far data dallo stesso decreto anziche' dalla domanda. E su tale specifico punto l'impugnato decreto non contiene alcuna statuizione, risultando quindi viziato da omessa pronuncia, cosi come denunciato dall'IN..

Il ricorso incidentale deve quindi essere accolto e il decreto impugnato deve essere sul punto cassato. Non essendo peraltro necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa puo' essere decisa nel merito, ex articolo 384 c.p.c., con la condanna della TA. al pagamento, in favore dell'IN., dell'assegno per il mantenimento del figlio Ma., nella misura stabilita, dalla data della domanda proposta dall'IN..

La TA. deve altresi' essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimita', nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie quello incidentale; cassa in parte qua il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la TA. al pagamento dell'assegno nella misura stabilita dalla data della domanda; condanna, inoltre, la TA. al pagamento delle spese del giudizio di legittimita', che liquida in euro 1.100,00, di cuti euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.

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