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La violazione dell'obbligo di fedeltà può assumere rilievo anche in assenza della prova specifica di una relazione sessuale extraconiugale intrapresa da un coniuge
Pubblicata il 12/05/2008
Il dovere di fedeltà, collocato dall'articolo 143 c.c. tra gli obblighi nascenti dal matrimonio, consiste nell'impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi che dura quanto dura il matrimonio e non deve essere intesa soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali. La violazione dell'obbligo di fedeltà può assumere rilievo anche in assenza della prova specifica di una relazione sessuale extraconiugale intrapresa da un coniuge, essendo sufficiente l'esternazione di comportamenti tali da ledere il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi ferendo la sensibilità e la dignità di colui o colei che subisce gli effetti di quei comportamenti.
((Cc, articoli 143 e seguenti)
Il dovere di fedeltà, collocato dall'articolo 143 c.c. tra gli obblighi nascenti dal matrimonio, consiste nell'impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi che dura quanto dura il matrimonio e non deve essere intesa soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali. La violazione dell'obbligo di fedeltà può assumere rilievo anche in assenza della prova specifica di una relazione sessuale extraconiugale intrapresa da un coniuge, essendo sufficiente l'esternazione di comportamenti tali da ledere il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi ferendo la sensibilità e la dignità di colui o colei che subisce gli effetti di quei comportamenti.
((Cc, articoli 143 e seguenti)
Il dovere di fedeltà, collocato dall'articolo 143 c.c. tra gli obblighi nascenti dal matrimonio, consiste nell'impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi che dura quanto dura il matrimonio e non deve essere intesa soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali. La violazione dell'obbligo di fedeltà può assumere rilievo anche in assenza della prova specifica di una relazione sessuale extraconiugale intrapresa da un coniuge, essendo sufficiente l'esternazione di comportamenti tali da ledere il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi ferendo la sensibilità e la dignità di colui o colei che subisce gli effetti di quei comportamenti.
(Corte d'Appello Roma Civile, Sentenza del 30 luglio 2007, n. 3408)
- Leggi la sentenza integrale -
Con sentenza in data 3 ottobre 2005 il Tribunale di Roma pronunciava la separazione personale dei coniugi A.P. e T.A. addebitandone la responsabilità alla moglie; contestualmente respingeva la domanda della A. volta alla determinazione di un assegno di mantenimento in suo favore e dichiarava non dovuto alla medesima neppure un assegno alimentare; in assenza di figli nati dal matrimonio, si asteneva dal decidere in ordine all'assegnazione della casa coniugale. Infine, condannava la A. al pagamento delle spese del giudizio.
Avverso la sentenza proponeva tempestivo appello la A., dolendosi della decisione del Tribunale, ritenuta ingiusta e lesiva dei suoi interessi.
Innanzi tutto censurava la statuizione relativa alla pronuncia di addebito, assunta dal Tribunale sulla base di elementi, a suo avviso, fuorvianti, e senza aver concesso alle parti di provare i fatti posti a fondamento delle reciproche domande di addebito. Sotto il profilo economico si doleva che il Tribunale le avesse negato anche il diritto agli alimenti, quando in corso di causa le era stato riconosciuto un assegno mensile di mantenimento di ben 2.500,00 Euro.
Chiedeva quindi che la Corte, in riforma della sentenza impugnata, revocasse la pronuncia di addebito della separazione emessa nei suoi confronti e pronunciasse la separazione con addebito di responsabilità al marito; le riconoscesse il diritto alla percezione dell'assegno di mantenimento da determinare in Lire 10.000.000 mensili, al netto delle imposte.
Costituitosi il contraddittorio, il P. preliminarmente deduceva l'inammissibilità dell'appello per genericità; nel merito resisteva al gravame.
All'udienza del 30 novembre 2006, precisate le conclusioni come in epigrafe, la causa era riservata in decisione con termine fino al 30 dicembre 2006 per il deposito di note.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve essere respinta l'eccezione preliminare di inammissibilità dell'impugnazione per genericità: l'atto di appello contiene infatti elementi sufficienti per consentire al giudice del gravame di identificare sia i punti e i capi impugnati, che le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della richiesta di riforma.
Egualmente preliminare è l'esame delle istanze istruttorie avanzate da entrambe le parti.
