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La comunione legale dei coniugi può comprendere anche gli aumenti del capitale della società di persone
Pubblicata il 27/02/2009
(Corte di Cassazione, Sez. II, Sentenza 2 febbraio 2009, n. 2569)
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La S. si costituì senza opporsi alla divisione, ma contestando che tra i beni comuni rientrasse la partecipazione societaria, e, intervenuti volontariamente nel giudizio il 22 ottobre 1994 S. G., padre della convenuta, e la società X. & C, con sentenza non definitiva del 25 ottobre 1999 il Tribunale ritenne la partecipazione esclusa dalla comunione legale e dispose la prosecuzione del giudizio per la divisione degli altri beni.
La decisione, gravata dallo I., venne riformata il 15 gennaio 2004 dalla Corte di appello di Bologna, che, in accoglimento dell'impugnazione, dichiarò "che l'elenco dei beni della comunione comprende pure le quote di partecipazione di S.G.M. nella s.p.a. X. e C.", osservando, per quello che ora rileva, che erano di proprietà comune gli aumenti della partecipazione al capitale della società sottoscritti dalla S. in costanza di matrimonio con denaro contante o proventi degli esercizi precedenti, rientrando tra gli acquisti di beni di cui all'art. 177 c.c., lett. a), e non essendo provato che i conferimenti ad essi relativi fossero avvenuti con denaro del padre e costituissero delle donazioni indirette.
I S. e la società Ing. S.G. sono ricorsi per la cassazione della sentenza con due motivi, illustrati da successiva memoria, e lo I. ha resistito con controricorso, proponendo un contestuale motivo di ricorso incidentale.
Motivi della decisione
A norma dell'art. 335 c.p.c., va disposta la riunione dei ricorsi proposti in via principale ed incidentale avverso la medesima sentenza.
Il ricorso principale, denunciando con il primo motivo la violazione dell'art. 177 c.c., comma 1, lett. a), e l'insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, si duole che la sentenza abbia:
- ritenuto che la partecipazione ad una società di persone rientrasse tra "gli acquisti" dei coniugi, costituenti oggetto di comunione legale a norma dell'art. 177 c.c., lett. a) pur essendo questa assimilabile ai diritti di credito e non a quelli reali e prevalendo in essa lo status di socio sull'aspetto patrimoniale dell'investimento; - incluso nella comunione legale anche la partecipazione inizialmente ottenuta in epoca anteriore al matrimonio, i due suoi aumenti operati in costanza di esso con l'utilizzo di riserve di utili di esercizio e quello conseguito dalla convenuta con denaro non proprio.
Con il secondo motivo, deducendo la violazione dell'art. 118, c.p.c., e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, lamenta che la sentenza abbia disconosciuto che l'acquisto dell'iniziale partecipazione della moglie alla società e di uno dei suoi successivi aumenti fosse avvenuto con denaro del padre, nonostante la precisa deposizione di un teste sull'assoluta indisponibilità economica della donna all'epoca e sulle ragioni della discordanza tra le date risultanti dalle matrici degli assegni, sulle quali il padre aveva annotato il nome della figlia, e quella dell'atto notarile con il quale l'acquisto era avvenuto.
Il due motivi per connessione possono essere esaminati congiuntamente e solo il primo è in parte fondato.
Lo status di socio non attribuisce al partecipante ad una società di persone una posizione giuridica soggettiva qualificabile in termini di diritto di credito avente ad oggetto la restituzione del conferimento o di una quota proporzionale del patrimonio sociale, giacchè, anteriormente al verificarsi di una causa di scioglimento della società o del vincolo sociale, è ipotizzabile in favore del socio soltanto una aspettativa economica, legata all'eventualità che, al momento dello scioglimento, il patrimonio della società abbia una consistenza attiva tale da giustificare l'attribuzione pro quota ai partecipanti alla società di valori proporzionali alla loro partecipazione.
La quota sociale va invece ricondotta nella nozione di beni mobili fornita dell'art. 810 c.c. ed art. 812 c.c., u.c., perchè, essendo trasferibile a terzi inter vivos e mortis causa (cfr.: Cass. civ., sez. 2^, sent. 9 settembre 1997, n. 8784) ed assoggettabile anche ad espropriazione forzata (cfr.: Cass. civ., sez. 1^, sent. 11 luglio 1962, n. 1835), pur se per l'opponibilità del trasferimento alla compagine sociale occorre il consenso degli altri soci, costituisce una cosa immateriale che può formare oggetto di diritti.
