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In sede di separazione il secondo lavoro secondo lavoro rientra nel reddito anche se serve solo per gli "extra" dei figli
Pubblicata il 15/09/2008
respinto il ricorso del pensionato che rifiutava di pagare l'assegno alla ex moglie sul rilievo che i proventi dell'attività svolta erano stati totalmente assorbiti dalle esigenze straordinarie della prole. (
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente
Dott. MORELLI Mario Rosario - Consigliere
Dott. BONOMO Massimo - rel. Consigliere
Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere
Dott. FITTIPALDI Onofrio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CA. DO., elettivamente domiciliato in Roma, Via G.P. da Palestrina 19, presso l'Avv. PAGLIARI Massimo, rappresentato e difeso da quest'ultimo e dall'Avv. Salvatore Di Grazia per procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
DI. RU. AN., elettivamente domiciliata in Roma, Richiesta copia studio via Guido D'Arezzo 32, presso l'Avv. CAVALIERE Alberto, rappresentato e difeso da quest'ultimo e dall'Avv. Quarto Montebelli giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenze della Corte d'Appello di Bologna n. 1152/03 depositata il 6 novembre 2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3.3.2008 dal Consigliere Dott. Massimo BONOMO;
udito l'avv. Carlo Borromeo (per delega) per la parte ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito l'avv. Alberto Cavaliere per la parte controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l'inammissibilita' o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Rimini, dopo aver dichiarato con sentenza non definitiva n. 639/2001 la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra Ca.Do. e Di. Ru.An., con sentenza definitiva depositata il 25 giugno 2003 poneva a carico del Ca. un assegno: divorzile di euro 150,00 mensili, a decorrere dal gennaio 2000.
La Corte d'appello di Bologna, con sentenza depositata il 6 novembre 2003, rigettava l'impugnazione del Ca., osservando: a) che le potenzialita' reddituali del nucleo familiare e la fascia socio economica di appartenenza emergevano agevolmente dalle risultanze documentali; b) che le parti erano entrambi pensionati con trattamenti equivalenti, ma il Ca. disponeva anche di proventi della sua attivita' di sub-agente assicurativo, sicche' la Di. Ru. non appariva in grado di conservare con i propri mezzi il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, tenuto anche conto che sul suo reddito incidevano spese mediche di un certo rilievo per patologie suscettibili di aggravamento; c) che sia il Ca. che la Di. Ru. erano proprietari di un appartamento, anche se quello del Ca. era gravato di un mutuo.
Avverso la sentenza d'appello Ca.Do. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria.
Di. Ru.An. ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l'unico mezzo d'impugnazione il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione della Legge n. 898 del 1970 articolo 5 comma 6, e succ. mod., nonche' omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Si deduce che la Corte di appello aveva omesso qualsiasi indagine sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, che costituiva un presupposto indefettibile per l'attribuzione dell'assegno di divorzio ed aveva illogicamente concluso che la Di. Ru. non poteva conservare con i propri mezzi tale tenore di vita, sanando in tal modo il difetto di prova in cui era incorsa la parte richiedente l'assegno. Inoltre, la Corte territoriale non aveva considerato: a) che il reddito aggiuntivo del Ca., quale subagente assicurativo, era stato impiegato per le esigenze "extra" dei figli, sicche' non influiva sul tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, che era quello derivante dagli stipendi dei medesimi; b) che la contrazione di un mutuo per l'acquisto di un appartamento aveva comportato un depauperamento patrimoniale per il Ca., il cui secondo reddito veniva interamente impiegato per il pagamento della rata mensile; c) che nessuna giustificazione era stata fornita dalla Di. Ru. sulla tipologia delle i spese mediche che asseriva di aver sostenuto e che, comunque, la patologia del diabete mellito, dalla quale era affetta, era una di quelle per le quali e' prevista l'esenzione dalle spese; d) che l'andamento ingravescente delle patologie, cui la Corte d'appello aveva fatto riferimento, avrebbe dovuto essere eventualmente valutato nell'ambito del procedimento di cui alla Legge n. 898 del 1970, articolo 9, e che, comunque, si trattava di spese mediche decrescenti negli anni, essendo ammontate nel 1998 a circa lire 4 milioni ed a circa 3.300.000 nel 1999, come risultava dalla dichiarazione dei redditi della Di. Ru..
