L'art. 155, quarto comma, cod. civ. il quale dispone che l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli, non detta una regola assoluta

In tema di separazione personale dei coniugi, l'art. 155, quarto comma, cod. civ. (nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 1 della legge 8 febbraio 2006, n. 54), il quale dispone che l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli, non detta una regola assoluta che rappresenti una conseguenza automatica del provvedimento di affidamento, ma attribuisce un potere discrezionale al giudice, il quale può pertanto limitare l'assegnazione a quella parte della casa familiare realmente occorrente ai bisogni delle persone conviventi nella famiglia, tenendo conto, nello stabilire le concrete modalità dell'assegnazione, delle esigenze di vita dell'altro coniuge e delle possibilità di godimento separato e autonomo dell'immobile, anche attraverso modesti accorgimenti o piccoli lavori.

Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 17 dicembre 2009, n. 26586



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo - Presidente

Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere

Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere

Dott. SCHIRO’ Stefano - rel. Consigliere

Dott. FITTIPALDI Onofrio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

TA. EN. , elettivamente domiciliato in Roma, via Luigi Luciani 1, presso l'avv. Carleo Roberto, che lo rappresenta e difende per procura in atti;

- ricorrente -

contro

ZA. LU. ;

- intimata -

avverso il decreto della Corte di appello di Brescia in data 28 luglio 2006, nel procedimento n. 226/2006 R.G.;

Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 29 ottobre 2009 dal relatore, cons. Dott. SCHIRO' Stefano;

udito, per il ricorrente, l'avv. Roberto Carleo, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale, Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ta.En. propone nei confronti di Za.Lu. ricorso per Cassazione, articolato su due motivi, avverso il decreto della Corte di appello di Brescia in data 28 luglio 2006, che, disattesa ogni altra domanda delle parti, ha respinto il reclamo dal medesimo Ta. proposto, ex articolo 708 c.p.c., comma 4, avverso l'ordinanza in data 4 luglio 2006, con la quale il Presidente del Tribunale di Brescia ha adottato provvedimenti provvisori e urgenti nel giudizio di separazione personale dei suddetti coniugi, autorizzando i coniugi stessi a vivere separati, affidando i tre figli minori alla madre, assegnando a quest'ultima la casa familiare, oltre ad una parte del locale accessorio (scantinato) prossimo alla scala interna, da definire tra le parti e tale da consentire al marito di proseguire nell'utilizzo a magazzino dell'altra parte del locale, e disponendo infine a favore dei figli ed a carico del marito un assegno di mantenimento di euro 3.000,00 mensili.

L'intimata Za.Lu. non ha svolto difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente - denunciando violazione e falsa applicazione dell'articolo 708 c.p.c., degli articoli 2555, 2082, 2083 e 155 c.c., nonche' vizio di motivazione - deduce che il provvedimento impugnato pregiudica gravemente il diritto di proprieta' e di gestione della sua azienda, costituita da un capannone adiacente all'abitazione, dal locale adibito ad ufficio posto all'interno della stessa abitazione e dal magazzino sottostante a questa, della superficie di circa 400 mq.. Il Ta. soggiunge che la Corte di appello ha ritenuto le richieste da lui avanzate non compatibili con le esigenze collegate alla protezione dell'habitat dei figli minori, sulla base di generiche considerazioni non specificamente motivate, senza considerare che il disposto dell'articolo 155 c.c., comma 4, pone un criterio meramente preferenziale, derogabile quando il vantaggio legato alla permanenza dei figli non e' proporzionato alla gravosita' della soluzione per il coniuge non affidatario, e senza tener conto della necessita' di vita del coniuge non affidatario in relazione alla possibilita' di godimento separato e autonomo dell'immobile, nella specie perfettamente attuabile.

Il ricorrente lamenta inoltre che la Corte di appello non ha argomentato in ordine alle problematiche attinenti alla tutela del complesso aziendale di sua proprieta'.

2. Il motivo e' privo di fondamento.

La giurisprudenza di questa Corte ha gia' chiarito che in tema di separazione personale dei coniugi, la norma di cui all'articolo 154 c.c., comma 4, (nel testo applicabile alla fattispecie "ratione temporis", prima delle modifiche introdotte dalla Legge n. 54 del 2006), nel prevedere che l'assegnazione della casa familiare sia disposta ove possibile di preferenza al coniuge affidatario dei figli, e' finalizzata alla esclusiva tutela della prole e all'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui e' cresciuta (Cass. 2004/12309; 2006/1545) e quindi alla conservazione dell'habitat domestico, inteso come centro degli affetti interessi e consuetudini nei quali si esprime e si articola la vita familiare (Cass. 1995/12083; 2008/9995) ed e' proprio l'esigenza di soddisfare tale interesse che, secondo la "ratio" della norma, giustifica il potere del giudice di imporre al coniuge titolare del diritto reale o personale di godimento dell'immobile il sacrificio della sua situazione soggettiva. Di conseguenza il giudice, nel determinarsi in ordine alla assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario dei figli, deve avere esclusivo riguardo all'interesse della prole, subordinando a tale interesse le esigenze di vita dell'altro coniuge, anche eventualmente collegate allo svolgimento nell'abitazione familiare di attivita' lavorativa o imprenditoriale.