L'iniziale partecipazione di uno dei coniugi ad una società di persone ed i suoi successivi aumenti, ferma la distinzione tra la loro titolarità e la legittimazione all'esercizio dei diritti nei confronti della società che essi attribuiscono al socio, rientrano conseguentemente tra gli acquisti che, a norma dall'art. 177 c.c., lett. a), costituiscono oggetto della comunione legale tra i coniugi, anche se effettuati durante il matrimonio ad opera di uno solo di essi, e non beni personali, ove non ricorra una delle ipotesi previste dall'art. 179 c.c..
Correttamente, quindi, la Corte di appello nel motivare la propria decisione ha affermato il principio che facevano parte della comunione legale soltanto gli aumenti della partecipazione della convenuta nella società eseguiti in costanza di matrimonio ed il contrasto con esso della generica declaratoria nel successivo dispositivo che "l'elenco dei beni della comunione comprende pure le quote di partecipazione di S.G.M." impone sul punto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, non avendo distinto nella sua statuizione tra la partecipazione iniziale acquisita anteriormente al matrimonio ed i suoi aumenti successivi.
Diversamente va considerato quanto all'ulteriore questione sollevata della (ir)riferibilità degli incrementi della partecipazione nella società ad acquisti della convenuta, essendo stati due di essi effettuati mediante riserve di utili di esercizi sociali precedenti ed un altro, al pari della quota iniziale, con denari del di lei padre, che è stata risolta dal giudice di appello, in diritto, con il rilievo che nell'art. 177 c.c., mancano specificazioni limitative degli strumenti incrementativi del patrimonio comune dei coniugi e, in fatto, con quello dell'inadeguatezza della prova di una donazione indiretta.
Quanto al primo rilievo, va evidenziato che, a norma dell'art. 2262 c.c., applicabile anche alle società in nome collettivo in forza del richiamo di cui all'art 2293 c.c., nella società di persone il singolo socio, a differenza di quanto previsto nell'art. 2433 c.c., per le società di capitali, ha diritto all'immediata percezione degli utili risultanti dal bilancio dopo l'approvazione del rendiconto e che del principio che ne deriva costituisce, ad esempio, applicazione il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 1, (T.u.i.r.), che, sia pure a fini tributari, dispone che "I redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili".
Ne consegue che gli utili della società di persone, in caso di mancata distribuzione e di loro accantonamento, salvo che sussista una specifica delibera sociale in senso contrario - che nella specie non è stata allegata - non costituiscono un incremento del patrimonio della società, ma conservano la loro originaria natura di crediti dei singoli soci nei confronti della società, e che il loro utilizzo per un aumento del capitale sociale costituisce unicamente una particolare modalità dell'apporto che ad esso abbiano dato i singoli soci.
Va conseguentemente condivisa la conclusione della sentenza che non potevano essere riferiti allo status di socio acquisito dalla moglie anteriormente al matrimonio gli aumenti della sua partecipazione effettuati con utili degli esercizi precedenti che la società non a- veva distribuito ai soci.
Quanto al secondo, le censure rivoltile sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Sono inammissibili laddove non consentono di verificare l'esistenza della lamentata incongruenza logica della motivazione della decisione con le risultanze di una testimonianza, perchè, a fronte della genericità delle affermazioni del teste ravvisata dalla sentenza, non riportano il tenore letterale della deposizione che il ricorso sostiene non adeguatamente valutata.
Sono infondate nella parte in cui censurano la valutazione del giudice di merito in ordine all'assenza di riscontri oggetti vi alle dichiarazioni del teste per non essere documentato che il versamento di denaro e di assegni del padre alla figlia fosse connotato da spirito di liberalità e destinato all'aumento della partecipazione di quest'ultima alla società, giacchè l'esclusione della natura oggettiva del riscontro offerto alle generiche dichiarazioni di un teste dalle annotazioni apposte sulle matrici di assegni di conto corrente da uno dei soggetti intervenuti nel giudizio a sostegno delle ragioni della convenuta si sottrae ad un giudizio illogicità.
Alla cassazione con rinvio della sentenza impugnata per la parziale fondatezza di uno dei motivi di ricorso segue l'assorbimento del ricorso incidentale, in cui unico motivo attiene ad una regolamentazione delle spese del giudizio, che andrà riesaminata dal giudice del rinvio in relazione all'esito complessivo della lite.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi.
Accoglie parzialmente il primo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo motivo e dichiara assorbito l'esame del ricorso incidentale.
Cassa in relazione alla parte del primo motivo di ricorso principale accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2009.