La A. chiede di essere ammessa alla prova formulata in primo grado e ritenuta inammissibile dal Giudice Istruttore con ordinanza 12 giugno 2003 "per mancata specificazione dei fatti sui quali interrogare ciascun teste"; il Tribunale, al cui esame l'istanza è stata riproposta, ha ritenuto la prova inammissibile perché generica e con indicazione dei testi non correlata ai singoli capitoli.
Sostiene l'appellante che il giudice di primo grado ha fatto un uso scorretto del disposto di cui all'art. 244 c.p.c. e chiede quindi che la Corte riesamini nuovamente la prova da lei articolata.
L'istanza istruttoria non merita accoglimento: l'art. 244 c.p.c. stabilendo che la prova deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti sui quali ciascuna deve essere interrogata, rende inammissibile una prova dedotta in maniera non conforme al dettato codicistico; ne consegue che giudice, anche di ufficio, deve dichiararne la inammissibilità per violazione di un precetto processuale attinente alla regolarità del contraddittorio (Cass. n. 27007 del 2005; n. 2337 del 1995; n. 161 del 1990).
Sfugge, pertanto, ad ogni censura la decisione del Tribunale sulla inammissibilità della prova dedotta dalla A.
Quanto alla prova formulata in primo grado dal P. e non ammessa perché generica, si osserva che il giudizio espresso dal primo giudice deve essere confermato, in quanto i relativi capitoli fanno riferimento o a circostanze ininfluenti ai fini della decisione o sono privi dei necessari riferimenti di tempo e di luogo, o sono relativi a circostanze inidonee a provare il nesso di causalità tra gli asseriti comportamenti della A. ed il fallimento del matrimonio.
Accertata la inammissibilità della deduzioni istruttoria formulate dalle parti, la Corte deve procedere all'esame delle rispettive pretese con riferimento al materiale probatorio in atti. Addebitabilità della separazione.
Si duole l'A. che il Tribunale abbia respinto la domanda di addebito della separazione da lei proposta nei confronti del marito ed abbia invece ritenuto di addebitare a lei il fallimento della unione coniugale.
Sul punto le censure mosse dalla A. alla decisione impugnata appaiono destituite di fondamento.
L'appellante assume che i rapporti matrimoniali erano stati sempre sereni fino a quando nel novembre del 1999 il P. le comunicò di essersi innamorato di un'altra donna e di volersi separare. Da quel momento, approfittando anche dello stato di depressione in cui la moglie era caduta, il P. mise in atto ogni tentativo per allontanarla dalla casa coniugale e dalla società E. di cui entrambi erano soci e il P. amministratore unico.
Tutte le suddette circostanze, negate dal P., sono rimaste sfornite di prova e pertanto la pretesa della A. di sentir addebitare al marito il fallimento del matrimonio, deve essere respinta.
Deve ora essere esaminata la doglianza avanzata dalla appellante nei confronti della statuizione con la quale il Tribunale ha dichiarato l'addebito della separazione nei suoi confronti.
Nell'atto di appello la A. adombra da parte del P. una "mutatio libelli", per avere introdotto la domanda di addebito nei confronti della moglie sotto il profilo della sua incapacità ad assolvere i doveri coniugali (da ravvisare nella sua costante irresponsabilità, nel rifiuto di approfondire i motivi della sterilità di coppia, nel suo innamoramento nei confronti di un altro uomo), e avere successivamente, in sede di seconda comparsa conclusionale, incentrato la domanda di addebito sulla infedeltà della moglie.
Di conseguenza censura la decisione del Tribunale che avrebbe pronunciato sull'addebito alla A. in violazione del disposto di cui all'art. 112 c.p.c., "non avendo mai il P. accusato la moglie di infedeltà".
La tesi difensiva non può essere accolta: insegna la S.C. che non costituisce domanda nuova la proposizione in corso di causa, o anche nel giudizio di appello, della domanda di addebito sotto un profilo diverso da quello prospettato nell'atto introduttivo del giudizio (Cass. 28 maggio 1990 n. 5020; Cass. 5 gennaio 1972, n. 29 con riferimento all'istituto della separazione per colpa), in quanto la nuova deduzione non immuta né il petitum, né la causa petendi della domanda, rappresentati, il primo dalla separazione personale, e la seconda, dalla condotta riprovevole dell'altro coniuge.
