La dichiarazione di addebito della separazione per comportamenti dispotici del marito non è giustificata dal dal contesto rurale in cui vive la famiglia

La dichiarazione di addebito della separazione per comportamenti dispotici del marito non può essere esclusa né in considerazione della permanenza, in alcune aree sociali, del suo ruolo gerarchicamente sovraordinato all'interno del nucleo familiare, né della passata tolleranza della moglie relativamente agli atti lesivi della propria dignità e dell'uguaglianza nelle relazioni familiari, non potendo tali circostanze rendere disponibili valori e diritti di rango costituzionale. (Fonte: Lex 24, Il sole 24ore)

Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 21 aprile 2015, n. 8094



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FORTE Fabrizio - Presidente

Dott. DOGLIOTTI Massimo - Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere

Dott. CAMPANILE Pietro - Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma, a norma dell'articolo 52 via Confalonieri 5, presso lo studio dell'avv. (OMISSIS) (p.e.c. (OMISSIS), fax n. (OMISSIS)), che la rappresenta e difende unitamente agli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) "fax n. (OMISSIS), p.e.c. (OMISSIS) (OMISSIS)") per mandato speciale in calce al ricorso;

- ricorrente -

nei confronti di:

(OMISSIS);

- intimato -

avverso la sentenza n. 171/12 della Corte di appello di Venezia, sezione 3 civile, emessa il 26 settembre 2011, depositata il 23 gennaio 2012, n. R.G. 810/2011;

sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

RILEVATO IN FATTO

Che:

1. Il Tribunale di Rovigo, con sentenza n. 85/11 del 22 febbraio 2011, ha dichiarato la separazione personale di (OMISSIS) e (OMISSIS) rigettando le reciproche domande di addebito della separazione, di imposizione di un assegno di mantenimento pari a 600 euro mensili, di assegnazione della casa coniugale proposte in via principale dal (OMISSIS) e in via riconvenzionale dalla (OMISSIS).

2. Ha proposto appello la (OMISSIS) rilevando che la Corte di appello non aveva valorizzato gli elementi che portavano a identificare un quadro di mala gestio dell'azienda agricola comune, posto in essere dal (OMISSIS) che non aveva mai coinvolto la moglie nella gestione e aveva posto in essere atti di sottrazione dei cespiti comuni.

3. Il gravame e' stato respinto dalla Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 171/2012, nella quale si afferma che non e' rilevante valutare la gravita' o meno dei comportamenti gestori del marito e se questi ha posto o meno in essere distrazioni dei beni comuni dovendo tale comportamento essere inquadrato nell'ambito di quel potere semiassoluto, noto nelle campagne padane e implicitamente accettato in famiglia, che lascia ogni decisione e arbitrio al padre riconosciuto dominus della gestione familiare. La Corte di appello ha rilevato che per anni la moglie ha accettato questo stato di fatto e solo nel (OMISSIS), in relazione al problema della partecipazione dei figli all'economia familiare, sono sorti i contrasti fra i coniugi che hanno portato poi alla separazione. Da tali considerazioni la Corte di appello ha dedotto che su questo punto specifico la vita familiare si e' disgregata e proprio i diversi schieramenti dei figli rispetto alla posizione dei genitori evidenziano che non certo e non solo ai comportamenti del padre e' possibile ricollegare detta disgregazione.

4. Propone ricorso per cassazione (OMISSIS) affidandosi ad un unico motivo di impugnazione con il quale deduce violazione degli articoli 143 e 144 c.c. e contraddittoria motivazione. La ricorrente ritiene la sentenza impugnata contrastante con le norme citate che impongono ai coniugi l'obbligo reciproco di collaborazione e di concorde determinazione dell'indirizzo della vita familiare con la conseguenza che se i coniugi esercitano congiuntamente un'attivita' economica per trarne