Non sussisteva, infine, secondo il ricorrente, l'ulteriore requisito richiesto per la determinazione del quantum dell'assegno divorzile, e cioe' l'idoneita' a sostenere il peso del contributo post-matrimoniale da parte del Ca., titolare di un trattamento di quiescenza equivalente a quello della Di. Ru. e, a differenza di quest'ultima, onerato dal pagamento di un mutuo ipotecario per l'acquisto della casa di abitazione.
2. Il ricorso non e' fondato.
L'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto (Cass. 12 luglio 2007 n. 15610, 28 febbraio 2007 n. 4764, 7 maggio 2002 n. 6541). Correttamente il giudice del merito desume il tenore di vita precedente dall'ammontare complessivo dei redditi dei coniugi "manente matrimonio" (Cass. 6 ottobre 2005 n. 19446, Cass. 16 luglio 2004 n. 13169);
Nella specie, la sentenza impugnata e' coerente con tali principi, essendo pervenuta alla conclusione che la Di. Ru. non appariva in grado di conservare con i propri mezzi il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio dopo aver desunto tale tenore di vita dalla situazione reddituale dei coniugi. La Corte d'appello ha dapprima affermato che il tenore di vita in costanza di matrimonio era stato correttamente individuato dai primi giudici, considerato che si trattava di persone che avevano svolto per malti anni la stessa attivita'. Il richiamo e' evidentemente riferito alla valutazione riportata nella narrativa della sentenza impugnata, in cui si rileva che il Tribunale aveva osservato che, tenuto conto del tenore di vita manente matrimonio proprio di due dipendenti pubblici con due figli, il dato aggiuntivo e rilevante era l'attivita' lavorativa ancora in corso per il Ca., con redditi di poco inferiori a quelli di pensione. Su tale attivita' lavorativa si sofferma poi la Corte territoriale, la quale, premesso che Ca.Do. e Di. Ru. An. erano entrambi pensionati e percepivano trattamenti di quiescenza di analogo importo, intorno ai 1.100 euro al mese, sottolinea che il Ca. godeva inoltre dei proventi della sua attivita' quale sub-agente assicurativo, iniziata gia' prima della separazione.
La tesi del ricorrente, secondo cui, il proprio reddito aggiuntivo non avrebbe avuto influenza sul tenore di vita, perche' era stato impiegato esclusivamente per le esigenze straordinarie dei figli, non puo' essere condivisa, trattandosi comunque di una componente delle potenzialita' economiche dei coniugi, da cui correttamente viene desunto il tenore di vita dei medesimi (Cass. 15610/07 e 4764/07 cit.).
Deve, quindi, escludersi la sussistenza della denunciata violazione della Legge n. 898 del 1970 articolo 5.
Non sussistono nemmeno i lamentati vizi di motivazione.
La contrazione di un mutuo da parte del Ca. per l'acquisto di un appartamento, e' stata valutata dalla Corte d'appello, la quale ha pero' logicamente osservato che la vendita da parte del Ca. di un appartamento per acquistarne un altro, corrispondendo un mutuo, non esprime alcun depauperamento, visto che alla vendita corrisponde l'incasso del corrispettivo e che all'esborso per il successivo acquisto corrisponde l'incremento immobiliare.
Quanto alle spese mediche gravanti sulla Di. Ru., secondo la Corte d'appello la loro incidenza sul reddito della medesima, considerata dal Tribunale nei limiti di quanto dalla stessa dichiarato nelle denunce IRPEF, era modesta, ma non certo irrilevante, tanto piu' che le patologie da cui era affetta (diabete mellito ed altro) sono ad andamento ingravescente.
Tali considerazioni appaiono congrue e logiche, cosi' da sfuggire a censure in questa sede, nella quale non e' possibile procedere ad una rivalutazione di elementi di fatto.
3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come nel dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente in ragione della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 800,00 per onorari ed euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed accessori di legge.