Conseguentemente, nel caso di specie, poiché la "causa petendi" della domanda di addebito introdotta dal P. è rappresentata da comportamenti della A. contrari ai doveri che derivano dal matrimonio, l'aver dedotto in primo grado, tra le altre asserite violazione, la circostanza che la moglie si era innamorata di un altro uomo, non gli impediva di dedurre successivamente che l'addebito era ricollegabile anche alla violazione del dovere di fedeltà.
Nella specie, peraltro, il P. nella comparsa di costituzione e risposta ha posto a fondamento della domanda di addebito della separazione, tra gli altri comportamenti riprovevoli, il fatto che la moglie "nel 1999 si era innamorata di un altro uomo", mentre nel corso del giudizio di primo grado e nel presente giudizio di appello, a conforto della richiesta di addebito, ha dedotto la presumibile esistenza di una relazione adulterina che avrebbe indotto la A. ad allontanarsi per lunghi periodi dal tetto coniugale.
Ciò premesso, osserva la Corte che le risultanze processuali inequivocabilmente indicano nei comportamenti tenuti dalla A. nell'anno precedente alla separazione la causa determinante del fallimento del matrimonio.
Innanzi tutto dagli atti emerge che la appellante nei primi mesi del 1999 si è innamorata di un uomo che frequentava la società E. dove lei e il marito all'epoca lavoravano: è stato prodotto dal P. una sorta di agenda-diario sul quale la A. ha registrato il crescendo di una simpatia che si è in breve trasformata in qualcosa di più profondo. La appellante vi ha descritto le sue sensazioni, i suoi desideri, la paura di venire coinvolta in rapporto illecito che però l'attraeva irresistibilmente.
Le conseguenze che tale innamoramento (indipendentente dal fatto che il legame si sia concretato in una relazione adulterina: come è noto (Cass. 18 settembre 1997 n. 9287), il dovere di fedeltà, collocato dall'art. 143 c.c. tra gli obblighi nascenti dal matrimonio, consiste nell'impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, che non deve essere inteso soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali. La nozione di fedeltà coniugale, afferma la S.C., va infatti avvicinata a quella di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. Nell'ambito di tale concezione, la violazione dell'obbligo di fedeltà può assumere rilievo anche in assenza della prova specifica di una relazione sessuale extraconiugale intrapresa da un coniuge, essendo sufficiente l'esternazione di comportamenti tali da ledere il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, ferendo la sensibilità e la dignità di colui o colei che subisce gli effetti di quei comportamenti) ha avuto sui rapporti coniugali si possono facilmente desumere dagli avvenimenti successivi: la A. nel novembre del 1999 ha lasciato il lavoro e si è assentata dalla casa coniugale per settimane, a suo dire ospite della madre e di un'amica. A maggio del 2000 è andata ospite di altri amici in Grecia e lì si è trattenuta per alcuni mesi, salvo una breve parentesi a Roma per accordarsi con il P. al fine di raggiungere una separazione consensuale. A giugno del 2000 anche il P. ha lasciato la casa coniugale e si è trasferito presso i locali della società dove aveva predisposto una sistemazione abitativa.
Per concludere, tra il 1999 e il 2000 l'unione "solida e felice" (così è descritto dalla A. il legame coniugale nel ricorso introduttivo), entrò irrimediabilmente in crisi ed i coniugi P.-A. si accordarono per una separazione consensuale che poi non ebbe attuazione per volontà del P.
Il Collegio, nella trattazione dell'addebito della separazione, ha volutamente tralasciato di soffermarsi sulla eccezione di inutilizzabilità ai fini della decisione delle annotazioni scritte dalla A. sulla sua agenda, eccezione sollevata dalla difesa della appellante soltanto nel presente giudizio sotto il profilo del tempestivo disconoscimento della scrittura da parte della interessata.
Risulta per tabulas che il P. insieme alla memoria istruttoria in data 20 settembre 2002 ha depositato numerosi documenti, tra i quali, contraddistinte con il n. 30, le "fotocopie agenda A. pagine n. 1, ...51."