mezzi di sostentamento della famiglia essi debbono collaborare in posizione paritaria nell'esercizio e nella gestione dell'attivita' comune senza che l'uno possa pretendere di gestirla ad esclusione dell'altro. Ritiene inoltre la ricorrente contraddittoria la motivazione che, per un verso ha accertato che la rottura del rapporto coniugale e' derivata da un unico e ben individuato fattore causale e cioe' la pretesa del marito di gestire l'azienda agricola comune, alla quale ha partecipato la moglie con il proprio lavoro e la comproprieta' dei terreni, in modo unilaterale e a proprio esclusivo arbitrio, senza renderne alcun conto e addirittura appropriandosi e distraendo per se' i proventi e le risorse dell'azienda. Mentre per altro verso ha, contraddittoriamente, negato la responsabilita' del (OMISSIS) nel provocare la intollerabilita' della convivenza e nella fine del rapporto coniugale.

RITENUTO IN DIRITTO

Che:

5. Il ricorso e' fondato. Al di la' dell'accertamento di una mala gestio del (OMISSIS) nella conduzione dell'impresa familiare la domanda di addebito proposta dalla (OMISSIS) aveva ad oggetto un comportamento interpersonale dispotico del marito che ha lentamente ma irreparabilmente minato l'affectio coniugalis. A fronte di un riscontro effettivo di questo dato esistenziale che ha contraddistinto la vita familiare la Corte di

appello ha valorizzato elementi sociologici e psicologici che non possono avere rilievo se rapportati ai principi che ispirano il diritto di famiglia da almeno quarant'anni. Ci si riferisce cioe' al principio di uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi (articolo 3 Cost.) e all'affidamento della costituzione e conservazione del rapporto matrimoniale (articolo 29 Cost.) a un criterio di regolazione dei rapporti coniugali basato sulla ricerca dell'accordo dei coniugi e sul rispetto della pari dignita' dei coniugi nella conduzione della vita familiare (cfr. Cass. civ. sezione 1 n. 13983 del 19 giugno 2014). In tale quadro di riferimento ai valori costituzionali fondamentali in materia familiare non e' possibile giustificare uno scostamento da tali principi basato sul permanere della rilevanza, in alcune aree sociali, di quel ruolo gerarchico che legittimava l'autorita' del marito nelle societa' patriarcali.

6. Per altro verso il principio per cui l'addebito della separazione richiede la rigorosa prova sia del compimento da parte del coniuge di specifici atti consapevolmente contrari ai doveri del matrimonio - quelli tipici previsti dall'articolo143 c.c., e quelli posti a tutela della personalita' individuale di ciascun coniuge in quanto singolo e membro della formazione sociale familiare ex articoli 2 e 29 Cost. - sia del nesso di causalita' tra gli stessi atti e il determinarsi dell'intollerabilita' della convivenza non consente di attribuire valore a un atteggiamento di tolleranza del coniuge che subisce atti lesivi della propria dignita' e del proprio diritto all'uguaglianza nelle relazioni familiari. Infatti tale atteggiamento, anche se giustificato, piu' o meno consapevolmente, da una finalita' di conservazione del legame coniugale e familiare determinato da una dipendenza psicologica dal coniuge dominante o dalla subordinazione a un interesse presunto o reale dei figli, non puo' valere a rendere disponibili valori e diritti di rango costituzionale la cui violazione e' certamente valutabile ai fini dell'accertamento della responsabilita' per la crisi irreversibile del matrimonio anche se quest'ultima costituisce l'esito di un lungo processo di evoluzione psicologica del coniuge piu' debole tale da rendere alla fine intollerabili comportamenti subiti per lungo tempo nel corso del matrimonio. Ne' infine l'insorgenza e la insanabilita' del conflitto su una specifica questione di contenuto economico puo' rendere irrilevante la considerazione di un pregresso comportamento lesivo della pari dignita' del coniuge che rivendica infine il diritto a partecipare alla decisione su questioni di rilevante importanza per la vita familiare in posizione di uguaglianza e con il rispetto del principio della ricerca dell'accordo dei coniugi.

7. Per la riconsiderazione della vicenda matrimoniale alla luce dei predetti principi la sentenza della Corte di appello va cassata con rinvio alla stessa Corte che, in diversa composizione, regolera' anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia anche per le spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere la generalita' e gli altri identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.
 

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