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Il padre è obbligato a mantenere la figlia maggiorenne e convivente con la madre che, con un diploma di ragioneria, svolge attività di commessa a tempo indeterminato se l'attività lavorativa non corrisponde alle sue aspirazioni
Pubblicata il 01/09/2011
Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 27 giugno 2011, n. 14123
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente
Dott. FELICETTI Francesco - Consigliere
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere
Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere
Dott. CAMPANILE Pietro - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RU. AN. , elettivamente domiciliato in Roma, Via Filippo Ermini, n. 68, nello studio dell'Avv. Claudia Salustri; rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall'Avv. MOMARONI Paolo;
- ricorrente -
contro
VO. MA. , elettivamente domiciliata in Roma, Via Asiago, n. 9, nello studio dell'Avv. Francesca Fratini; rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall'Avv. ORLANDO Carlo;
- controricorrente -
avverso il decreto della Corte di appello di Perugina depositato in data 9 giugno 2007, n. 250/07 V.G.;
sentita la relazione all'udienza del 16 marzo 2011 del Consigliere Dott. Pietro Campanile;
Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto Dott. Immacolata Zeno, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - Con ricorso depositato il 31 luglio 2006 Ru. An. chiedeva al Tribunale di Perugia che fosse revocato l'assegno di mantenimento, pari, originariamente, a lire 650.000 mensili, disposto in favore della moglie sig.ra Vo. Ma. con la sentenza di separazione personale in data 23 maggio 2000, a titolo di contributo al mantenimento della figlia Te. , la quale, minorenne all'epoca della decisione, era ormai venticinquenne e aveva conseguito l'autosufficienza economica, avendo gia' prestato - essendosi per altro rifiutata di collaborare nell'azienda artigianale del padre - attivita' lavorativa come commessa, da cui si era licenziata, per poi intraprendere nuovamente, presso altra azienda, le medesime mansioni.
Aggiungeva il ricorrente che, a seguito del pensionamento, le proprie condizioni economiche si erano deteriorate.
Si costituiva la Vo. , deducendo che l'attivita' svolta dalla figlia, assunta a part-time con contratto di apprendistato, non solo non era corrispondente al titolo professionale conseguito, ma era limitata nel tempo e comunque inidonea, essendo pari a circa euro 600,00 mensili, al conseguimento dell'autosufficienza economica.
1.1 - Il tribunale accoglieva il ricorso.
1.2 - La Corte di appello di Perugia, pronunciando sul reclamo proposto dalla Vo. , richiamato l'orientamento secondo cui la prestazione di attivita' lavorativa da parte del figlio maggiorenne non esclude una valutazione da parte del giudice circa l'esiguita' del relativo reddito al fine di escludere la cessazione dell'obbligo del contribuito posto a carico del genitore non convivente, osservava che l'attivita' di commessa svolta dalla giovane, non confacente alle sue aspirazioni e al diploma di ragioneria conseguito, in ogni caso, ammontando a circa 600,00 euro mensili, non consentiva il conseguimento della piena autosufficienza economica, tale da determinare la cessazione dell'obbligo posta a carico del padre, bensi' la sua attenuazione.
Pertanto, rilevato che non risultava provato il dedotto deterioramento delle condizioni economiche del Ru. , l'ammontare del contributo veniva determinato in euro 150,00 mensili.
1.3 - Avverso tale decreto il Ru. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Resiste con controricorso la Vo. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
2 - Col il primo motivo si deduce contraddittorieta' della motivazione in relazione a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c. - "sia prestatrice di lavoro quale dipendente regolarmente assunta e retribuita con contratto a tempo indeterminato".
2.1 - Con il secondo motivo il Ru. denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 155 c.c., per non essersi tenuto conto dell'attivita' lavorativa ormai svolta a tempo indeterminato dalla figlia maggiorenne.
Viene al riguardo formulato il seguente quesito di diritto:
"Valuti la Suprema Corte di cassazione se sussista (o permanga o risorga) o no l'obbligo del genitore, al quale in origine non e' stata affidata la figlia, di contribuzione al mantenimento della figlia stessa (affidata all'altro genitore) nonostante la stessa sia divenuta maggiorenne e prestatrice di lavoro quale dipendente regolarmente assunta e retribuita con contratto a tempo indeterminato. Specie ove la stessa abbia rassegnato, sena valide ed oggettive ragioni, le proprie dimissioni da precedente lavoro di rapporto dipendente, ove era stata regolarmente assunta inquadrata, retribuita ed assicurata".