La A. nelle note di replica ex art. 184 c.p.c. in data 10 ottobre 2002 chiede che "il giudice non tenga conto delle deduzioni con cui la controparte indica il deposito dei documenti, ... e ciò con riferimento in particolare ai numeri da 25 a 30 della lista deposito documenti"... contenenti "valutazioni peraltro fermamente contestate". A tale richiesta la difesa della A. fa seguire alcune argomentazioni in ordine all'invio della posta indirizzata alla società E., riferentesi chiaramente al contenuto dei documenti depositati con i nn 25-29;
niente di specifico deduce sul deposito di cui al n. 30, relativo alle fotocopie delle pagine dell'agenda attribuita alla A.
Nella seconda comparsa di replica 15 aprile 2005 la A. contesta la valenza probatoria degli scritti contenuti nella agenda ("come il contenuto degli scritti posti a fondamento della domanda di addebito non sia assolutamente idoneo ad attribuire la responsabilità del fallimento del matrimonio alla moglie") e l'interpretazione maliziosa attribuita loro dal P.
Ritiene il Collegio che a siffatte generiche contestazioni - siano esse state formulate tempestivamente o meno ai sensi dell'art. 215 c.p.c. - non possano essere attribuiti gli effetti del disconoscimento di cui all'art. 2719 cod. civ.: detta norma prevede l'onere di disconoscere "espressamente" la copia fotostatica di una scrittura, con riguardo sia alla conformità della copia al suo originale, che al contenuto della scrittura stessa, ed implica che il discoscimento sia fatto in modo formale e specifico, con una dichiarazione che contenga una non equivoca negazione della genuinità della copia, della provenienza e della veridicità del contenuto. Ne consegue, insegna la S.C., che la copia fotostatica, come nella specie non autenticata, si avrà per riconosciuta (tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura) se la parte a cui è attribuita non la disconosca, in modo formale, e quindi specifico e non equivoco, alla prima udienza, ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cass. 27 ottobre 2006 n. 23174; Cass. 19 agosto 2004 n. 16232). Assegno di mantenimento.
Poiché ai sensi dell'art. 156 cod. civ. il riconoscimento del diritto al mantenimento spetta unicamente al coniuge cui non è stata addebitata la separazione, nulla può essere riconosciuto a tale titolo alla A.
Alla appellante non può essere riconosciuto neppure il diritto agli alimenti (la relativa domanda deve ritenersi compresa in quella più ampia di mantenimento, Cass. 7 luglio 1997 n. 6106), in quanto la stessa non versa in stato di bisogno: è infatti comproprietaria di due immobili, è socia al 25% della società E. di cui, nella stessa percentuale è socio anche il P. La società produce redditi elevati, quantificati per il 1999 dalla A. in un miliardo e mezzo di Lire, e dal P. in un somma di gran lunga inferiore ma sempre consistente; inoltre è pacifico che l'appellante collabori con la società E. Dalle indagini eseguite dalla Guardia di Finanza nel corso, del giudizio di primo grado è risultato anche che sui conti correnti a lei intestati confluivano somme di notevole entità.
Il diritto agli alimenti è peraltro legato, non solo allo stato di bisogno, ma anche all'incapacità da parte del richiedente di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l'esplicazione di un'attività lavorativa.
Nella specie l'A. è esperta in informatica, già presta attività lavorativa in questo campo, e certamente con il tempo saprà consolidare al meglio la sua posizione professionale. Assegnazione della casa coniugale.
Poiché la appellante ripropone genericamente tutte le domande avanzate nel ricorso introduttivo, si deve intendere che tra le altre sia compresa anche la domanda di assegnazione della casa coniugale.
Neppure tale richiesta è fondata: come ha già correttamente affermato dal Tribunale, l'assegnazione della casa coniugale è legata esclusivamente alla presenza di prole nata dal matrimonio, minorenne o maggiorenne che non abbia ancora raggiunto la autonomia economica.
Le spese seguono la soccombenza della A. e sono liquidate complessivamente in Euro 2.000,00 di cui 500,00 per competenze e 1.400,00 per onorari.
P.Q.M.
conferma la sentenza resa inter partes dal Tribunale di Roma il 3 ottobre 2005, appellata da A.T. nei confronti di P.A.;
condanna la A. al pagamento delle spese di lite, liquidate complessivamente in Euro 2.000,00.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2007.
Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2007.