2.1. A tale riguardo osserva il collegio che nel caso di specie non puo' trovare applicazione il principio, enunciato da questa Corte nella sentenza n. 8705/1990 e richiamato dal ricorrente, secondo cui la regola dell'affidamento dell'abitazione familiare al coniuge assegnatario dei figli minori e' suscettibile di deroga, quando il vantaggio della permanenza dei figli nella casa familiare, alla luce della peculiarita' del caso concreto, non sia proporzionato alla gravosita' della soluzione per il coniuge non affidatario. Infatti il richiamato principio e' stato formulato con riferimento ad una situazione di fatto di particolar ed estrema gravita' (coniuge affidatario affetto da gravi menomazioni invalidanti, che richiedevano la conservazione dell'uso della casa, gia' attrezzata ed idonea ad accogliere personale di assistenza), in nessun modo corrispondente o omogenea, per le sue peculiarita', a quella dedotta nel presente giudizio, dove la ragione ostativa all'assegnazione al coniuge affidatario dell'abitazione e' stata rappresentata dal ricorrente nella coincidenza tra casa familiare e luogo di svolgimento dell'attivita' imprenditoriale, ma in realta', secondo quanto esposto dallo stesso Ta. nel suo ricorso, riguarda soltanto e marginalmente il locale ufficio - posto all'interno dell'abitazione e per il quale neppure si deduce l'impossibilita' di una diversa collocazione all'interno del complesso aziendale - ma non il locale adibito a capannone, separato dall'abitazione, e lo scantinato adibito a magazzino, rimasto nella parziale disponibilita' del Ta. per effetto dello stesso provvedimento della Corte di appello qui impugnato.

2.2. Va comunque altresi' rilevato che, prevedendo l'articolo 155 c.c., comma 4, non una regola assoluta che rappresenti un'automatica conseguenza del provvedimento di affidamento (Cass. 1995/12083), ma una regola direttiva, la cui applicazione discrezionale e' rimessa al giudice, questi ha certamente il potere di limitare l'assegnazione a quella parte della casa familiare realmente occorrente ai bisogni delle persone conviventi della famiglia, tenendo conto, nello stabilire le concrete modalita' dell'assegnazione, delle esigenze di vita dell'altro coniuge e delle possibilita' di godimento separato e autonomo dell'immobile, anche attraverso modesti accorgimenti o piccoli lavori (Cass. 1986/6570; 1990/11787).

2.3. Ai principi fin qui enunciati la Corte di merito si e' nella specie uniformata, sulla base di idonea motivazione immune da vizi logici, da un lato ravvisando l'interesse della prole a rimanere nell'ambiente domestico in cui e' vissuta e conseguentemente ritenendo che le esigenze rappresentate dal Ta. in ordine alla continuita' nell'esercizio dell'impresa edile di cui egli e' titolare non costituivano ragioni di deroga all'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario dei figli, dall'altro tenendo comunque conto, nel confermare il provvedimento di assegnazione della casa familiare da parte del Presidente del Tribunale, anche delle necessita' del Ta. funzionali allo svolgimento della sua attivita' imprenditoriale, e in tal senso ribadendo la praticabilita' dell'assegnazione soltanto parziale del locale scantinato sottostante l'abitazione (che lo stesso ricorrente riconosce avere una superficie di circa 400 mq. ed afferma essere destinato a magazzino), previo frazionamento dell'ambiente in due porzioni separate.

Le censure del Ta. , da un lato, non meritano accoglimento, in quanto, si pongono in contrasto con i principi in precedenza enunciati in ordine agli interessi che devono essere salvaguardati con il provvedimento di assegnazione dell'abitazione familiare, dall'altro sono inammissibili, in quanto si risolvono in censure di merito sulla valutazione delle risultanze di causa compiuto dalla Corte di appello in ordine alla sussistenza, nella specie, dell'interesse dei figli a continuare ad abitare nella casa familiare e alla irrilevanza o all'inadeguatezza delle argomentazioni addotte in fatto dal Ta. per opporsi al provvedimento di assegnazione di detta casa al coniuge affidatario.

3. Con il secondo motivo il ricorrente si duole di essere stato condannato al pagamento delle spese processuali, in applicazione del principio della soccombenza, mentre nel caso di specie si e' verificata soccombenza di entrambe le parti e tale circostanza avrebbe dovuto indurre la Corte a compensare dette spese. In particolare il Ta. deduce che anche la Za. ha formulato nella comparsa di risposta davanti alla Corte di appello domande relative ad ulteriori oneri da porsi a suo carico, su cui la stessa Corte non provveduto, ritenendo che dovessero essere proposte nel giudizio ordinario davanti al giudice istruttore.

3.1. Anche tale censura e' priva di fondamento. Ritiene infatti il collegio che la Corte di appello, nel porre le spese del grado a carico del reclamante secondo il principio della soccombenza, ha implicitamente, ma evidentemente, fatto riferimento alla prevalente soccombenza del Ta. , che ha proposto il reclamo, contestando l'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario dei figli, e le cui censure e richieste sono state disattese, con il rigetto dell'impugnazione e la integrale conferma dell'ordinanza gravata di reclamo.

4. Le considerazioni che precedono inducono ad escludere la violazione delle norme di legge indicate dal ricorrente e i dedotti vizi di motivazione ed a rigettare conseguentemente il ricorso, ma nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo l'intimata Za.Lu. svolto difese.

P.Q.M.

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

INDICE
DELLA GUIDA IN Divorzio

OPINIONI DEI CLIENTI

Vedi tutte

ONLINE ADESSO 3432 UTENTI