In tema di separazione l'abbandono del tetto coniugale non comporta l'addebito se la crisi era già irreversibile

La pronuncia di addebito non puo' fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti dall'articolo 143 c.c., a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione, lungi dall'essere intervenuta quando era gia' maturata e in conseguenza di una situazione di intollerabilita' della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale. L'apprezzamento circa la responsabilita' di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilita' della convivenza e' istituzionalmente riservato al giudice di merito e non puo' essere censurato in sede di legittimita' in presenza di una motivazione congrua e logica.

Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 15 luglio 2010, n. 16614



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Gabriella - Presidente

Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere

Dott. NAPPI Aniello - Consigliere

Dott. BERNABAI Renato - Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Co. Ca. , domiciliato in Roma, Via Virgilio 38, presso l'avv. L. Ranieri, rappresentato e difeso dall'avv. FALZONE L., come da mandato a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

D'. Gi. , domiciliata in Roma, piazza Martiri di Belfiore 2, presso l'avv. G. Alessi, rappresentata e difesa dall'avv. RABIOLO P., come da mandato a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 237/2006 della Corte d'appello di Caltanissetta, depositata il 28 giugno 2006;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;

Udite le conclusioni del P.M., Dr. CENICCOLA Raffaele, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Caltanissetta si e' pronunciata nel giudizio di separazione personale tra i coniugi Co.Ca. e D'.Gi. .

I giudici d'appello hanno cosi' deciso:

a) hanno ribadito il rigetto della domanda di addebito della separazione alla moglie, ritenendo che l'allontanamento della moglie dalla casa coniugale era stato conseguenza e non causa della rottura del rapporto tra i coniugi;

b) hanno confermato l'assegnazione alla moglie della casa coniugale, nella quale la donna convive con la figlia maggiorenne e non ancora autosufficiente, oltre che di un assegno mensile di duecento euro.

Contro questa sentenza ricorre ora per cassazione Co. Ca. e propone quattro motivi d'impugnazione, cui resiste con controricorso D'.Gi. .

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo c.c. e all'articolo 115 c.p.c., lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente negato rilevanza alla violazione dell'obbligo di coabitazione da parte di D'. Gi. .

Sostiene che manchi la prova di un logoramento del rapporto preesistente all'abbandono della casa coniugale da parte di D'. Gi. , non potendo in tal senso valutarsi la deposizione lacunosa e generica della figlia Ca. . E si duole che i giudici del merito abbiano omesso di valutare la mancata contestazione da parte della moglie della deduzione relativa al suo allontanamento dalla casa coniugale.

Il motivo e' infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, nella separazione personale "la pronuncia di addebito non puo' fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti dall'articolo 143 c.c., a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione, lungi dall'essere intervenuta quando era gia' maturata e in conseguenza di una situazione di intollerabilita' della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale. L'apprezzamento circa la responsabilita' di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilita' della convivenza e' istituzionalmente riservato al giudice di merito e non puo' essere censurato in sede di legittimita' in presenza di una motivazione congrua e logica" (Cass., sez. 1, 28 aprile 2006, n. 9877, m. 588786).

Nel caso in esame dunque non e' in discussione l'allontanamento di D'.Gi. dalla casa coniugale, che, come il ricorrente ricorda, non e' stato mai contestato dalla donna. Cio' che rileva e' se l'intollerabilita' della convivenza tra i coniugi abbia in tale allontanamento la sua origine. E questo rapporto di causalita' e' stato del tutto plausibilmente escluso dai giudici del merito, anche sulla base della deposizione della figlia Ca. , rivelatrice di per se' di una situazione ormai degradata gia' da tempo.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 115 e 116 c.p.c., censurando l'assegnazione della casa coniugale alla moglie.

Lamenta che i giudici del merito abbiano giustificato la propria decisione con riferimento alle condizioni economiche di D'. Gi. , anziche' alle esigenze della figlia, la cui mancanza di indipendenza economica non risulta dimostrata.

Aggiunge che la moglie e la figlia, abbandonando spontaneamente l'abitazione familiare, hanno gia' dimostrato di non avervi interesse; mentre egli vi ha trasferito la propria attivita' economica.

Il motivo e' infondato.

Come gia' l'articolo 155 quater c.c., prevede ora che "il godimento della casa familiare e' attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli", benche' prescriva che dell'assegnazione il giudice tenga conto "nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprieta'".

Nel caso in esame i giudici del merito hanno confermato l'assegnazione della casa coniugale a D'.Gi. , in ragione della sua convivenza con la figlia Ca. , maggiorenne e non ancora indipendente economicamente.

La considerazione per le condizioni economiche della donna, disoccupata, ha solo supportato la giustificazione riferita all'interesse della figlia convivente.

Il ricorrente, sulla base della deposizione della ragazza, contesta che la figlia non sia economicamente autosufficiente. Ma e' evidente che un reddito inferiore a euro 170,00 mensili percepito come apprendista non puo' essere considerato tale da assicurare autonomia economica.

3. Il terzo e il quarto motivo del ricorso attengono al riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore di D'. Gi. .

Con il terzo motivo il ricorrente deduce omessa motivazione in ordine al comportamento della moglie, decisivo ai fini del riconoscimento dell'assegno di mantenimento. Sostiene infatti che la donna, non avendo mai posto in esecuzione la sentenza che le riconosceva crediti pregressi ne' proposto alcuna azione a tutela dei suoi crediti, ha dimostrato di non essere in stato di bisogno.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce omessa motivazione in ordine al mutamento delle sue condizioni economiche, lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente valutato la documentazione fiscale prodotta e abbiano apoditticamente ritenuto inveritiera la sua affermazione di aver cessato l'attivita' commerciale.

I motivi sono entrambi inammissibili, perche' sono formulati in violazione dell'articolo 366 bis c.p.c., e comunque propongono censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata con riferimento a una ragionevole valutazione della situazione economica delle parti.

Secondo la giurisprudenza di questa corte in tema di assegno di mantenimento e di concreta determinazione del relativo ammontare, infatti, e' incensurabile in sede di legittimita' l'apprezzamento del giudice di merito formulato in maniera non illogica sulla base delle informazioni ritenute significative (Cass., sez. 1, 3 agosto 2007, n. 17055, m. 599718).

Nel caso in esame i giudici del merito, escludo che D'. Gi. abbia un qualsiasi reddito, hanno ritenuto che Ca. Ca. , seppur gravato dei debiti propri di ogni attivita' di impresa, continui nella sua attivita' commerciale, come dimostrato tra l'altro proprio dalla documentazione dei suoi debiti tributari. E questa ricostruzione dei fatti non e' certamente censurabile nel giudizio di legittimita'.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della resistente, liquidandole in complessivi euro 1.700,00, di cui euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.
 

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