2.2 - L'intima connessione esistente fra i due motivi, nei quali la medesima questione e' prospettata sia dal punto di vista del vizio motivazionale che sotto il profilo della violazione della norma contenuta nell'articolo 155 c.c., consiglia il loro esame congiunto.
La Corte di appello di Perugia non ha affatto disconosciuto l'attivita' lavorativa svolta dalla figlia maggiorenne del Ru. , ma ha ritenuto, fornendo al riguardo una motivazione di certo non contraddittoria, che la stessa non fosse sufficiente per escludere l'obbligo, facente capo al padre, di contribuire al suo mantenimento.
Deve in proposito richiamarsi l'orientamento, gia' espresso da questa Corte, e condiviso dal Collegio, secondo cui, in regime di separazione o divorzio fra i genitori, l'obbligo di versare il contributo di mantenimento per i figli maggiorenni al coniuge presso il quale vivono cessa solo ove il genitore obbligato provi che essi abbiano raggiunto l'indipendenza economica, percependo un reddito corrispondente alla professionalita' acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato, ovvero che essi si sottraggano volontariamente allo svolgimento di un'attivita' lavorativa adeguata. Una volta che sia provato l'inizio di un'attivita' lavorativa retribuita, costituisce valutazione di merito, incensurabile in cassazione se motivata, quella circa l'esiguita', in relazione alle circostanze del caso, del reddito realizzato al fine di escludere o diminuire l'assegno (ex multis: Cass., 24 gennaio 2011, n. 1611; Cass. 17 novembre 2006, n. 24498; 17 giugno 2006, n. 15756; 24 novembre 2004, n. 22214; 3 aprile 2002, n. 4765).
La Corte d'appello ha correttamente applicato tale principio, con una valutazione di merito adeguatamente motivata, laddove ha posto in evidenza, da un lato, la circostanza che, "normalmente, anche lo sfruttamento del diploma di ragioniera di cui (la figlia) e' munita richiede oggi un tempo ben maggiore che nel passato" (ragion per cui il precedente abbandono della medesima occupazione di commessa e' stato ricondotto nella "naturale aspirazione a reperire, in termini ragionevoli, un'occupazione piu' confacente alle proprie caratteristiche di scolarizzazione"), e, dall'altro, l'evidente inadeguatezza del compenso (pari a circa 600/650 euro mensili) rispetto alle complessive esigenze di vita della ragazza.
Ove si consideri che la decisione impugnata, tenendo conto di quanto percepito dalla predetta Ru.Te. lavorando come commessa, ha ridotto sensibilmente l'assegno gia' versato dal ricorrente, in modo da ricondurlo a quanto ritenuto necessario per sopperire, unitamente agli apporti della madre, alle esigenze primarie della figlia, deve escludersi qualsiasi contraddizione sul piano logico, essendosi operata una valutazione coerente con lo scopo di assecondare, nei limiti della ragionevolezza e sulla base delle circostanze concrete inerenti alla possibilita' di inserimento nel mondo del lavoro, le aspirazioni della figlia maggiorenne, e, al contempo, di garantire alla stessa il mantenimento fino a quando non abbia acquisito un'adeguata autosufficienza di natura economica.
La quale, come gia' evidenziato, deve essere accertata anche sulla base di una corrispondenza, quanto meno tendenziale, fra le capacita' professionali acquisite e le reali possibilita' offerte dal mercato del lavoro, tenendo naturalmente conto, come e' avvenuto nel caso di specie, dell'assenza di colpevoli inerzie o rifiuti ingiustificati e, soprattutto, dell'entita' dei proventi dell'attivita' esercitata nella ragionevole attesa di una collocazione nel mondo del lavoro adeguata alle capacita' professionali e alle proprie aspirazioni, se ed in quanto concretamente e meritevolmente coltivate, nonche' prive di qualsiasi carattere velleitario.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Il regolamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo, segue la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controparte, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimita', liquidate in euro 1000,00, di cui euro 800,00 per onorari.